E’ la domanda che da tempo si pongono molti, soprattutto i lavoratori della CRI. I sindacati sono in fibrillazione e minacciano scioperi, il corpo militare sempre nell’occhio del ciclone per via delle continue proroghe concesse nei decenni e che molti ritengono non corrette, i conti non tornano, anche per via di certe convenzioni che si sono rivelate veri e propri pozzi senza fine portando gravi deficit economici, il patrimonio immobiliare dell’associazione non correttamente “inventariato” e abbandonato in buona parte.
A ciò si aggiunge una situazione di eterna conflittualità dai contorni difficili da comprendere per chi non è parte del pianeta CRI.
Questa è la situazione in cui da oltre due anni si trova ad operare il Commissario Straordinario, Francesco Rocca, nominato per mettere ordine, riorganizzare l’associazione e sanare il deficit economico.
Ha risolto, un po’ la questione SISE riuscendo a far uscire dalla palude siciliana senza grossi scossoni.
Ma nel complesso, come ha rilevato la trasmissione Report, la CRI appare ben lungi dall’uscire dal tunnel in cui è stata cacciata in decenni di “monopolio” politico e di amministrazioni allegre e non proprio esenti da critiche anche da organi di controllo ministeriali.
Rimane, quella della CRI, una situazione precaria e alquanto difficile da gestire.
La Repubblica del 10 dicembre 2009, con sottolinea come la Croce rossa, sia «un ente costretto a muoversi al confine fra solidarietà e spreco, fra volontariato entusiasta e lavoro assistito. … La grana più grossa rimane quella della riorganizzazione del corpo militare, una delle sei componenti della Croce rossa (le altre sono i volontari del soccorso, i donatori di sangue, i giovani pionieri, le pie donne e le crocerossine) che, a leggere il j’accuse dell’ispettore del ministero, si è trasformata in un carrozzone. Ben 670 degli 877 militari in servizio continuativo nel corpo sono stati di fatto stabilizzati «senza che alcuna norma lo prevedesse».
Così succede che la storia del corpo militare, giunta alla ribalta nazionale, assuma due volti a seconda di chi ne siano gli attori: quello dello “scandalo” delle assunzioni e della creazione di un sistema anomalo e quello della “magnificazione” di un servizio che, nell’ottica della riorganizzazione, dovrebbe dare lustro alla Croce Rossa italiana. Due facce di una stessa medaglia, insomma.
Rocca si sta muovendo in diverse direzioni, ma ai più questo suo agire non appare lungimirante e viene accusato di gestire la CRI più o meno come i suoi predecessori.
La questione delle proroghe dei militari è tutta da chiarire. Lo stesso Rocca ha preso le distanze da loro dichiarando che “non sono figli miei”, ma allo stesso tempo ha dichiarato che il problema a questo punto è sociale che deve essere risolto politicamente. Nel frattempo li mantiene in servizio perché la domanda che si pone è , come si fa a mandare a casa gente che lavora da anni in CRI e che nel tempo si è costruito una famiglia, ha acceso un mutuo per la casa ? Atteggiamento che potrebbe essere anche condivisibile ma siamo sicuri che questa preoccupazione “sociale” è applicata o stata applicata a tutti i militari indistintamente negli anni e nell’attuale grave momento socio economico?
Leggendo qua e là giornali e riviste sembrerebbe evidente che no, l’aspetto sociale non sembra essere stato applicato, e non verrebbe applicato per tutti.
Rocca parla di aspettativa di vita e di un caso sociale, ma parlare di caso umano nei richiami o nelle proroghe dei militari, penso che si perseveri nella logica del recente passato (?) del clientelismo.
Anche forzando l’intelligenza, non si riesce a trovare alcun elemento nelle norme che regolano i contratti della P.A., di soluzione di casi umani e sociali. Questa tipologia di riferimento si può trovare nelle norme di che regolano l’assistenza sociale, la sanità, e i contributi relativi alla CIG (cassa integrazione guadagni) che sono di competenza del Ministero del Lavoro, della Sanità e dell’INPS.
E qui si innesca un altro problema, ovvero, la questione dei civili precari. Sarebbe interessante che il Commissario Rocca ci potesse dire come stanno effettivamente le cose per il personale con le stellette, ma senza dimenticare che si sta manifestando dirompente, il problema del personale civile che accusa Rocca di nepotismo e di violazione di tutta una serie di norme di legge.
Proprio il 1° di gennaio scorso, la RdB ha attivato la procedura di conciliazione e quindi a questo punto si potrà cominciare ad avere elementi per capire dove sta la verità e cosa si devono aspettare i lavoratori precari e i quadri civili, dalla CRI nel prossimo futuro.
Uno dei motivi della contestazione sta nella decisione di Rocca di riconsiderare le convenzioni, specie quelle in perdita, cosa che appare come un fatto positivo ma non sembra che sia stata contestualmente considerato il problema di una clausola sdi salvaguardia per quanti, precari da qualche decennio, lavorano per conto CRI attraverso queste convenzioni.
La soluzione non è certo facile. Il Commissario Rocca afferma che certo non si può mandare a casa quei militari che da anni prestano servizio e che in Cri si sono costruiti una aspettativa di vita, ma a questo punto stesso metro di attenzione sociale, seppur non normato come detto da leggi che riguardano i contratti nella P.A., dovrebbe essere dato a anche questi “atipici” precari, che a loro volta si sono costruiti in CRI un futuro.
Tralasciando tutti le contestazioni rivolte a Rocca che fanno parte del contenzioso sindacale, cosa si sta facendo in questa direzione ?
Il problema quindi, in ottica futura e di un risanamento dell’associazione, va inquadrato tenendo conto dei numeri complessivi del “precariato”, sia militare che civile, della quadratura dei conti, e non ultimo, della corretta, professionale e trasparente amministrazione dell’associazione a tutti i livelli.
La soluzione del problema del personale, non di poco conto, deve camminare di pari passo con l’auspicabile opera di risanamento complessivo della CRI, anche in l’ipotesi di privatizzazione che da tempo circola in ambiente CRI e non solo, cominciasse a svilupparsi.
I danni attuali, sono figli di una politica distratta che per decenni però ha utilizzato l’associazione come un vero pozzo di San Patrizio per fini politici e non solo e da gestioni non proprio esenti da pesanti critiche, ma se davvero si vuole arrivare alla privatizzazione e al risanamento, non basta pensare solo al commissariamento come fin qui fatto, bisognerebbe far si che la Croce Rossa possa disporre di quegli strumenti normativi italiani idonei ad avviare il processo di privatizzazione, compresa la necessaria autorizzazione da Ginevra, e quindi mettere in atto un progetto di riassetto definitivo della CRI per metterla al passo con i tempi.
Ma soprattutto, bisognerebbe che la politica stesse fuori dalla CRI, perché dove interviene, provoca danni e dissesti. Recentemene Report ha portato alla luce l’immenso patrimonio della CRI abbandonato negli anni per motivi inspiegabili secondo alcuni, per “ipotesi di speculazione” secondo altri. Una cosa è certa, la precaria situazione del patrimonio immobiliare di cui sembra che non si conosca ancora perfettamente l’entità, ha delle responsabilità e queste sono da imputare ai vertici CRI che si sono succeduti nei decenni. Ed è responsabilità dei vertici CRI, e ovviamente anche dei soci che sembra non siano mai intervenuti, il fatto che l’ultimo bilancio CRI è fermo al 2005.
Da l’Espresso del 23 marzo 2010 “non stupisce che in Italia, unico caso in Occidente, l’ente invece di essere indipendente è sotto il controllo ferreo dei partiti. Che da sempre usano la Croce rossa per fare assunzioni di massa (migliaia di precari militari e civili sono stati chiamati senza concorso e senza criteri): le emergenze e le calamità sono eventi secondari. I bilanci non vengono approvati dal 2005, e i commissari straordinari vanno e vengono».
La domanda che si pone oggi, anche alla luce di tutta una serie di problematiche che emergono anche a causa di normative contrastanti e di idee politiche confuse, è, a chi ne giova lo status quo ?
Considerato che da alcuni anni si parla di riformare la CRI ma non sembra che il Parlamento abbia mai approvato leggi di riferimento, è da supporre che la politica non sia interessata ad una CRI, efficiente, ben organizzata e ben gestita, e soprattutto trasparente e non sprecona.
La Croce Rossa, fiore all’occhiello dell’Italia post bellica, deve ritornare ai suoi iniziali splendori e per fare ciò occorre una classe dirigente preparata, scevra da rapporti con la politica, e norme che la possano portare ad una efficiente organizzazione al passo con i tempi.
Se per questo deve essere privatizzata, si abbia il coraggio politico di intervenire con quella urgenza che il caso necessita, senza ma e senza se, ma soprattutto tenendo conto della necessità di salvaguardare i diritti della componente umana, e per il rispetto che lo stato italiano deve (non dovrebbe), a quelle migliaia di VOLONTARI della CRI, che estranei dalle beghe e dagli intrighi di palazzo, operano quotidianamente, senza percepire alcun compenso e togliendo tempo alla propria famiglia ed al proprio lavoro, per assistere indigenti e persone vulnerabili.
Sono loro in definitiva, la Croce Rossa italiana a cui tutti devono dire … grazie di esistere.