Pubblichiamo, condividendone totalmente il contenuto, una interessante lettera aperta della collega Deborah Fait a Massimo Giannini, direttore del quotidiano La Stampa.
Egregio Direttore,
Mentre leggevo il suo editoriale del 27/9 c’è stato un momento in cui stavo per cadere dalla sedia, precisamente nell’istante in cui ho letto che Israele è “una moderna tecnocrazia militarizzata”.
Come le è balenata questa idea balzana, Direttore? Non mi risulta che Israele sia governata da tecnici o tecnocrati e lei, da bravo giornalista, dovrebbe saperlo. Israele ha sempre avuto, a differenza dell’Italia dove i governi dei tecnici hanno portato solo disastri, un governo composto esclusivamente da politici eletti dal popolo.
La tecnocrazia tende a soppiantare il potere politico e può facilmente trasformarsi in oligarchia, cioè un gruppo di pochi potenti tecnici o tecnocrati che detiene i poteri politici senza capire niente di politica. Pericolosissimo perché questo tipo di governo porta a un passo dalla dittatura. In Israele il potere legislativo è affidato alla Knesset, le elezioni si tengono ogni 4 anni, nessun governo di Israele è stato mai eletto senza che il popolo andasse a votare. il Presidente di Israele, eletto dal Parlamento, resta in carica 7 anni non rinnovabili.
La Knesset è composta da 120 deputati con una forte presenza della minoranza araba. Il potere giudiziario è affidato alla Corte Suprema. I 15 giudici sono nominati da una commissione di nove membri di cui 3 giudici, 4 politici e 2 avvocati. In pratica, questa commissione designa automaticamente i candidati scelti dai giudici stessi e anche qui la presenza della minoranza araba è forte. Deduciamo quindi che Israele è una Repubblica parlamentare governata da politici, non da tecnici, non da tecnocrati.
Forse lei si è confuso, Direttore, forse aveva in mente qualche altra nazione mentre scriveva il suo interessante editoriale sul Covid. E adesso veniamo a quell’altra parola che c’è mancato poco mi facesse finire per terra con risultati catastrofici per me: “militaresca”. Nel parlamento israeliano non esistono militari, se un generale lascia l’esercito per entrare in politica deve restare nella vita civile per un periodo di anni prima di poter essere eletto. Non esistono divise militari alla Knesset, caro direttore. Certo, noi abbiamo un esercito, uno dei più forti del mondo ma, lei non ci crederà, non è per niente militaresco, anzi è completamente privo di quella rigidità e autoritarismo che si suppone abbiano i soldati. Il motivo è semplice, Zahal è fatto di padri, figli e figlie di Israele.
Spesso ho assistito al giuramento delle reclute, cerimonia molto commovente e allegra, in stile tipicamente israeliano, senza fronzoli, con i genitori che urlano il nome del figlio o della figlia e li salutano, ricambiati. La commozione è forte nel vedere tutti quei ragazzi che giurano fedeltà alla Patria ma non si respira solennità bensì fratellanza, emozione e amore per il proprio paese. Lei certamente saprà che senza il nostro esercito, fatto di ragazzi e ragazze che non sanno nemmeno marciare molto bene ma sanno difendere il paese con tutta la forza del loro coraggio, Israele non esisterebbe più. Questo pensiero dovrebbe suscitare in lei un certo rispetto per questo piccolo e indomito paese. Spero di essere stata sufficientemente chiara nel farle capire che, forse preso dal sacro fuoco della consueta e obbligatoria critica a Israele, lei, direttore, si sia lasciato trasportare prendendo però una enorme cantonata.
Cordialmente
Deborah Fait