Proprio degli israeliani sono stati i fra i primi a sollevare l’argomento della delegittimazione: Israele, dicevano, verrà trasformato in un nuovo Sudafrica a causa del suo isolamento nel mondo occidentale. Quest’affermazione è stata gonfiata fin quasi a farla diventare una previsione che si auto-avvera. In realtà di tratta di una tesi che non ha mai avuto molta consistenza, e se anche l’avesse avuta, ha subìto una battuta d’arresto nel corso dell’ultimo anno.
La punta di lancia della delegittimazione, il giudice Richard Goldstone, ha praticamente ritrattato il suo pessimo rapporto (sull’operazione militare israeliana anti-Hamas nella striscia di Gaza del gennaio 2009): ha capito d’essere stato imbrogliato. La sua ritrattazione ha fortemente influenzato le istituzioni internazionali.
Poi Israele ha vinto la battaglia davanti alla Commissione Palmer circa la legalità del blocco (anti-Hamas) sulla striscia di Gaza. Solo un anno fa, la flottiglia turca diretta a Gaza era stata percepita nel mondo come una questione di diritti umani. Quest’anno, in occidente, è considerata un intervento illegale e una violenta provocazione (filo-Hamas).
Anche l’approccio palestinese al Consiglio di Sicurezza e all’Assemblea Generale dell’Onu risulta per il momento arginato. Non solo è garantito il veto americano, ma allo stato attuale i palestinesi non sembrano avere nemmeno la maggioranza necessaria, nel Consiglio di Sicurezza, per la loro richiesta di indipendenza unilaterale (cioè, senza accordo negoziato con Israele). Soltanto pochi mesi fa una tale prospettiva sembrava impossibile. Cosa è successo?
E’ successo che qui non si tratta della creazione di uno stato palestinese: questo Israele l’ha già accettato. Si tratta piuttosto delle condizioni in cui si vuole creare tale stato, e qui i palestinesi si sono ricalati nella loro parte di intransigenti. Un mondo che vuole fondarsi sul dialogo e le trattative non è tanto disposto ad accettare un diktat unilaterale palestinese senza né pace, né riconoscimento, né sicurezza.
Non basta. Di recente in Gran Bretagna è stata annullata una legge che permetteva di incriminare qualunque rappresentante politico e militare israeliano, dopo che una legge analoga (sulla giurisdizione internazionale) era già stata annullata in Belgio: con tutta evidenza, era stato fatto un abuso di quelle leggi per dare addosso Israele.
Il mese scorso, le Nazioni Unite hanno celebrato il decimo anniversario della conferenza di Durban vergognosamente antisemita. Tutti i paesi progrediti hanno boicottato l’evento, condannandolo severamente. Coloro che volevano presentare Israele come razzista si sono ritrovati, loro, nella parte dei razzisti antisemiti.
Lo stesso vale per quei leader che si compiacciono della propria retorica anti-israeliana, come Adhmainejad ed Erodgan. Con ammirevole talento, Erdogan è riuscito ad abbassare la Turchia al livello di un paese da terzo mondo su cui non si può fare affidamento. Quelli che volevano isolare Israele hanno finito per isolare se stessi.
L’Australia oggi è alla testa di un gruppo di stati che hanno deciso di porre fine alle kermesse del razzismo anti-israeliano. Dopo un appassionante dibattito in parlamento, ha deciso di considerare reato le proteste e i boicottaggi contro le aziende israeliane in quanto tali. Ha dichiarato il ministro per i consumatori, Michael O’Brien: “Che si pensi di influire sulla politica del governo d’Israele attaccando le aziende che fanno affari con quel paese è semplicemente agghiacciante”.
Altrove, a Londra, circa un mese fa, dei manifestanti arabi che avevano inscenato una gazzarra per interrompere un concerto della Israeli Philharmonic Orchestra sono stati portati via dalla sala mentre il pubblico gridava: “Fuori, fuori!”. I palestinesi, in effetti, non hanno mai reso il genere di prestazioni che da tanti anni offre lo stato di Israele democratico, occidentale e amante della cultura. L’opinione pubblica occidentale inizia ad averne abbastanza di loro. Ecco una nuova idea da mettere in rilievo: Israele è cultura, mentre i suoi nemici sono anti-cultura.
Il cambiamento si inizia ad avvertire persino nei campus universitari, dove nascono decine di gruppi che spiegano le ragioni di Israele con un certo successo. Gli universitari non sono più sprezzanti come un tempo, sebbene alcuni di loro siano ancora dominati da un confuso discorso pacifista-terzomondista. Un esempio? La Columbia University di New York, che l’anno scorso aveva ospitato con tutti gli onori l’antisemita e negazionista Ahmadinejad, quest’anno gli ha chiuso la porta in faccia.
È un precedente che influirà su altre istituzioni accademiche di livello mondiale.
Davvero, la sensazione fino a pochi anni fa così diffusa che agli odiatori di Israele fosse permesso praticamente tutto, non è più predominante.
Guy Bechor