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Perché si perpetua il mito delle “provocazioni anti-islamiche”

Il 28 settembre 2000 l’allora leader dell’opposizione israeliana Ariel Sharon fece visita al Monte del Tempio, a Gerusalemme. A causa della controversia politica che riguarda quel sito, la visita di Sharon al luogo santo doveva essere coordinata in anticipo. E così fu. L’allora ministro per la pubblica sicurezza Shlomo Ben-Ami diede luce verde a Sharon dopo aver ricevuto assicurazione dal capo delle sicurezza dell’Autorità Palestinese, Jibril Rajoub, che la cosa non avrebbe causato problemi. Rajoub diede il suo consenso a condizione che Sharon, durante la visita, non entrasse nella moschea Al-Aqsa; ma avvertì che se fosse sorto qualche problema, la polizia palestinese non sarebbe intervenuta a protezione di Sharon. Di conseguenza, dovette essere allertata la polizia israeliana.
Sharon si attenne alle regole. Si recò sul luogo durante il normale orario di visita per turisti e non entrò nella moschea. Restò sulla spianata del Monte del Tempio per circa mezz’ora. Per tutto il resto della giornata, i palestinesi scatenarono il caos gridando e gettando pietre dal Monte del Tempio sulle forze di sicurezza sottostanti. Al calar della notte si contavano 28 agenti israeliani feriti. Il giorno dopo i mass-media ufficiali dell’Autorità Palestinese lanciarono un appello a tutti i palestinesi perché accorressero a “difendere la moschea di Al-Aqsa”, mentre venivano organizzati autobus carichi di adolescenti palestinesi che venivano portati al Monte del Tempio a prendere parte ai disordini.
Il giorno successivo era la vigilia di Rosh Hashana (il capodanno ebraico). I palestinesi radunati sul Monte del Tempio di diedero a gettare sassi e pietre sui fedeli ebrei in preghiera nel sottostante piazzale del Muro Occidentale (il cosiddetto “muro del pianto”). Quel 30 settembre segnò l’avvio ufficiale di quella che i palestinesi chiamarono “l’intifada di Al-Aqsa”: che ebbe inizio con sommosse violente nelle città arabe in tutto Israele e nei territori sotto controllo palestinese, per poi deflagrare in cinque anni di vera e propria guerra stragista a base di attentati suicidi contro lo stato ebraico e i suoi abitanti.
Il vero impulso a quella guerra non fu la visita di Sharon al Monte del Tempio, bensì la reazione del capo dell’Olp Yasser Arafat al fallimento dei vertice di Camp David del luglio precedente: un fallimento da lui stesso orchestrato. Il che non solo è stato documentato dal Rapporto Mitchell, pubblicato nell’aprile 2001, ma anche successivamente riconosciuto, sia pure indirettamente, dalla stessa dirigenza palestinese attraverso la stampa da essa controllata.
Tutto ciò non ha impedito ai “pacifisti”, israeliani e non, e a tutto il loro coro nei mass-media locali e stranieri, di continuare per anni ad attribuire comunque l’orrenda catena di attentati sugli autobus, nei centri commerciali e nei bar di tutto Israele alla “provocazione” di Sharon sul Monte del Tempio (o alla “passeggiata di Sharon alle moschee”). Ancora oggi, in effetti, capita di sentir citare quell’evento come il catalizzatore se non addirittura la causa di quella che il mondo non-arabo chiama “la seconda intifada”.
Un fenomeno analogo sta capitando oggi nel mondo arabo. È interessante notare che anche in questa occasione tutto è iniziato alla vigilia del capodanno ebraico, ma questa volta i fatti non sono legati a Israele. Si tratta piuttosto di un “regalo” agli Stati Uniti nell’undicesimo anniversario degli attacchi dell’11 settembre alle Torri Gemelle e al Pentagono. È iniziato in Libia, con lo spietato assassinio dell’ambasciatore degli Stati Uniti e di altri tre americani innocenti, e si è poi rapidamente diffuso a macchia d’olio in tutte le comunità musulmane del mondo.
La causa apparente di questa nuova carneficina, che sta mietendo decine di vite, sarebbe un video-clip postato su YouTube che ritrae il profeta Maometto come un depravato sessuale. Tutti i fatti, però, indicano che gli attacchi libici che hanno incendiato il resto della regione erano stati accuratamente preparati in anticipo, senza alcun nesso con quel filmetto di quart’ordine che era già in circolazione da un pezzo prima che qualcuno se ne adontasse tanto.
Il che, naturalmente, non ha impedito all’amministrazione Obama e al dipartimento di stato di Clinton di perpetuare il mito secondo cui quest’ennesima follia di massa anti-americana (e anti-israeliana) sarebbe dovuta alla “provocazione” di un oscuro filmmaker pornografo che vive in quel di Los Angeles; né ha attenuato la contrita posizione di Washington di fronte ai poveri musulmani mortalmente offesi dal filmetto; né ha indotto i mass-media ha modificare il modo in cui riferiscono degli orrori quotidiani di questi giorni.
In questo caso come in quello di Sharon sul Monte del Tempio, il motivo per cui i “pacifisti” occidentali perpetuano questo genere di falsità è sempre lo stesso: finché possono attribuire a Israele e all’America tutta la colpa per il comportamento degli estremisti islamisti, possono rimanere attaccati alla loro fede nella soluzione dei conflitti attraverso semplici gesti di buona volontà (da parte di Israele e dell’America, ovviamente). Indipendentemente da quante volte questa idea si sia ritorta contro chi la propone, in senso letterale e figurato, essi si rifiutano di abbandonarla. Fortunatamente per il resto di noi – che preferiamo vivere nel mondo reale anziché essere massacrati nel mondo delle favole – gli islamisti non fanno mistero del loro odio e delle loro intenzioni.
Ruthie Blum

(Da: Israel HaYom, 19.9.12)

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