Nonostante i continui avvertimenti degli europei, Israele sta assistendo a una serie di sviluppi positivi nelle sue relazioni con il resto del mondo
Di Zalman Shoval
“Il Medio Oriente è nel caos, l’Europa si va sgretolando e la politica degli Stati Uniti è incerta a vacillante. L’unico punto solido è Israele”. Me lo ha scritto la scorsa settimana un esperto di Medio Oriente assai addentro all’attuale processo decisionale americano in materia di politica estera. I fatti ci dicono che questa affermazione, sebbene un tantino esagerata, è tuttavia fondata nella realtà. La stabilità è un concetto relativo, naturalmente; ma ciò che questo esperto americano ha sottolineato è il fatto che, nonostante le tensioni pressoché costanti nel governo israeliano e nella coalizione che lo sostiene, Israele è stato capace di superare una sfida dopo l’altra, come appare evidente dalla fioritura delle sue relazioni con l’estero. La conferma più recente è stata la ripresa, dopo 49 anni, delle relazioni diplomatiche con la Guinea , una nazione africana musulmana, e la notizia di un possibile miglioramento dei rapporti ufficiosi con il Ciad, altro paese africano con popolazione a maggioranza musulmana e l’arabo come lingua ufficiale.
I nostri “amici” in Europa spesso mettono in guardia Israele dal pericolo dell’”isolamento”, ma la realtà permette di dissentire. La ripresa di piene relazioni con la Turchia, la visita del primo ministro Benjamin Netanyahu in Africa con le sue importanti implicazioni diplomatiche ed economiche, il rafforzamento dei legami con l’Egitto, la promozione di legami pragmatici con la Russia e il perseguimento di rapporti più stretti con India, Cina, Giappone e altri paesi asiatici: si tratta, in tutti questi casi, di mosse tutt’altro che banali o scontate.
Non basta. Israele assiste in questo periodo a una serie di sviluppi positivi nelle sue relazioni con paesi che pure non hanno rapporti diplomatici ufficiali con Gerusalemme, ma che ad essa si avvicinano sulla base di pragmatici interessi comuni come la guerra al terrorismo, lo sviluppo scientifico e tecnologico, l’economia, il commercio e altro ancora.
Una delle principali caratteristiche di questi importanti sviluppi nelle relazioni estere d’Israele è la correlazione tra promozione degli interessi d’Israele e gli eventi che si svolgono nel mondo che ci circonda, a cominciare dal denominatore comune che emerge con gli stati arabi a fronte alle minacce poste dall’Iran da una parte, e dallo “Stato Islamico” (ISIS) dall’altra. Mentre in passato le mosse su questi temi venivano guidate da un intervento degli Stati Uniti, oggi sono guidate dai soggetti locali che cercano di promuovere i propri interessi sullo scacchiere regionale.
Certo, benché il conflitto israelo-palestinese con tutta evidenza non sia più la principale fonte di preoccupazione per i decisori nel mondo arabo sunnita, essi comunque non lo possono ignorare del tutto: quindi non c’è ragione di aspettarsi che questi paesi optino per relazioni diplomatiche aperte e ufficiali con Israele nel futuro vicino. Nondimeno, Israele può utilizzare i suoi legami embrionali con una parte del mondo arabo moderato per promuovere soluzioni provvisorie al problema con i palestinesi.
Per quanto riguarda l’Europa, si può solo sperare che i crescenti problemi interni dell’Unione Europea finiscano perlomeno con attenuare la sua ostinazione nel perseguire sforzi inutili, come la recente “iniziativa francese”: mosse che dimostrano più che altro una seria ignoranza dei veri problemi che affliggono il Medio Oriente, e di conseguenza minano la stabilità della stessa Europa.
In questo contesto è tuttavia importante sottolineare che, per quanto siano benvenuti i progressi diplomatici compiuti con molti paesi, nulla può sostituire il forte legame fra Israele e Stati Uniti, e quindi molti sforzi devono essere diretti anche verso Washington, a prescindere di chi sarà alla testa dell’amministrazione Usa dopo le elezioni presidenziali del 2016.
(Da: Israel HaYom, 24.7.17)