sabato, Novembre 23, 2024
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Il folle gioco d’azzardo di Hamas al confine fra Gaza e Israele

Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e il capo di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar

I continui attacchi mirano a premere su Israele, perché prema su Egitto e Onu, perché premano su Abu Mazen, che non cede di un passo. La faida tra fazioni palestinesi rischia in ogni momento di innescare un’escalation
Di Ron Ben Yishai
I capi di Hamas vogliono attenzione: non tanto dalla leadership israeliana, ma dall’Egitto, dall’inviato delle Nazioni Unite in Medio Oriente e soprattutto dal presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen). Israele è solo il mezzo, la leva che – nelle loro intenzioni – dovrebbe agevolare un accordo di cessate il fuoco alle condizioni che vuole Hamas. Come in una partita di biliardo, Hamas colpisce la pallina israeliana per colpire di rimbalzo le altre palline – Egitto, Nazioni Unite e Abu Mazen – e portarle sulle posizioni che Hamas desidera.
In effetti, le frustrazioni di Hamas sono iniziate alla fine di marzo quando ha lanciato la “marcia del ritorno” e la tattica degli aerostati incendiari nel tentativo di trovare una via d’uscita dal vicolo cieco in cui si trova. La rivendicazione ufficiale di Hamas è l’abolizione del blocco israeliano sulla striscia di Gaza, ma in pratica ciò che Hamas vuole è che Israele faccia pressione su Abu Mazen perché questi riprenda a pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici di Gaza e la bolletta dell’elettricità per i residenti di Gaza.
Per anni l’Autorità Palestinese ha pagato i salari di decine di migliaia di impiegati assunti da Hamas nelle varie agenzie governative di Gaza. Ma all’inizio di quest’anno l’Autorità Palestinese ha smesso di pagare quegli stipendi, bloccando una delle principali fonti di reddito del territorio, nel tentativo di fare pressione su Hamas affinché rinunciasse al controllo su Gaza (ottenuto con la violenza nel giugno 2007). Per lo stesso motivo, Abu Mazen ha anche cercato di bloccare i trasferimenti a Gaza di carburante ed altre forniture essenziali per la popolazione. (Da: Times of Israel, 23.9.18).
Abu Mazen si rifiuta di pagare finché Hamas non accetterà di trasferire i suoi miliziani armati sotto il comando dell’Autorità Palestinese. Ecco perché l’organizzazione terroristica di Gaza continua a mandare i giovani alla barriera di confine come carne da cannone e a lanciare aerostati incendiari sul territorio israeliano. Si tratta di aggressioni e provocazioni calcolate in modo da non spingersi al punto di innescare un’escalation, che spingerebbe le Forze di Difesa israeliane ad entrare nuovamente nella striscia di Gaza: uno scenario che Hamas non vuole, proprio come non lo vuole Israele. E così le parti conducono una specie di bizzarra danza sull’orlo del precipizio.
Altrettanto bizzarro è il fatto che è Hamas che cerca di “usare” Israele mediante la pressione lungo il confine, e non viceversa. Hamas, indebolita e scoraggiata, sa che il governo israeliano, giustamente, non ha alcun interesse a fare una guerra nella striscia di Gaza, perché non vuole vittime e perché è molto più interessato a concentrarsi sulla minaccia principale: i tentativi di Iran e Hezbollah di asserragliarsi in Siria. Hamas lo sa e cerca di approfittarne. Ha persino creato un comitato che organizza le aggressioni, le provocazioni e i tentativi di infiltrazione sotto copertura delle manifestazioni di massa, adesso anche di notte.
Il gioco funziona così. Hamas lancia aerostati terroristici sulle comunità civili israeliane nella regione attorno alla striscia di Gaza sapendo che gli abitanti di quelle comunità non possono restare indifferenti di fronte ad azioni devastanti e potenzialmente letali. Hamas spera che queste le sue sistematiche aggressioni spingano i residenti israeliani delle comunità frontaliere a fare pressione sul loro governo, affinché faccia pressione sull’inviato dell’Onu e sugli egiziani, affinché facciano pressione su Abu Mazen.
Un azzardo persino ridicolo, se questo assurdo gioco non comportasse il rischio concreto di un’escalation non pianificata: ma abbastanza prevedibile se solo accadesse, ad esempio, che uno dei bambini israeliani che vivono nelle comunità frontaliere trovasse una delle tante granate attaccate a un pallone a elio e ne rimuovesse la spoletta, con le tragiche conseguenze che si possono immaginare. In tale scenario, le Forze di Difesa israeliane lancerebbero immediatamente un’operazione di terra contro i terroristi nella striscia di Gaza, un esito che nessuna delle due parti si augura.
Il problema, al momento, è che Abu Mazen non è disposto a recedere nemmeno di un millimetro dalle sue posizioni. Israele ha già accettato lo schema proposto dall’inviato delle Nazioni Unite Nickolay Mladenov e dagli egiziani, ma il presidente dell’Autorità Palestinese non si schioda. In qualche misura si può capire l’intransigenza di Abu Mazen, ma bisogna sapere che, di conseguenza, la striscia di Gaza rischia di esplodere senza preavviso, finché perdura questa situazione.
(Da: YnetNews, 22.9.18)
Nell’ottobre 2017 l’Egitto negoziò un accordo di riconciliazione tra Hamas e Fatah per portare Cisgiordania e Gaza sotto un unico governo, ma le due fazioni palestinesi rivali non l’hanno mai attuato. Oltre a mediare gli sforzi di riconciliazione fra Hamas e Fatah, il Cairo ha giocato un ruolo chiave nel mediare periodi di calma tra le varie ondate di violenza lungo il confine fra Israele e Gaza. La richiesta standard di Hamas è che qualsiasi cessate il fuoco a lungo termine preveda la revoca di restrizioni e controlli ai movimenti da e per Gaza. Sia Israele che l’Egitto applicano una serie di restrizioni al movimento di persone e merci dentro e fuori la striscia di Gaza. Israele afferma che tali limitazioni sono indispensabili per impedire a Hamas e altri gruppi terroristici attivi nella striscia di Gaza di armarsi e costruire infrastrutture terroristiche e militari. Il mese scorso l’Egitto ha ospitato diverse fazioni palestinesi al Cairo, tra cui Hamas, per discutere di un possibile cessate il fuoco, e il capo dei servizi segreti egiziani, Abbas Kamel, ha detto d’aver incontrato in Israele il capo dei servizi di sicurezza israeliani, Nadav Argaman, per parlargli della questione. Tuttavia, a seguito di vivacissime proteste da parte dei dirigenti di Fatah e dell’Autorità Palestinese, l’Egitto pare che abbia dovuto interrompere i tentativi di mediare un accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Non riconoscendo a Hamas nessuna rappresentatività, i capi di Fatah e dell’Autorità Palestinese esigono che gli sforzi di riconciliazione fra le fazioni palestinesi abbiano la precedenza su qualunque accordo di cessate il fuoco con Israele, e ribadiscono che solo l’Olp, e non Hamas, ha la legittimità di negoziare accordi internazionali come quello di cessate il fuoco. Dal canto suo,  Hamas continua ad alimentare le violenze al confine con Israele per rendere più urgente il cessate il fuoco e cercare di farlo passare senza l’approvazione dell’Autorità Palestinese (Da: Times of Israel, 23.9.18).
L’aviazione israeliana ha aperto il fuoco, sabato, su una cellula terrorista palestinese i cui membri si apprestavano a lanciare un ordigno incendiario verso Israele. L’azione si è inserita in un fine settimana di tensione sul confine tra Israele e striscia di Gaza, con la partecipazione di diverse migliaia di palestinesi in manifestazioni violente alla barriera di confine, con il lancio verso il territorio israeliano di pietre, bombe molotov e ordigni esplosivi. Le Forze di Difesa israeliane hanno anche detto d’aver sventato diversi tentativi di irruzione attraverso la barriera di sicurezza, sottolineando che le truppe sul campo hanno fatto un uso sporadico di munizioni vere per respingere gli incursori. Nel frattempo, il terrorismo incendiario palestinese ha ripreso vigore: tra venerdì e sabato sono scoppiati almeno 14 incendi innescati da aerostati incendiari lanciati da Gaza, altri sette domenica nei kibbutz Be’eri e Re’im, nel bosco di Kissufim e nella riserva naturale di Nahal Gerar. Nella zona di Eshkol è stata colpita una serra che è stata ridotta per metà in cenere. (Da: Israel HaYom, 23.9.18)
Dal settembre 2015 Israele ha subito quasi 450 attacchi terroristici, per la maggior parte ad opera di giovani individui aizzati dalla propaganda di odio verso ebrei e israeliani. Dall’ottobre 2015 ad oggi, sono 69 le persone innocenti che sono state uccise in attacchi terroristici in Israele e Cisgiordania (Giudea e Samaria), e oltre 1.000 quelle ferite o mutilate. In tutto si sono registrati 195 attentati all’arma bianca, 202 attentati con armi da fuoco, 68 attentati compiuti con veicoli stradali. Inoltre, dal settembre 2015 almeno 730 razzi sono stati lanciati dalla striscia di Gaza contro Israele, di cui più di 350 solo tra luglio e agosto di quest’anno. Dall’inizio delle violenze della cosiddetta “marcia del ritorno” indetta da Hamas al confine fra Gaza e Israele, i terroristi sono riusciti ad appiccare quasi 1.400 incendi in territorio israeliano mediante il lancio oltre confine di aerostati incendiari. (Da: jerusalem on line, 20.9.18)
 

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