Per oltre quarant’anni Israele ha goduto di un confine relativamente tranquillo con la Giordania. Certo, fra le ragioni principali vi sono la superiorità militare d’Israele e un sistema efficiente di guardia alla frontiera. Tuttavia, va anche ricordato che il regime hascemita di Amman ha saputo tenere a bada le forze anti-israeliane, un beneficio per il quale Israele ha dato molto in cambio al re di Giordania e, prima, a suo padre.
Ma questo accomodamento potrà reggere allo tsunami della “primavera araba”? I fatti sul terreno suggeriscono che la Giordania è tutt’altro che stabile. Al ritorno del re dalla sua recente visita negli Stati Uniti, sono scoppiate lotte tribali a Ma’an, nel più grande governatorato della Giordania. Quattro persone sono state uccise a sangue freddo nel campus universitario di Ma’an e si è scatenato l’inferno. Ora gli abitanti di Ma’an reclamano “l’indipendenza dal regime hascemita”. Filmati trapelati su YouTube, e apparsi persino sui mass-media giordani, mostrano furibondi scontri a fuoco tra esercito giordano e giordani delle tribù del sud. L’ultimo posto di polizia è stato dichiarato “liberato” dalla gente di Ma’an lo scorso 24 giugno.
Nonostante i pubblici appelli al re perché “osi” recarsi a Ma’an per risolvere la questione, Abdullah due settimane fa ha visitato Kerak, un’altra travagliata città del sud della Giordania a 160 km da Ma’an. Abdullah ha parlato a Mutah, l’università di Kerak, dove ricorrenti scontri a fuoco tra gli studenti sono costati la vita di recente a uno studente del secondo anno. Nel suo discorso, re Abdullah ha detto: “C’è chi cerca di affermare che la Giordania è travagliata da disordini a causa delle tribù, ma non è vero! Le tribù sono da sempre un pilastro della sicurezza”. Quattro giorni dopo il suo discorso, sono scoppiati nuovi scontri a fuoco nello stesso campus. Intanto le proteste proprio davanti alle porte del suo palazzo privato sono diventate un evento costante, con i manifestanti che invocano le sue dimissioni.
Ma i guai del re non finiscono qui. Il 22 giugno scorso Muhammad Assaf, un palestinese di Gaza, ha vinto il concorso del reality televisivo Arab Idol. I palestinesi, che in Giordania sono la maggioranza, sono scesi in massa per le strade per diversi giorni sventolando kefiah e bandiere palestinesi sotto il naso della polizia giordana. In passato, in Giordania, si poteva essere angariati dalla polizia semplicemente indossando una kefiah palestinese, e appendere una bandiera palestinese alla propria auto poteva portare dritti nelle galere del temutissimo dipartimento di intelligence. Adesso si sono visti addirittura giovani palestinesi in festa sparare in aria per tutta Amman con i loro mitra M-16. Benché sia risaputo che i palestinesi in Giordania posseggono armi esattamente come i loro fratelli in Cisgiordania, tuttavia prima d’ora non le mostravano certo in pubblico, né avevano mai potuto inscenare il ruolo degli oppressi proprio in faccia al regime hascemita.
In breve: i “transgiordani”, un tempo tanto fedeli al re, ora lo vogliono cacciare, e i palestinesi che disprezzano la monarchia hascemita non hanno paura di muovere apertamente contro il re. Il che significa che il re potrebbe avere i giorni contati. Parlando in pubblico a Londra quasi un anno fa, l’arabista e analista politico Murdachi Kedar disse: “Quelli che scommettono sulla sopravvivenza del regime giordano dovrebbero riconsiderare le loro opzioni”. Di più, Kedar preconizzò che il sud della Giordania avrebbe potuto staccarsi dallo stato. A quanto pare, la sua profezia sembra che si stia avverando.
Ma cosa significherebbe per il confine più lungo d’Israele? Se la Giordania dovesse cadere in mani islamiste si trasformerebbe in un altro regime alla Hamas o, nel migliore dei casi, in un altro Egitto. D’altra parte gli islamisti in Giordania hanno avuto una lunga collaborazione con il regime hascemita, e la Fratellanza Musulmana giordana ha apertamente respinto gli appelli pubblici per la destituzione del re. E poi, come hanno riportato The Independent, l’Associated Press e Al Jazeera, quelli che guidano le proteste contro il re sono giordani laici. I quali però non hanno i finanziamenti di cui dispongono gli islamisti, e sono quasi totalmente ignorati dai mass-media occidentali. Se il re dovesse cadere, gli islamisti che ora si oppongono alla rivoluzione sarebbero i primi a cavalcarla e a piazzare un loro presidente ad Amman. A meno che qualcosa non cambi radicalmente e la popolazione laica ottenga il sostegno di cui avrebbe bisogno.
La risposta di coloro che hanno a cuore la pace in Medio Oriente non sembra all’altezza della minaccia rappresentata da una presa del potere in Giordania da parte islamista. Alcuni preferiscono mantenere il loro sostegno verbale al re sostenendo che “la Giordania è del tutto calma e la monarchia è stabile”. Sostanzialmente preferiscono ignorare i fatti. In un’intervista a Jeffrey Goldberg di Atlantic, re Abdullah ha ammesso d’aver pensato di dimettersi già nel 2010, prima che vi fosse la “primavera araba”. Cosa farebbe il re se i giordani scendessero davvero nelle piazze come hanno fatto egiziani e tunisini?
C’è un altro campo, tuttavia: un campo che concorda sul fatto che non c’è molto da fare per salvare il re, ma che lo vorrebbe sostituito da un leader palestinese laico e a favore della pace. Domandandomi se fosse mai possibile, ho parlato con lo scrittore giordano-palestinese Samer Libdeh, che vive ad Amman ed è stato docente al Washington Institute. “La Giordania – mi ha detto – è come uno stampo modellabile, non è come l’Egitto dove gli islamisti avevano una forte influenza già prima che cadesse Mubarak. La Giordania può essere indirizzata ovunque il suo prossimo leader la vorrà condurre: se sarà laico, la Giordania diventerà laica; se sarà un islamista, la Giordania si trasformerà in un altro Afghanistan. Per cui fondamentalmente il suo futuro dipenderà da quale paese investirà più soldi e manderà più giornalisti a coprire gli eventi a venire”.
Nell’incertezza su ciò che sarà della frontiera orientale israeliana, una cosa è certa: se e quando il re dovesse cadere, il prossimo governante in Giordania sarà un palestinese. Coloro che si preoccupano per la pace e i confini orientali d’Israele dovrebbero iniziare a prepararsi alla tempesta in arrivo e saltare sul treno della libertà per cercare di mettere il macchinista giusto nel vagone di testa. Il tempo corre.
Mudar Zahran (Da: Jerusalem Post, 24.7.13) |