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M.O. Tra Gaza ed Egitto

La sera di mercoledì scorso la Jihad Islamica palestinese ha lanciato un razzo Grad, che si è abbattuto vicino alla città israeliana di Rehovot, per commemorare l’anniversario dell’uccisione, a Malta nell’ottobre 1995 (attribuita al Mossad da vari mass-media), del suo capo Fathi Shikaki, un fanatico e sanguinario ideologo che si ispirava alla rivoluzione islamista iraniana ed era accanito sostenitore degli attentati suicidi come strumento per terrorizzare la popolazione israeliana.
Dopodiché la situazione è rapidamente deteriorata. Sabato pomeriggio Israele ha reagito con un raid contro una cellula della Jihad Islamica sorpresa mentre si apprestava a lanciare altri razzi contro obiettivi civili israeliani: nel raid restavano uccisi cinque terroristi, fra cui Ahmed Sheikh Khalil, un personaggio di rilievo, responsabile degli impianti dell’organizzazione terrorista per la produzione di razzi. Furibonda per l’eliminazione di Khalil, la Jihad Islamica lanciava più di venti razzi e obici di mortaio contro Israele, provocando la morte ad Ashkelon di Moshe Ami, un civile 56enne, padre di quattro figli.
Altri quattro civili israeliani restavano seriamente feriti dallo sbarramento di razzi. La tragica ironia è che il commando terrorista operava da quella che un tempo era Bnei Atzmon, una delle diciassette comunità ebraiche che componevano Gush Katif: si tratta delle comunità che vennero sgomberate d’autorità nell’estate del 2005, nel quadro di una mossa unilaterale decisa da Israele per porre fine all’“occupazione” della striscia di Gaza e assecondare l’inizio di uno stato palestinese indipendente. Ma anziché essere usate per lo sviluppo e il benessere, queste terre sgomberate dai civili e militari israeliani sono diventate piattaforme di lancio dei terroristi per seminare distruzione e morte.
Hamas, che controlla la striscia di Gaza, non ha interesse ad innescare uno scontro militare con Israele in questo momento. Ha troppo da perdere. Combattimenti protratti nel tempo potrebbero ritardare o anche mettere a repentaglio la seconda fase della transazione Shalit, che prevede la scarcerazione di altri 550 detenuti palestinesi.
Non basta. Hamas è interessata a preservare calma e stabilità anche allo scopo di incrementare le sue relazioni con l’Egitto. L’Egitto post-Mubarak sta assumendo un ruolo sempre più attivo nella striscia di Gaza.
Il contributo del Cairo è stato determinante per arrivare al traballante cessate il fuoco fra Jihad Islamica e Israele di domenica mattina, anche se poi l’accordo non ha retto che poche ore con la ripresa dei lanci di razzi palestinesi nel corso della stessa giornata.
Il giorno precedente, per la prima volta da quando Hamas nel giugno 2007 ha strappato a Fatah con la violenza il pieno controllo della striscia di Gaza, dei rappresentanti egiziani della Fratellanza Musulmana si sono recati in visita nella striscia di Gaza: un altro chiaro segno dello spostamento della posizione del Cairo rispetto al movimento islamista, dopo la destituzione di Hosni Mubarak lo scorso febbraio. Giacché, inoltre, la Fratellanza Musulmana dovrebbe andare piuttosto bene alle imminenti elezioni in Egitto, Hamas ha un interesse ancora più pressante a mantenere la calma, così da consolidare i suoi legami col Cairo mentre rafforza il suo controllo su Gaza.
Allo tempo stesso Hamas, che potrebbe facilmente fermare gli attacchi della Jihad Islamica contro Israele se solo lo volesse, subisce forti pressioni in particolare dall’Iran, padrino della Jihad Islamica palestinese, perché assecondi il campo del rifiuto, almeno per un certo periodo di tempo. Hamas si era già trovata in una situazione analoga in agosto, quando i Comitati di Resistenza Popolare palestinesi avevano effettuato una serie di attacchi oltre confine, presso la frontiera egiziana, causando la morte di otto israeliani.
In quell’occasione Hamas si era sentita in obbligo di partecipare ai combattimenti, ma solo dopo che aveva avuto la sensazione di perdere popolarità nelle piazze arabe a vantaggio delle fazioni più estremiste.
Relazioni più calorose fra Hamas ed Egitto potrebbero portare qualche stabilità a breve termine nella striscia di Gaza. Ma la volontà del Cairo di rafforzare i legami con un’organizzazione espressamente antisemita come Hamas, votata alla distruzione dello stato ebraico, è anche testimonianza di un cambiamento in peggio del nuovo Egitto post-Mubarak. Con la Fratellanza Musulmana che si aspetta di portare a casa una notevole affermazione nelle prossime elezioni egiziane, i legami fra Egitto e Gaza sono destinati inevitabilmente a rafforzarsi, mentre le relazioni fra Gerusalemme e il Cairo sicuramente ne soffriranno.
Il che non promette bene per il Medio Oriente e per il processo di pace nella regione.

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