sabato, Settembre 21, 2024
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Catania record … 103^ su 103 capoluoghi di provincia …

Provo un grande dolore nel trovare Catania inchiodata da anni in fondo alle classifiche dei rapporti che fotografano periodicamente le condizioni sociali, ambientali ed economiche delle città italiane.

Gli indici che misurano la disoccupazione, la qualità della vita, la sicurezza dei cittadini, il benessere delle imprese, la sostenibilità dell’ecosistema urbano, purtroppo, confermano impietosamente il livello di degrado che tristemente osserviamo ogni giorno. 

Dal rapporto 2010 sulla qualità ambientale dei 103 capoluoghi di provincia in Italia realizzato da Legambiente e dall’istituto di ricerche Ambiente Italia con la collaborazione editoriale del Sole 24 Ore, riporto testualmente: “Ed eccoci in fondo al gruppo. 103ª si piazza Catania, una grande città, che negli ultimi anni è lentamente peggiorata e che già la scorsa edizione occupava l’ultimo posto. Il capoluogo etneo pecca nei settori più importanti del rapporto: ha una qualità dell’aria non ottimale, perdite della rete idrica al 50%, una depurazione al 20%, un trasporto pubblico scarsamente utilizzato, sempre più auto in circolazione, una elevata produzione di rifiuti, una percentuale ridicola di rifiuti raccolti in maniera differenziata, pochissimi centimetri di suolo urbano destinati a pedoni, ciclisti e ztl e meno di 5 metri quadri di verde per ogni abitante. Solo nel solare termico Catania è quinta assoluta, con 4,77 metri quadrati installati ogni 1.000 abitanti.”.

Lo sconforto aumenta perchè leggo sul giornale di oggi che gli impianti di solare termico, a cui fa riferimento il rapporto, realizzati sugli edifici di proprietà comunale nel 2005 con il progetto “Comune solarizzato” finanziato dall’Unione Europea non sono più in funzione perché i lavoratori assunti per la loro manutenzione sono stati licenziati nel 2006 per mancanza di fondi. Un peccato, una vergogna, una possibilità di risalire di qualche posto nella classifica, purtroppo vanificata.

C’è chi di queste notizie non se ne accorge o non se ne cura, chi reagisce con rabbia, chi con disperazione, chi con rassegnazione, c’è chi accusa la classe politica ritenendola l’unica responsabile di tanto squallore. C’è chi, rinnegando le proprie origini, immagina il proprio futuro in altri luoghi e c’è chi ha già fatto le valigie da tanti anni, andando ad investire altrove, sottraendolo alla propria terra, un importante capitale di intelligenza, conoscenza e relazioni.

Per fortuna c’è anche chi, sento che siamo ogni giorno sempre di più, riesce invece a far prevalere sul dolore e l’indignazione un grande amore verso questa terra, un senso di responsabilità, un desiderio di riscatto e di rilancio, una voglia di partecipare ad un progetto condiviso per un futuro sostenibile.

“Sostenibilità”, questa è la parola chiave, il presupposto e la premessa di qualsiasi approccio, atteggiamento e attività ma anche l’obiettivo ed il risultato da raggiungere. Basta con le enunciazioni ed i convegni, non è giusto inserirla nei programmi dei partiti se poi non si ha il coraggio e l’onestà di favorirne una sua applicazione quotidiana. Ne sento parlare dal 1971, avevo 10 anni quando il MIT pubblicò il rapporto dal titolo “I limiti dello sviluppo” promosso dal Club di Roma.

Dovevamo aspettare la crisi economica, finanziaria, ambientale, energetica e sociale a livello planetario per capire finalmente che non possiamo più permetterci il lusso di inseguire i sogni consumistici di una globalizzazione fatta di ricchezze accumulate senza lavorare, di mercati senza regole, di inquinamento, di sfruttamento delle risorse e delle persone, di guerre e di milioni di uomini che soffrono e muoiono ancora per la fame.

A livello locale, non possiamo più permettere a nessuno di calare dall’alto sul nostro territorio, con la complicità di politici, scienziati e giornalisti corrotti, progetti che perseguono solo l’interesse speculativo di grossi gruppi finanziari che hanno dimostrato di non curarsi affatto del consumo del territorio, della deturpazione del paesaggio, dei danni ambientali e dell’impatto sull’economia locale.

Un progetto, per avere successo ed essere sostenibile, deve necessariamente coinvolgere i portatori di interesse ed i portatori di conoscenza per procedere ad un’attenta analisi del contesto generale e locale, ma anche delle risorse e dei limiti del territorio. Deve prevedere che le istituzioni svolgano l’importante e delicato ruolo di mediazione tra la tutela dei beni comuni e dell’interesse pubblico diffuso con l’interesse particolare delle imprese private. Deve consentire e promuovere la partecipazione dei cittadini, la trasparenza degli atti amministrativi ed un’efficace azione degli organi di controllo.

Solo così sarà possibile coniugare il rispetto dell’ambiente e l’uso attento delle risorse con una sana e reale crescita economica delle imprese locali in grado di valorizzare le opportunità di un equilibrato rapporto tra città e territorio, creando coesione e giustizia sociale, senso di comunità, identità ed appartenenza.

Naturalmente penso, innanzitutto, ad un nuovo modello di agricoltura, dove la ricerca e l’innovazione siano indirizzati alla valorizzazione della qualità dei prodotti ed alla tutela della biodiversità, aspetti entrambi frutto di una tradizione millenaria, che tutto il mondo ci invidia. Anche per una città come Catania, con una spiccata vocazione nel settore del commercio e dei servizi, il risveglio del settore agricolo potrebbe rappresentare un importante impulso verso altri settori, anche in termini di benefici economici.

Penso alla vastità della piana di Catania, una delle aree più fertili del Paese, alla sconvolgente bellezza e alla vocazione per l’agricoltura della valle del Simeto, alla biodiversità che caratterizza l’agricoltura dell’Etna, dagli agrumi, all’olivo, al ficodindia, al mandorlo, agli ortaggi, al pistacchio, alle antiche varietà di pere, mele e pesche, al nocciolo, alla vite ed al suo ottimo vino, ai formaggi ed ai limoni della costa jonica. Un assortimento incredibile, un “supermercato naturale” che andrebbe meglio organizzato e comunicato al mondo intero e che sarebbe possibile visitare utilizzando la vecchia Circumetnea, se solo ce la smettessero di scavare gallerie e cementificare il suggestivo percorso originale.

A Catania c’erano, fino a pochi anni fa, 24 imprese che lavoravano la liquirizia che veniva raccolta nella piana, c’era uno stabilimento, vicino al porto, dove si lavorava il cotone, anche questo coltivato nella piana, c’erano industrie che lavoravano il sughero raccolto nei boschi di Caltagirone, c’erano imprese che esportavano mandorle e nocciole in tutto il mondo prima che sulle nostre tavole arrivassero i prodotti asiatici o americani, c’erano mulini e pastifici che producevano un’ottima farina e pasta utilizzando varietà locali di frumento, oggi soppiantati da chi senza scrupolo importa grano dal Canada a prezzi bassissimi, c’era un impianto per la produzione della birra che avrebbe potuto valorizzare l’ottima qualità dell’orzo prodotto in Sicilia, c’erano industrie che producevano succhi di agrumi e chi costruiva macchine e attrezzi per l’agricoltura.

E’ ancora possibile, anzi auspicabile, recuperare un rapporto tra la città ed il territorio attraverso l’organizzazione delle filiere agroalimentari puntando sulla qualità, sulla tracciabilità, sulla comunicazione e sugli aspetti logistici, sia per una distribuzione verso i mercati locali che per l’esportazione dei prodotti di eccellenza che esprimono un forte legame con il territorio. L’area di sviluppo industriale di Catania potrebbe riscoprire la sua vera vocazione e rappresentare il luogo ideale per l’insediamento di attività legate alla lavorazione, trasformazione e distribuzione dei prodotti agroalimentari grazie anche alla vicinanza ed alle connessioni con le infrastrutture di trasporto.

Penso anche ad un nuovo modello di turismo, che valorizzi la posizione strategica al centro del bacino del mediterraneo e che si basi sulla capacità di stabilire relazioni personali tra chi viaggia e chi accoglie, con percorsi che permettano una vera fruizione dei beni culturali, storici e architettonici del nostro territorio e la scoperta degli immensi e variegati giacimenti enogastronomici. Penso alla ristrutturazione delle regie “trazzere” e la realizzazione di piste ciclabili all’interno della città ma anche intorno all’Etna, lungo la valle del Simeto e quella dell’Alcantara e poi lungo la costa jonica, tra la foce dei due fiumi. Penso al porto di Catania che dovrebbe riscopre la sua vera vocazione turistica. Penso ad una delle più belle spiagge del mondo, la Plaja di Catania, liberata dal traffico, dalle costruzioni abusive e dalle acque inquinate dagli scarichi fognari. Penso alle ricadute economiche che potrebbe generare il turismo culturale, scolastico, congressuale, sociale e naturalistico.

Agricoltura, turismo, ma anche artigianato e piccola industria ad esempio nel settore tessile, riattivando le filiere del cotone, del lino, della canapa, della lana, in quello della lavorazione del legno, che si potrebbe ricavare da una riforestazione produttiva delle aree interne della Sicilia, in quello dei materiali naturali per la bioedilizia, dall’argilla alla terra cotta, dagli intonaci alle pitture ecologiche, ma anche nel settore delle energie rinnovabili, della gestione sostenibile dei rifiuti, dalla riduzione al riuso, dal riciclo dei materiali al compostaggio della frazione organica e della mobilità sostenibile per rendere la città più pulita, accogliente e vivibile.

Desiderare tutto questo non è né utopico né un atto di presunzione. In questo momento nel mondo ci sono città che hanno scommesso su un futuro sostenibile, adottando la “strategia rifiuti zero” come San Francisco e Los Angeles, puntando sul risparmio idrico, sulla qualità dell’aria e sulla sostenibilità dei mezzi di trasporto come Barcellona, riducendo le emissioni di gas serra ed incrementando l’utilizzo delle energie rinnovabili come Parigi, con campagne per rendere la città più verde e vivibile come Londra, attraverso la diffusione di pannolini lavabili ed il riutilizzo di materiali di scarto come Berlino o dotandosi di sistemi depurativi ecosostenibili e prevedendo il totale abbandono del petrolio come Stoccolma, capitale verde d’Europa nel 2010.

Chi o che cosa impedirebbe a Catania di attivare contemporaneamente questi percorsi virtuosi? Qual’è il motivo per cui dovremmo rinunciare a dei modelli sostenibili di sviluppo economico come quelli dell’agricoltura, del turismo, dell’artigianato e della piccola industria? Perché non lanciare una grande campagna per l’applicazione delle buone pratiche adottate con successo in altre parti del mondo e che permettono un grande risparmio di risorse, la creazione di tantissimi posti di lavoro ed una migliore qualità della vita? Ci rendiamo conto di quali immensi vantaggi, anche in termini di immagine, possono derivare per Catania da una svolta netta in direzione della sostenibilità? E quali importanti sinergie si possono realizzare con il mondo della formazione, della ricerca scientifica, della produzione, del turismo, dell’arte e della cultura? E con quali effetti sul livello complessivo della qualità della vita grazie al calore delle relazioni che una città come Catania riesce sempre ad offrire rispetto alle fredde capitali del nord Europa?

Mettiamoci al lavoro, è una sfida emozionante. Troviamo un metodo nuovo per mettere in rete le energie positive di questa città e costringere la politica e le istituzioni ad avvicinarsi alle esigenze dei cittadini. Catania potrà sorprendere il mondo intero e diventare il punto di riferimento del Mediterraneo. Facciamolo in fretta, per noi ma, soprattutto, per i nostri figli, prima che siano troppo grandi.
Paolo Guarnaccia

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