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Medio Oriente. I profughi (tutti) e la pace

profughi“Palestinesi” è la prima parola che viene in mente quando viene pronunciata la parola “profughi” in relazione al Medio Oriente. E i palestinesi hanno pagato a caro prezzo il consolidamento di questa errata esclusiva. Spossessati praticamente di tutto dai loro fratelli arabi, hanno vissuto per generazioni come cittadini di ultima categoria in Giordania, Libano, Siria e altri paesi della regione. Il misero trattamento riservato ai palestinesi dai loro fratelli arabi è certamente dovuto – in parte – a pregiudizi fortemente radicati e a chiusure nazionalistico-tribali. Ma la perpetuazione all’infinito del problema dei “profughi” palestinesi è anche servito come un’arma per mettere eternamente in discussione la legittimità di Israele, come se ricadesse sullo stato ebraico – e non su una dirigenza arabo-palestinese estremista, intransigente e penosamente incompetente – la responsabilità dell’esodo dei palestinesi dalla Palestina sulla scorta del fallito tentativo di soffocare alla nascita lo Stato d’Israele con la violenza.

La verità, tuttavia, è che in quegli anni, in Medio Oriente, vi fu perlomeno un’altra popolazione costretta a mettersi in marcia. A partire dalla guerra d’indipendenza del 1948, quando lo stato ebraico appena fondato riuscì a respingere sia le milizie palestinesi sia l’attacco congiunto degli eserciti degli stati arabi vicini, circa 850mila ebrei vennero rimossi dai paesi arabi: più dei circa 700mila palestinesi che abbandonarono la Palestina a causa della guerra.

Frustrati per la sconfitta sul campo di battaglia e furibondi per la suprema arroganza con cui gli ebrei avevano osato creare un proprio stato, gli arabi in tutto il Medio Oriente si scagliarono contro la preda più facile. Alcune delle più antiche comunità ebraiche del mondo, come quella in Iraq che risaliva ai tempi dell’esilio di Babilonia del VI secolo a.e.v, vennero “ripulite” dalla presenza ebraica. In breve, l’incubo dell’espropriazione non fu certo un’esclusiva dei palestinesi.

Negli anni scorsi è stato avviato uno sforzo concertato per diffondere maggiore consapevolezza a livello internazionale sulle centinaia di migliaia di ebrei che si videro confiscare per sempre abitazioni, attività economiche e risparmi. Nel 2008 Justice for Jews from Arab Countries (Giustizia per gli ebrei dai paesi arabi) diede un contributo determinante per far passare alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti una risoluzione che riconosce la necessità di dare soluzione “a tutte le questioni insolute relative ai legittimi diritti di tutti i profughi, compresi ebrei e cristiani e altre popolazioni sfollate da paesi del Medio Oriente”, come parte integrante di un accordo di pace mediorientale che sia “credibile e duraturo”.

Nello stesso anno Sidney Zabludoff, ex funzionario della Cia e del Tesoro americano, esperto di indennizzi per la Shoà, ha pubblicato un primo calcolo metodico dell’ammontare dei beni perduti dagli ebrei espulsi o costretti a fuggire dai paesi arabi: la sua stima è che gli ebrei persero beni per un totale di circa 6 miliardi di dollari, laddove i beni perduti dai palestinesi ammontarono a circa 3,9 miliardi di dollari.

Lo scorso aprile il vice ministro degli esteri israeliano Danny Ayalon ha annunciato che il suo dicastero avrebbe posto la questione dei profughi ebrei in cima alle priorità, marcando un netto cambiamento nella tradizionale politica diplomatica. L’iniziativa di Ayalon ha ricevuto il sostegno dell’ufficio del primo ministro.

All’inizio di agosto un gruppo bipartisan di sei congressisti americani ha dichiarato che avrebbe sostenuto un disegno di legge volto a garantire il riconoscimento della condizione dei profughi ebrei. E nei giorni scorsi a Gerusalemme si è tenuto un convegno internazionale intitolato “Giustizia per i profughi ebrei dai paesi arabi”, organizzato dal Congresso Mondiale Ebraico, dal Ministero degli esteri israeliano e dal Ministero dei pensionati.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu si è rivolto al convegno con un messaggio in video.

In passato Israele esitava a sollevare l’argomento dei profughi ebrei. In parte la cosa aveva che fare con la tendenza tipicamente israeliana di guardare sempre avanti senza soffermarsi sui dissesti del passato e sull’autocommiserazione. In effetti, sia i sopravvissuti alla Shoà sia i profughi ebrei dai paesi del Medio Oriente seppero in generale mettere da parte i traumi del passato per concentrarsi sul compito che avevano davanti: la costruzione di uno stato ebraico.

Ma è giunto il momento che si prenda coscienza. Il riconoscimento di determinati fatti storici e la demolizione delle versioni distorte della storia può essere una forma di terapia, un modo per arrivare alla vera riconciliazione fra israeliani e palestinesi. Solo quando i palestinesi riconosceranno la corresponsabilità loro e dei paesi arabi nel loro stesso sfollamento e nello sfollamento di centinaia di migliaia di profughi ebrei, sarà possibile arrivare a una pace autentica e duratura.

Editoriale (Da: Jerusalem Post, 10.9.12)

“IL MONDO ARABO HA TRASFORMATO I PROFUGHI PALESTINESI IN PEDINE, ISRAELE HA TRASFORMATO I PROFUGHI EBREI IN CITTADINI”
Dall’intervento del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu al convegno “Giustizia per i profughi ebrei dai paesi arabi” – Gerusalemme 10.9.2012

«E’ tempo che la questione dei profughi ebrei venga rimessa sul tavolo. Per troppa gente, quando si tratta del processo di pace tra israeliani e palestinesi, la questione dei profughi riguarda soltanto i palestinesi. Gli 850.000 profughi ebrei che furono espulsi dalle terre arabe sono stati semplicemente dimenticati. Ma Israele non li dimenticherà mai. Dopo la fondazione di Israele, questi ebrei furono brutalmente cacciati da paesi dove avevano vissuto in pace per secoli, persino millenni. Il contrasto tra come Israele trattò i profughi ebrei dai paesi arabi e come il mondo arabo trattò i profughi palestinesi non potrebbe essere più netto. Il mondo arabo, che disponeva di vastissimi territori ed enormi risorse naturali, trascurò i profughi palestinesi. Li usò semplicemente come un ariete nella lotta contro lo stato ebraico. Al contrario noi, nel piccolo Israele, sorto su uno spicchio di terra senza risorse naturali, senza petrolio (sì, abbiamo trovato giacimenti di gas, ma solo da pochissimo tempo), senza alcuna di queste risorse, abbiamo assorbito i profughi ebrei nella nostra società e li abbiamo integrati nella vita di Israele. Il mondo arabo ha trasformato i profughi palestinesi in pedine, Israele ha trasformato i profughi ebrei in cittadini produttivi. E questi cittadini, i loro figli e i loro nipoti, hanno dato e continuano a dare un enorme contributo al presente a al futuro di Israele.»
(Da: MFA, 11.9.12)

Nelle foto in alto: Immagini di ebrei profughi dai paesi arabi in arrivo in Israele alla fine degli anni ’40.

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