Quando la tutela dogmatica delle libertà fa premio sul diritto alla vita, una società deve correre ai ripari e in fretta
Di Gerald M. Steinberg
I diritti umani, che qualcuno ha definito “la religione laica del XXI secolo”, sono catastroficamente falliti. Il primo e più fondamentale diritto umano, infatti, è il diritto alla vita: il diritto di essere protetti dall’assassinio, indipendentemente dalla causa che viene proclamata per giustificare l’uccisione di persone innocenti, che sia in Europa, in America, in Israele, in Siria o da qualsiasi altra parte.
Giudicata in base a questa verità basilare, la religione dei diritti umani è stata un fallimento totale. Mentre le famiglie in lutto seppelliscono le loro vittime, i sacerdoti dei diritti umani – dirigenti di potenti organizzazioni mondiali come Amnesty International e Human Rights Watch, e funzionari dei corrispondenti organismi internazionali – si comportano da sofisti predicando una rigida liturgia molto lontana dalla realtà. Le istituzioni che dirigono, come ad esempio il Consiglio Onu dei diritti umani, sono veri e propri monumenti di ipocrisia che promuovono istigazione all’odio e ideologie di discriminazione.
I valori dei diritti umani e le relative istituzioni non fluttuano in un vuoto teorico: quando vengono presentati e commercializzati come se il terrorismo e l’assassinio di massa non esistessero, perdono ogni significato. Quando coloro che parlano a nome dei diritti umani insolentiscono e demonizzano ogni misura adottata dai governi e dalle forze di difesa per garantire la sicurezza (cioè la protezione della vita umana), allora nessuna misura è più ammissibile. E così vengono perse molte vite innocenti. Questa interpretazione integralista, dogmatica e distorta dei diritti umani ne ha demolito il fondamento morale.
Come altri valori morali universali, i diritti umani non sono semplici regole e divieti (reali o immaginari). Quei valori comportano anche degli obblighi vitali. Nel mondo degli stati-nazione il primo dovere di un governo è quello di proteggere i suoi cittadini, e quando i responsabili governativi falliscono questo compito, come si è tragicamente visto in Francia e in Belgio, perdono la loro legittimità. Nel mondo reale, senza sicurezza (cioè protezione della vita umana) non ci possono essere altri diritti umani.
In un’epoca di ideologie estremiste e di odio religioso, i principi cui aspirano le società ideali devono essere calibrati rispetto al requisito primario della sicurezza. La raccolta invasiva di informazioni di intelligence per identificare i terroristi stragisti, e la detenzione amministrativa di quelli più pericolosi prima che possano realizzare le loro stragi, diventano elementi vitali irrinunciabili, nonostante l’ingerenza sulle libertà civili di un quadro democratico “normale”. Governi e forze di sicurezza che, di fronte a minacce incombenti, non utilizzano posti blocco, profiling dei gruppi a rischio, arresti preventivi, incursioni nei covi sospetti e altri strumenti simili, sono destinati a fallire ripetutamente e tragicamente e migliaia di persone innocenti finiranno fatte a pezzi.
In effetti, queste sono proprio le misure per cui Israele viene condannato da decenni, e che hanno salvato innumerevoli vite. L’industria dei diritti umani, con i suoi poteri globali e i loro alleati locali israeliani e palestinesi, largamente finanziata dall’Unione Europea e da singoli governi (tra cui Francia e Belgio), ha sempre costantemente condannato tutte queste misure, chiudendo gli occhi rispetto al contesto in cui si inserivano caratterizzato da terrorismo di massa e indottrinamento all’odio. Con bilanci di decine di milioni di euro pagati dai contribuenti, questi falsi profeti e i loro professionali agenti di pubbliche relazioni hanno inventato una narrazione che usa il linguaggio del diritto internazionale allo scopo di demonizzare i dirigenti israeliani come “criminali di guerra” per il fatto che adempiono al loro dovere principale: garantire la sicurezza (cioè la vita) dei loro cittadini.
Anche se gran parte del danno è già fatta, si impone con urgenza una radicale riforma delle istituzioni internazionali allo scopo di rimetterle in sintonia con le esigenze del mondo reale. Sono necessarie nuove istituzioni, e gli attuali sacerdoti integralisti dei diritti umani dogmatici devono essere sostituiti e chiamati a rispondere del loro corso distruttivo.
Gli sforzi dolorosi e avveduti compiuti negli anni dai governi e dai tribunali israeliani per individuare le giuste priorità e il giusto equilibrio tra diritti contrastanti – il diritto alla sicurezza, cioè alla vita, e gli altri diritti umani – offrono un esempio e una guida preziosi. L’alternativa sono molti altri anni di terrorismo di massa, molte altre stragi e la fine di ogni possibilità di destreggiarsi tra vita e libertà.
(Da: Times of Israel, 15.7.16)