Si sono recentemente tenute le elezioni degli organi di rappresentanza del consiglio nazionale e dei consigli regionali e ovviamente si sono rivisti i gruppi organizzati che da decenni monopolizzano il potere all’interno dell’ordine.
Prima della tornata elettorale ovviamente molti si sono cimentati nelle proposte più o meno innovative.. Niente di nuovo. Anche per essere eletti nei consigli dell’ordine si fa politica e come i politici, una volta eletti tutto si dimentica e si vivacchia per tre anni in attesa della tornata successiva.
In questo contesto pre elettorale, mi è capitato di ascoltare qualcuno che si è spinto fino a riportare in auge un disegno di legge che giace,, meno male, alla Camera dei deputati dal maggio 2018.
Si tratta del D.l.591 depositato il 10 maggio 2018 alla Camera dei Deputati , firmatari D’Attis, Battilocchio Bergamini, Biancofiore, D’Ettore, Gagliardi, Giacometto, Napoli, Palmieri, Pettarin, Ripani, Rosso, Santelli Silli, Spena, Silli, Squeri Maria Tripodi e Vietina.
Un D.L. che nelle intenzioni dei firmatari dovrebbe finalmente eliminare le storture di una serie di leggi, a partire dalla l. 69/63, che fanno dell’Ordine un ente non rappresentativo che si regge su norme discriminatorie ed incostituzionali.
L’intento è certamente da apprezzare ma il D.L. dimostra ancora una volta, qualora ce ne fosse stato bisogno, che la politica non sa di cosa parla ed è distante anni luce dalla realtà. Non c’è altra spiegazione leggendo il disegno di legge che riduce il tutto nell’intento di “eliminare i profili di possibile incostituzionalità connessi alle citate decisioni, ormai percepite come violazioni di diritti. L’articolo 1 disciplina quindi una più equilibrata rappresentanza delle due categorie nel Consiglio nazionale, eliminando altresì il requisito di eleggibilità del possesso di una posizione previdenziale attiva presso l’INPGI” .
Insomma, per i firmatari il tutto si riduce a due fattispecie ma poi incredibilmente prevedono che i professionisti siano in Consiglio Nazionale 40 e i pubblicisti 26 pubblicisti.
Tutto come prima. La maggioranza nei consigli rimane sempre alla minoranza degli iscritti.
Insomma, un testo che non risolve nulla e nell’unica stortura in cui i firmatari penano di intervenire, non cambiano nulla.
Torna in mente il paradosso di Tancredi Falconeri, l’ambiguo personaggio del “Il Gattopardo”.
“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Ai gruppi di potere che da decenni “governano” l’ordine tutto ciò fa comodo e da tempo parlano di rifondarlo per portarlo finalmente alla vera democrazia interna per poi non intervenire mai per una vera riforma dell’ordine.
Questa è l’Italia, questo è l’Ordine. Speranze di cambiare ? Poche. Difficile che chi ha potere pensi di cederlo.
Le belle intenzioni va bene, ma non esageriamo.
Michele Santoro