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L'ONU fuori dalla realtà … Per Hamas, Gaza non è occupata. Per l’Onu, sì

L’Onu continua a etichettare la striscia di Gaza come “territorio occupato” da Israele, quando persino uno dei capi di Hamas ha affermato, questa settimana, che tale definizione non è più sostenibile. Martedì scorso, infatti, Mahmoud Zahar, esponente di spicco e co-fondatore di Hamas, ha confermato all’agenzia di stampa palestinese Ma’an che non esiste più nessuna “occupazione israeliana” a Gaza. Zahar ha fatto questa affermazione nel quadro di una polemica contro l’idea che Hamas debba organizzare cortei di massa anti-israeliani nella striscia di Gaza in concomitanza con analoghe dimostrazioni che dovrebbero essere organizzate da Fatah nella Cisgiordania sotto controllo dell’Autorità Palestinese.
“E contro chi dovremmo manifestare nella striscia di Gaza? – si è chiesto Zahar – Questo modello era applicabile quando Gaza era occupata”.
In effetti l’organizzazione islamista non fa che prendere atto di una ovvietà: Israele, dopo che nel 2005 ha smantellato dalla striscia di Gaza la sua amministrazione militare, ha sgomberato a forza tutti i civili israeliani che vi abitavano e a ritirato le sue forze fino all’ultimo soldato, non “occupa” più quel territorio in base a qualunque accezione si voglia dare al termine, giuridica o d’altro genere. Qualunque controllo esterno possano esercitare Israele e l’Egitto, tutti a Gaza sanno che è Hamas che governa il territorio, e con pugno di ferro.
L’affermazione dell’esponente di Hamas fa seguito al sempre più esteso riconoscimento, fra i giuristi internazionali, che il rifiuto dell’Onu di ritenere responsabili i palestinesi per il territorio che controllano è ormai decisamente obsoleto. Come hanno osservato Abraham Bell e Dov Shefi, due esperti di diritto internazionale, in un uno studio del 2010 per la facoltà di legge dell’Università di San Diego, Hamas, quattro anni e mezzo dopo aver preso il controllo della striscia di Gaza, gestisce la sua polizia, i tribunali, le carceri, le scuole, i mass-media, i servizi sociali, regola le attività commerciali, le banche e il catasto, riscuote le tasse, controlla le frontiere e impone persino un codice d’abbigliamento.
Insomma, scrivono Bell e Shefi, Hamas dirige “un governo civile locale funzionante e pienamente indipendente, sostenuto da forze armate”. Analogamente, in un articolo pubblicato dalla American University International Law Review, Elizabeth Samson conclude che, in base alle Convenzioni di Ginevra e ai precedenti giuridici internazionali, Gaza non può più essere considerata occupata perché Israele, nonostante la sua capacità di esercitare certi poteri nell’area, non vi esercita più un “effettivo controllo”, il vero banco di prova di ciò che si definisce come “occupazione”.
Anche in base alla legge israeliana, nel 2008 la Corte Suprema ha stabilito che lo stato ebraico si è disimpegnato dalla striscia di Gaza e non esercita più “un effettivo controllo su quello che avviene in quel territorio”.
Ora che la stessa Hamas ha pubblicamente riconosciuto questa realtà, il rifiuto delle Nazioni Unite di fare lo stesso è meno difendibile che mai. La politica ufficiale dell’Onu non è cambiata da quando nel 2008 Farhan Haq, portavoce del segretario generale Ban Ki-moon, ha dichiarato che “le Nazioni Unite definiscono Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme est come territori palestinesi occupati”.
Nel 2009 il Rapporto Goldstone dell’Onu (il famoso rapporto successivamente disconosciuto dal suo stesso autore) sosteneva che “la comunità internazionale continua a considerare Israele come potenza occupante” a Gaza, e citava la risoluzione del Consiglio Onu per i Diritti Umani che aveva dato vita appunto alla commissione d’inchiesta facendo riferimento al “territorio palestinese occupato, e in particolare la striscia di Gaza occupata”. È una terminologia che continua ad essere ininterrottamente utilizzata.
Un rapporto dello scorso 22 settembre a nome del segretario generale parla della visita di una missione Onu “nel territorio palestinese occupato, e in particolare nella striscia di Gaza”. A maggio Richard Falk, ispettore permanente del Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani sulle presunte violazioni israeliane, faceva riferimento alla “striscia di Gaza occupata”. Una scheda informativa dell’Onu sui “territori palestinesi occupati” comprende anche la striscia di Gaza”, e così via.
C’è qualcosa di veramente paradossale in tutto questo. Persino dopo che un’agenzia chiave dell’Onu, l’Unesco, ha riconosciuto la “Palestina”, che comprende anche la striscia di Gaza, come proprio stato membro indipendente a pieno titolo, le Nazioni Unite continuano a usare la terminologia del “territorio occupato”.
L’incoerenza non è una novità. Per decenni la politica delle Nazioni Unite verso i palestinesi è stata caratterizzata da una contraddizione basilare: conferire loro il massimo di prerogative all’interno dell’organizzazione e reclamare da loro il minimo di responsabilità. Ma esonerare i palestinesi da tutte le responsabilità fondamentali non li ha aiutati di una virgola. Al contrario, i cittadini palestinesi sono i primi a rimetterci quando coloro che li governano e li controllano non sono mai chiamati seriamente a rispondere delle proprie azioni (e possono sempre nascondersi dietro le colpe di una fantomatica occupazione).
È tempo che le Nazioni Unite abbandonino la loro intransigente ostinazione su una posizione giuridica che ha l’effetto, se non l’intenzione, di giustificare il terrorismo palestinese come “resistenza all’occupazione”, minando la facoltà di Israele di invocare il suo naturale diritto all’auto-difesa contro razzi letali sparati dal Gaza e, non ultimo, di disumanizzare gli israeliani come demoniaci “occupanti” senza volto.
Se l’Onu vuole davvero promuovere l’auto-governo palestinese e aiutare i palestinesi a conseguire un’indipendenza concretamente possibile, deve aiutare i palestinesi, e non impedirgli, di sviluppare una sana cultura dell’auto-governo. L’organismo internazionale deve smetterla col paternalismo verso i palestinesi e con una finzione giuridica volta a sostenere uno stato di risentimento permanente, assolvendoli da ogni responsabilità.
Hillel C. Neuer

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