Come era prevedibile, la presa di posizione strumentale degli esponenti dell’area del centrodestra è risultata quella vincente. La difesa ad oltranza di Carlo Pisacane da parte dei politici, figura assolutamente inappropriata per rappresentare una scuola elementare a prescindere dai gravi misfatti compiuti durante il periodo risorgimentale, dimostra da un lato la volontà di difendere a tutti i costi un’unità d’Italia fatta con l’oppressione, che andrebbe nuovamente ridiscussa con un nuovo plebiscito su basi egualitari (anche perché il primo fu falsato ed i registri bruciati)
Difendere personaggi discutibili come Mazzini, Garibaldi e Pisacane a cui sono stati intitolati asili, scuole ed orfanotrofi (anziché personaggi compatibili con l’educazione infantile) solo perché responsabili dell’unificazione italiana (con l’aiuto fondamentale delle potenze straniere come l’Inghilterra che in più occasioni nel corso della storia recente ha remato contro il nostro paese) è probabilmente il motivo per cui il nostro paese ha il più alto numero di condannati in via definitiva eletti in parlamento, oltre che piazzati ai primi posti al mondo per i benefits e per privilegi da casta.
Ora, secondo documenti storici(1) da poco rinvenuti, pare che questi vizi risalgano proprio ai tempi del parlamento di Torino, subito dopo l’Unità. Troviamo nella Gazzetta del Popolo del 27 luglio 1861 i seguenti particolari, a cui potremo fare di molte e curiose aggiunte, se avessimo la libertà che gode la Gazzetta del Popolo :
« Il sig. ministro Jacini avea fatta il primo la proposta di accordare ai rappresentanti della nazione il trasporto gratuito sulle ferrovie. – E c’era dell’equità. Servono il paese gratuitamente; si faccia dunque il possibile, perché possano almeno essere esenti da spese per condursi da lontane località alla sede del Parlamento. – E così fu fatto ; e meno qualche rarissima eccezione, non sappiamo che alcuno siasi fatto lecito di offendere con bassi abusi la propria dignità. Allora erano rappresentate in Parlamento le antiche provincie, la Lombardia, l’Emilia e la Toscana.
Ora vi abbiamo anche le provincie meridionali, e quindi anche ai Rappresentanti di queste è applicato il diritto del gratuito trasporto, che già fruivano gli altri. Ma noi non abbiamo mai saputo che questo diritto fosse trasfusibile in altri, e che i signori Deputati di questo loro diritto tutto personale potessero far bottega, vendendo il loro biglietto o cedendolo ad amici e parenti, o vestendo fin anco da uomini le donne, per volerle far passare come deputate.
Eppure queste cose avvennero, queste cose avvengono continuamente. – Si parla perfino di un ministro, il quale, presentatosi al capo convoglio col figlio, si pose a questionare perché volle ad ogni costo aver diritto a farlo viaggiare gratuitamente. – E al doveroso rifiuto del capo-convoglio, il signor ministro tirò fuori questa bella argomentazione : «lo sono ministro, e come ministro (?) ho diritto di viaggiare gratis ; il mio diritto di senatore lo delego a mio figlio». Ah non c’è mica male! Quel signor ministro non c’è più, e speriamo non torni più, perché questa sarebbe una poco lieta caparra della dignità che si trasfonderebbe nel suo ministero.
Un altro allo funzionario, che c’è ancora, e che si pappa un buon stipendio, e ch’è anche deputato, quando si presenta alla stazione, ha sempre qualche amico o parente da presentare, e crede che basti il dire – il tale è con me – perché le si debba abbassare le corna e lasciar passare tutti i suoi protetti. Questo signore faccia la gentilezza di viaggiare col suo biglietto, ma lasci stare di abusare dei danari della nazione pegli altri.
Pare già che debbano i signori onorevoli essere abbastanza contenti di poter trottare su e giù per solo sollazzo, senza spender un soldo, senza che vogliano pretendere di condur con loro gratis anche la caterva dei propri conoscenti, amici, parenti, e un po’ alla volta l’amante e la serva.
L’altro giorno a Genova smontò un deputato a fianco d’un altro collega. Il primo esibì la medaglia; e il capo-convoglio alla estensione della medaglia non credè dubitare d’abusi. I capi-convoglio si fanno una idea come si deve della dignità dei rappresentanti. Ma l’onorevole della medaglia aveva passato il suo biglietto al proprio collega, che colla sua imberbe figura saltava troppo agli occhi per passare per un altro onorevole. Era un deputato femmina, che il deputato maschio credeva coprire colla sua autorità.
In giunta a tutti questi fatti, che sono abbastanza indecorosi, v’è poi la vendita che si fa da taluni del proprio biglietto. Questa poi la è più grossa di tutte.
E il nostro paese che, sia detto in buon punto, non seppe mai che cosa fosse mancanza di delicatezza e che s’è avvezzato a vedere l’onestà seguita dai propri rappresentanti fino allo scrupolo, non sa adattarsi all’introduzione di questo sistema, che poteva passare sotto il regno dei Borboni, ma non sotto al regno di Vittorio Emanuele, il Re leale, che informò il suo governo al proprio galantomismo.
D’altronde poteva essere onesta, un Italia unificata da criminali e non da brave persone?
(1)Memoria per la storia de’ nostri tempi dal congresso di Parigi del 1856 ai giorni nostri – Torino – 1865
Davide Cristaldi