Le recenti dichiarazioni di Nabil Shaath, alto esponente della squadra negoziale dell’Autorità Palestinese, e di altri che come lui promettono il ritorno al tavolo dei negoziati se Israele accetterà le precondizioni palestines, impegnandosi “a negoziare sulla base delle linee del 1967” e a congelare le attività edilizie ebraiche negli insediamenti in Cisgiordania, costituiscono un tipico esempio di mistificazione politica, doppiezza e pura menzogna da parte palestinese.
Da nessuna parte, in tutta la storia dei negoziati del processo di pace, compare alcun impegno verso “le linee del 1967”. È vero esattamente il contrario. Tutti gli accordi tra Israele e Olp, così come i trattati di pace con Egitto e Giordania, si richiamano nel loro preambolo alla risoluzione 242/1967 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu con cui la comunità internazionale fa appello affinché le parti concordino “confini sicuri e riconosciuti”.
Come l’Egitto e la Giordania nei loro rispettivi trattati di pace con Israele, così anche la dirigenza palestinese in tutti gli accordi firmati ha ripetutamente accettato e si è impegnata su questa formula, la quale in pratica significa che le linee militari di demarcazione armistiziale in vigore dal 1949 al 1967 – mai destinate a diventare confini – e tutte le altre linee pre-’49 dovranno essere sostituite da confini concordati che rispondano al criterio del Consiglio di Sicurezza di essere “sicuri e riconosciuti”. Il fatto che leader palestinesi come Shaath, Saeb Erekat e Mahmoud Abbas (Abu Mazen) cercano di manipolare il dato storico e giuridico ripetendo continuamente la loro pretesa che Israele si impegni in anticipo su quelli che loro chiamano “confini del 1967” dovrebbe essere fermamente respinto da tutti coloro che sono stati coinvolti a vario titolo nelle trattative dei diversi accordi.
I palestinesi sanno benissimo che i confini sono una delle questioni che devono essere discusse al tavolo dei negoziati; e che la loro pretesa non ha alcuna base di diritto e di fatto. Abu Mazen, Shaath ed Erekat, così come i leader di Stati Uniti e Unione Europea che controfirmarono gli accordi di Oslo come testimoni, oltre a Giordania ed Egitto, sanno tutti benissimo che la precondizione posta dai palestinesi è manifestamente priva di fondamento giuridico. Il fatto che continuano a ripeterla non dimostra altro che spudorata doppiezza, mancanza di buona fede e abuso della buona fede della comunità internazionale.
Altrettanto infondata e senza base negli accordi firmati fra Israele e Autorità Palestinese è l’altra precondizione, quella che Israele congeli ogni attività negli insediamenti. Israele non si è mai impegnato, in nessuno degli accordi con i palestinesi, a congelare l’attività di insediamento in un territorio che continua ad amministrare in virtù degli accordi con i palestinesi. Al contrario, l’Accordo ad interim israelo-palestinese (comunemente chiamato Oslo Due) consente espressamente, nell’Allegato III “Affari civili”, progettazione, zonizzazione e attività edilizia da parte di ciascuna delle due parti nelle zone di Cisgiordania sotto la rispettiva giurisdizione: i palestinesi nelle Aree A e B, Israele nelle Aree C. Anche quella degli insediamenti è una delle questioni che le parti hanno concordato di trattare nei negoziati sullo status definitivo, insieme a profughi, risorse idriche, Gerusalemme, misure di sicurezza e, appunto, i confini (art. 31 “Clausole finali”).
Dunque i palestinesi hanno concordato e sottoscritto di negoziare questo tema con Israele, e non si capisce come ora possano pretendere di rimuoverlo unilateralmente dal tavolo delle trattative, trasformandolo in una precondizione separata e indipendente per l’avvio di ulteriori negoziati. Così facendo minano gli accordi, e quando cercano di reclutare il sostegno della comunità internazionale su questa loro posizione non fanno che aggirare l’impegno che hanno preso di negoziare la questione direttamente con Israele. In pratica, stanno deliberatamente ingannando e manipolando la comunità internazionale.
Tra i suoi impegni ai sensi degli accordi di Oslo, Israele ha quello di negoziare la questione degli insediamenti con i palestinesi. Per attivare questo impegno non è prevista nessuna precondizione che non sia il ritorno a negoziati condotti in buona fede. Il proseguimento della attività edilizie negli insediamenti in attesa del risultato dei negoziati per lo status definitivo, che sia o meno politicamente avveduto, non è di per sé né una violazione degli accordi di Oslo, né una violazione del diritto internazionale. Si tratta di una questione bilaterale da negoziare con i palestinesi: niente di più e niente di meno.
Quanto prima i palestinesi smetteranno di tentare di minare, manipolare e aggirare unilateralmente il processo negoziale e lasceranno perdere le loro precondizioni, tanto prima la questione degli insediamenti potrà essere affrontata, risolta e quindi depennata dall’ordine del giorno. Sarebbe ora che questo fosse ben chiaro a tutti.
Alan Baker
(Da: Jerusalem Post, 18.6.13)