Come giudica le proteste in Egitto?
Rubin: Si è tentati di vedervi una rivoluzione che abbatterà il regime. Ma l’Egitto non è la Tunisia. Le manifestazioni sono certamente piene di impeto, non né chiaro se il numero di coloro che vi partecipano sia davvero così enorme. Se la élite e l’esercito resteranno uniti, potrebbero comunque prevalere, eventualmente rimuovendo Mubarak pur di salvare il regime. Bisogna essere cauti nel tirare conclusioni.
Vede la minaccia di una presa del potere da parte degli islamisti della Ikhwan (la Fratellanza Musulmana)?
Rubin: Finora la rivolta non è stata guidata dalla Fratellanza Musulmana. Ma essa è l’unico grande gruppo di opposizione organizzato. È difficile immaginare come possa non diventare, prima o poi, la forza leader. La dirigenza dovrà infine stabilire che si trova di fronte a una situazione rivoluzionaria e che questo è il momento giusto per uno tentativo a tutto campo. Ma se lo fa e fallisce, vi sarà una terribile repressione e il gruppo ne uscirebbe schiacciato. A quanto pare la Fratellanza Musulmana si stia unendo alle proteste, ma non ha ancora preso la decisione di fondo. A lungo termine, se il regime verrà completamente rovesciato, credo che la Fratellanza Musulmana emergerà come forza leader e forse come la forza al comando del paese.
Vede la possibilità che l’Egitto sia testimone dello stesso modello dell’Iran del 1979: proteste democratiche sfociate in un potere islamista?
Rubin: La possibilità c’è senz’altro. Innanzitutto, finora i manifestanti mancano di un leader carismatico. Inoltre, le leadership alternative non-islamiste sono probabilmente più deboli di quanto fossero in Iran. Si ricordi che la rivoluzione iraniana andò avanti per quasi un anno, e gli islamisti emersero come capi solo dopo i primi cinque o sei mesi. Molti esperti prevedevano che si sarebbero affermati come governanti i democratici moderati, e dicevano che un regime islamista era impossibile. Ma le cose sono andate diversamente. Circa i rischi che corre l’Egitto, spero davvero di sbagliarmi.
Come può essere cambiato e riformato lo status quo arabo senza lasciare che i fanatici islamisti prendano il potere? È possibile vedervi l’affermazione di democrazia e liberalismo?
Rubin: Ci vorrebbero, fra le altre cose, leader più forti, organizzazioni solide, la capacità di controllare le opposizioni, un programma chiaro e unità delle forze riformatrici. Nulla di tutto questo è presente sul fronte democratico-moderato. Di nuovo, vorrei che le cose stessero in modo diverso. Qui più che in altri paesi i riformatori, anche se non tutti, hanno creduto di poter collaborare con gli islamisti e di poterli manovrare. Il che sembra un grosso errore. Le chance della democrazia e del liberalismo sono diverse da paese a paese. La Tunisia ha buone possibilità, perché ha una forte classe media e un movimento islamista debole. Ma in Egitto, basta guardare i dati dell’ultimo sondaggio del Pew Research Center. Al 30% degli egiziani piace Hezbollah (al 66%, no); il 49% ha un’opinione positiva di Hamas (il 48% ce l’ha negativa); e il 20% vede con favore al-Qaeda (contro il 72% che la guarda male). In parole povere, un egiziano su cinque plaude al gruppo terrorista islamista più estremista del mondo, mentre circa un egiziano su tre sostiene forze eversive islamiste in paesi esteri. Questo non ci dice in che proporzione gli egiziani desiderino un governo islamista in casa loro, ma è un indicatore. In Egitto, l’82% degli intervistati vorrebbe la lapidazione contro chi commette adulterio, il 77% sarebbe favorevole a fustigazione e taglio delle mani per i colpevoli di furto e l’84% alla pena di morte contro un musulmano che si converta ad altra religione. Alla domanda se sostenga i “modernizzatori” o gli “islamisti”, solo il 27% degli egiziani risponde “i modernizzatori”, contro il 59% che sostiene gli islamisti. Non vuol dire nulla? Lo scorso dicembre scrissi che “questi dati agghiaccianti in Egitto un giorno potrebbero essere citati per spiegare una rivoluzione islamista. Ciò che mostra questa analisi – scrivevo – è che in Egitto e in Giordania è del tutto possibile una futura rivoluzione islamista”.
Che genere di minaccia pone la rete della Fratellanza Musulmana a Israele e alle democrazie occidentali?
Rubin: Se va al potere? Una minaccia enorme: nuovi atti di guerra, antiamericanismo travolgente, sforzi per propagare la rivoluzione in altri stati moderati, possibile (anche se non automatico) allineamento con Iran e Siria, danni incalcolabili agli interessi occidentali. Insomma, un vero disastro. Ciò che più mi colpisce è che come mass-media ed esperti occidentali sembrino così trascinati da questo movimento da considerarne solo il migliore sbocco possibile. Come ho detto, preferirei che le cose stessero in modo diverso, ma sono profondamente preoccupato.
E una delle cose di cui sono preoccupato è che così tanti non sembrano preoccupati. Ora, di fondo vi sono due sbocchi possibili: il regime si ristabilizza (con o senza Mubarak), oppure il potere passa di mano. A chi? Diamo un’occhiata ai precedenti nella regione. Si ricorda la rivoluzione iraniana, che vide ogni genere di persone riversarsi in strada per chiedere libertà? Oggi il presidente iraniano è Mahmoud Ahmadinejad. E la primavera di Beirut, con la gente in piazza a chiedere libertà? Oggi è Hezbollah che governa il Libano. E la democrazia e le libere elezioni fra i palestinesi? Oggi la striscia di Gaza è sotto il controllo di Hamas (e la Cisgiordania è a rischio). E la democrazia in Algeria? Furono decine di migliaia le persone uccise nella spaventosa guerra civile che ne seguì per anni. Non deve necessariamente andare in questo modo, ma certo i precedenti sono piuttosto scoraggianti.