sabato, Settembre 21, 2024
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Cretto di Burri. La regione pensa al restauro di una costruzione insulsa ed offensiva della memoria dei morti, pomposamente definita “opera”

Il terremoto del 1968 che ha sconvolto la Valle del Bèlice torna in questi giorni d’attualità per due motivi. Il primo, vergognoso, è quello della interminabile ricostruzione e della necessità di reperire altri finanziamenti per una ricostruzione interminabile che ha già assorbito risorse molto superiori  alle reali necessità, sparite nei meandri di una burocrazia clientelare e collusa tipica del sistema “Sicilia”, il secondo, non meno vergognoso, è il “sacco” di Gibellina vecchia cementata con blocchi informi che prendono il nome dall’uomo che l’ha pensato, il “cretto di Burri”.
Ricordiamo a chi elemosina ancora fondi, che il Friuli fu sconvolto nel 1976 da un terremoto che ha distrutto interi paesi. Gemona fu il simbolo della sofferenza e Gemona, a distanza di pochissimi anni, circa 5, è il simbolo della rinascita del popolo friulano.
Il Bèlice invece, 43 anni dopo, al di là di una ricostruzione vergognosa, basti pensare Gibellina, ricostruita “fredda” e lontana dall’essere un luogo abitato da genti,  chiede ancora risorse economiche e ancora oggi le baracche “provvisorie”, sono abitate perché divenute nel tempo “ricoveri” definitivi.
Ma oltre a ciò, la grande pensata degli amministratori dell’epoca, di aderire ad un progetto vergognoso. Cancellare Gibellina distrutta con una colata di cemento. Detto fatto, tanto i denari arrivavano a fiumi e senza controlli tutto era possibile.

Il cemento di Burri
Il cemento di Burri

Una parte di Gibellina fu ingabbiata e le case distrutte divennero blocchi informi di cemento. Un’opera si disse e si continua a dire dal nome che evoca tragedie “Cretto di Burri”. Cretto sta a significare spaccature, crepe, quindi tragedie, Burri è il nome dell’ideatore .
A costruirlo … gili operari e l’uso di centinaria di betoniere di allora con qualità di cemento dubbia.  Semplicemente un insulto ai morti, alle sofferenze, al buon senso e all’arte.
Un’altra parte della città antica, è rimasta abbandonata, quasi a trasmettere a posteri, il grado di inciviltà e di incapacità di una classe politica e di una
La vergogna!
La vergogna!

popolazione incapace di ribellarsi per mantenere in vita la propria città, la propria identità e la propria cultura.   
E’ notizia di oggi. L’assessore regionale ai beni culturali e dell’identità siciliana (?), con i dirigenti del Mibac (Ministero dei beni culturali) hanno individuato quali percorsi attivare per reperire le risorse destinate al restauro del cretto di Burri di Gibellina.
La Regione però sta verificando quali interventi può’ mettere in campo per tutelare questa opera d’arte che rappresenta, secondo l’assessore,  “la memoria della tragedia del terremoto”.
Secondo l’assessore, “L’appello non resterà  inascoltato da parte nostra e del ministero c’e’ la massima attenzione e disponibilità’. Il Cretto e’ un museo all’aperto, patrimonio della collettività e di cultura che dobbiamo salvaguardare perché contiene i valori della nostra identità”.
Tutto ciò, mentre la nuova Gibellina vive nel pieno dell’anonimato culturale, paesaggistico e sociale, e parte della vecchia è una città abbandonata e spettrale.
Il cretto un museo aperto ? Ce ne vuole di immaginazione per definire blocchi informi di cemento “museo” e contenitore dei valori dell’identità siciliana.
Euno si ribellerebbe se vivesse in quest’epoca feudale.
Ma tant’è che per spendere soldi pubblici ogni “pensata” è utile alla bisogna…

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