“Il cane pazzo del Medio Oriente”, come il presidente Usa Ronald Reagan definì Muammar Gheddafi nel 1986 dopo che terroristi libici avevano fatto esplodere una discoteca a Berlino frequentata da militari americani, oggi spara sulla sua stessa gente. E solo questo, finalmente, ha suscitato le preoccupazioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Alla discoteca bombardata fece seguito l’esplosione per mano di terroristi libici del volo 103 della Pan Am sopra Lockerbie nel 1988, e poi nel 1989l’esplosione sopra il Sahara del aereo di linea francese UTA 772. Ciò nondimeno, nel 2008 la Libia veniva quasi unanimemente eletta al Consiglio di Sicurezza, e il suo rappresentante ne assumeva la presidenza a rotazione. Nel 2010 la Libia è stata anche eletta a membro del Consiglio Onu per i Diritti Umani, con il voto favorevole di 155 paesi su 192.
Per tutti questi anni Gheddafi ha continuato regolarmente a lanciare infamanti attacchi contro Israele, accusandolo – fra l’altro – d’aver tramato l’assassinio di John F. Kennedy e di essere responsabile delle violenze nel Sudan. Il sostegno a Israele del presidente americano Barack Obama, è giunto a sostenere Gheddafi, scaturisce da un complesso d’inferiorità di Obama per le sue origini africane.
Per anni la Libia di Gheddafi è stata accettata come un membro rispettabile della comunità delle nazioni. Gheddafi riceveva i leader che venivano a fargli visita a Tripoli e veniva ricevuto con tutti gli onori nelle capitali del mondo. L’agente dell’intelligence libica responsabile dell’attentato di Lockerbie, condannato nel 2001 in Gran Bretagna a 27 anni di reclusione, è stato rilasciato otto anni dopo per “motivi umanitari” ed ha potuto tornare in Libia dove ha ricevuto una trionfale accoglienza di stato.
L’ipocrisia di cui hanno dato prova i paesi democratici, grandi e piccoli, verso la Libia di Gheddafi, ora rivelata in tutta la sua crudezza, probabilmente non ha eguali negli annali della storia moderna. Essa ha ridotto a una barzelletta le Nazioni Unite e il Consiglio di Sicurezza. Danneggiando la credibilità dell’Onu e delle sue istituzioni, essa ha seriamente compromesso la capacità delle potenze mondiali di ricorrere all’Onu nella gestione degli affari e delle crisi internazionali.
L’atteggiamento delle Nazioni Unite e di molti governi del mondo verso Israele, l’attacco ininterrotto alle politiche di Israele e la continua minaccia di condanne e sanzioni rappresenta un ulteriore esempio di ipocrisia senza vergogna. Accompagnarsi gomito a gomito con i peggiori dittatori mentre si dà addosso al democratico Israele è diventata una moda. L’ultima mozione di condanna delle attività edilizie israeliane in Giudea e Samaria (Cisgiordania) presentata al Consiglio di Sicurezza e bloccata dal veto americano, è stata sostenuta niente meno che dal rappresentante del Libano, un membro a pieno titolo del Consiglio anche se quel paese è oggi controllato da Hezbollah, un’organizzazione terrorista responsabile, fra l’altro, dell’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri.
Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che minaccia Israele con decine di migliaia di razzi accumulati con l’aiuto di Siria e Iran, merita un posto d’onore accanto a Gheddafi. A tutti gli effetti, è un suo rappresentante quello che oggi siede al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Sarebbe veramente ora di porre fine all’ipocrisia che permea i corridoi del palazzo di vetro di New York. E farlo è compito dei membri democratici delle Nazioni Unite.
Con tutta evidenza l’atteggiamento ipocritamente benevolo tenuto dai leader del mondo verso Gheddafi e altri dittatori arabi nel corso degli anni non ha convinto le popolazioni di Tunisia, Egitto, Libia, Yemen e Bahrain a continuare a patire sotto quei governi dittatoriale. Ne hanno avuto abbastanza di quei leader, dell’oppressione, della corruzione, della povertà e dello squallore.
Un concetto tuttavia che non sembra essere entrato nella testa dei parlamentari arabo-israeliani alla Knesset, che poco tempo fa si sono recati in Libia a rendere omaggio allo squilibrato leader libico impazzito. Non è possibile che quella visita rappresenti davvero i sentimenti della maggioranza dei cittadini arabi d’Israele.
La buona notizia è che i dimostranti nelle capitali arabe pare abbiano solo sporadicamente esibito manifesti anti-israeliani. La rabbia dei manifestanti in Tunisia, Egitto, Yemen e Libia sembra rivolta contro i loro oppressori e contro le ingiustizie che hanno sofferto per mano loro, e non – almeno questa volta – contro Israele.
Noi in Israele possiamo solo sperare che questa rivoluzione araba non venga dirottata da fanatici islamisti, e che col tempo Israele possa trovarsi finalmente a vivere fra vicini democratici. L’attrice franco-marocchina Rachida Khalil ha recentemente dichiarato ad un programma radiofonico in Marocco che “sogna di vedere un paese arabo, laico e democratico”. Se questo è anche il sogno della maggior parte dei dimostranti, questa sarebbe una buona notizia non solo per il mondo arabo, ma anche per Israele.
Moshe Arens