Non ha menzionato le offerte di pace israeliane e il rifiuto palestinese: così il suo pessimismo sulla soluzione a due stati rischia di auto-avverarsi
Siccome il Segretario di stato John Kerry ha tenuto il suo discorso dopo l’astensione degli Stati Uniti sul voto al Consiglio di Sicurezza, pochi in Israele hanno prestato attenzione a tutto quello che ha detto. Avesse fatto il discorso prima dell’astensione, avrebbe avuto qualche possibilità di influenzare il dibattito interno israeliano. Ma dopo quell’astensione al Consiglio di Sicurezza, Kerry ha perso ogni credibilità agli occhi degli israeliani di tutto lo spettro politico. È per questo che il suo discorso non è stato nemmeno trasmesso integralmente in diretta dalla tv israeliana.
Il discorso è stato di parte quanto lo era l’astensione. Kerry non ha nemmeno menzionato le ripetute offerte israeliane di porre fine a occupazione e insediamenti creando uno stato palestinese in Cisgiordania e Gaza: il rifiuto da parte di Yasser Arafat delle proposte di Bill Clinton ed Ehud Barak nel 2000-2001, e la mancata risposta da parte di Abu Mazen all’offerta di Ehud Olmert del 2008. Non menzionare nemmeno questi passaggi cruciali è la prova che il discorso era fazioso.
Kerry ha anche parlato dei profughi palestinesi, senza fare nessun accenno degli altrettanti profughi ebrei dai paesi arabi e musulmani. Se i profughi palestinesi meritano un riconoscimento e un risarcimento, come ha detto Kerry, perché non meritano lo stesso i profughi ebrei?
Infine Kerry sembra aver confermato che, a suo parere, nessuna modifica delle linee pre-‘67 possa essere riconosciuta senza un comune accordo, cioè senza il benestare dei palestinesi. Il che significa che il piazzale di preghiera al Muro Occidentale (“del pianto”), le strade che danno accesso all’enclave dell’Università di Gerusalemme e dell’ospedale Hadassah sul Monte Scopus e lo stesso quartiere ebraico di Gerusalemme vecchia da questo momento sono tutti “territorio illegalmente occupato”. Naturalmente, per Israele, una pretesa semplicemente irricevibile.
Ed anche una pretesa sbagliata sul piano della storia e del diritto. La Giordania occupò quelle aree storicamente ebraiche nel 1948, quando tutti i paesi arabi circostanti attaccarono la nuova nazione ebraica con lo scopo di distruggerla. L’occupazione illegale e la pulizia etnica degli ebrei che vi si trovavano fu accompagnata dalla distruzione delle sinagoghe, dei cimiteri e delle scuole, e dall’insediamento di coloni arabi nelle case tolte agli ebrei. Quando, nel 1967, la Giordania attaccò nuovamente Israele, questi riconquistò le aree ebraiche e permise agli ebrei di tornarvi. Quella israeliana, dunque, non fu un’occupazione illegale, ma una liberazione.
Non basta. Omettendo di distinguere tra l’allargamento degli insediamenti nel mezzo della Cisgiordania e la rivendicazione di aree storicamente ebraiche nel cuore di Gerusalemme, Kerry ha ripetuto lo stesso errore fondamentale fatto dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Anzi, equiparando la Gerusalemme ebraica con Amona e altri insediamenti nel mezzo della Cisgiordania, Kerry fa il gioco della destra più estremista israeliana che sostiene appunto non esservi alcuna differenza tra i quartieri ebraici di Gerusalemme e tutta la regione di Giudea-Samaria. Kerry pensa che siano ugualmente illegali, gli estremisti di destra pensano che siano ugualmente legali. Entrambi sbagliano trattandoli come se fossero la stessa cosa.
La faziosità di Kerry è apparsa evidente anche nel fatto che non ha accennato a nessuna pressione sulla dirigenza palestinese perché accetti il ripetuto, esplicito invito di Benjamin Netanyahu ad avviare immediatamente negoziati diretti senza precondizioni. Al contrario, il suo discorso sembra giustificare la non volontà palestinese di avviare quanto prima i negoziati.
Il pessimismo di Kerry sulla soluzione a due stati corre il rischio di essere una profezia che si auto-avvera. Gli insediamenti già esistenti, quand’anche ampliati, non mettono a repentaglio la soluzione a due stati: a patto che i palestinesi vogliano davvero il loro stato più di quanto non vogliano impedire l’esistenza di uno stato ebraico. Uno stato palestinese dotato di continuità territoriale è certamente possibile anche se tutti gli insediamenti esistenti dovessero per ora rimanere. Israele lo ha dimostrato quando ha smantellato tutti gli insediamenti e sgomberato tutti gli ebrei dalla striscia di Gaza. E’ un errore geografico, storico e logico presumere che le costruzione negli insediamenti – che le si condivida o meno (e personalmente non le condivido) – condannino la soluzione a due stati. E’ vero il contrario: è la crescita degli insediamenti che è conseguenza diretta del continuo rifiuto palestinese di accettare le ripetute offerte da parte dei governi israeliani di porre fine all’occupazione e agli insediamenti in cambio della pace (su confini definitivi).
Il principale ostacolo alla soluzione a due stati resta la non volontà palestinese di accettare la risoluzione Onu del 1947 che prevedeva la nascita di due stati per due popoli: il popolo ebraico e il popolo arabo. Il che significa esplicito riconoscimento da parte dei palestinesi del concetto di Israele come stato nazionale del popolo ebraico. Kerry non ha certo trattato a sufficienza questo nodo cruciale.
Il punto più importante sottolineato da Kerry è che l’amministrazione Usa non riconoscerà unilateralmente uno stato palestinese senza un accordo tra Israele e palestinesi. Ha anche fatto intendere che gli Stati Uniti non premeranno per l’approvazione di qualche altra risoluzione al Consiglio di Sicurezza. Il discorso di Kerry è quindi proprio questo: un discorso di poca sostanza e di nessuna importanza. Verrà presto dimenticato, insieme alle tante altre condanne faziose di Israele di cui sono disseminati gli archivi della diplomazia.
Kerry avrebbe reso un autentico servizio alla pace se avesse fatto pressione sulla dirigenza palestinese affinché sieda al tavolo delle trattative almeno con la stessa energia con cui ha fatto pressione sulla dirigenza israeliana affinché ponga fine alle costruzioni negli insediamenti. Invece, la sua esposizione parziale non farà fare un solo passo avanti al processo di pace. C’è solo da sperare che non gli faccia fare troppi passi indietro.
Alan Dershowitz
(Da: Jerusalem Post, 30.12.16)