[…] Vale la pena concentrare l’attenzione su una delle tante affermazioni tendenziose che compaiono nel rapporto di 166 pagine diffuso da Human Rights Watch lo scorso 19 dicembre dal titolo “Separati e diseguali” (il più lungo rapporto su ipotetiche violazioni in un paese del Medio Oriente pubblicato quest’anno dall’organizzazione), per illustrare quanto sia purtroppo fondato il frequente risentimento da parte israeliana.
Il rapporto biasima Israele per una presunta politica discriminatoria nella ripartizione dell’acqua. Human Rights Watch afferma che “il consumo medio israeliano pro capite di acqua, compresa l’acqua usata dai coloni, è 4,3 volte quello dei palestinesi dei territori occupati (compresa Gaza)”. Il che è vero, se messo in questi termini: il consumo di acqua pro capite fra i palestinesi è di 70 litri al giorno, contro una media israeliana di 300 litri al giorno per persona.
Ciò che Human Rights Watch non dice, tuttavia, è che l’accesso palestinese alla rete idrica è enormemente migliorato negli scorsi decenni, e che è significativamente migliore di quello in Siria e in Giordania, i paesi che avrebbero ancora il controllo su Cisgiordania e Golan se non avessero attaccato Israele nella guerra del 1967. In realtà, come ha osservato in un recente articolo su “Israel Journal for Foreign Affairs” Alon Tal, del Blaustein Institute for Desert Research dell’Università Ben-Gurion, Israele ha significativamente superato i requisiti degli Accordi di pace “Oslo Due” del 1995, incrementando la fornitura di 60 milioni di metri cubi all’anno al posto dei 28,6 milioni di metri cubi previsti.
Quel 10% della popolazione palestinese di Cisgiordania che non gode di un ragionevole accesso all’acqua corrente può essere utilmente messo a confronto con, ad esempio, la Romania (paese UE) dove un terzo della popolazione non ha acqua corrente in casa; oppure – per restare a pochi chilometri da qui – può essere comparato a Irbid, la seconda città di Giordania, nella quale 400mila abitanti (su 660mila) non hanno accesso all’acqua.
L’accesso all’acqua relativamente diffuso in Cisgiordania non si è prodotto da sé. Un rapporto della Banca Mondiale dell’aprile 2009 sottolineava che è a Israele che si deve un aumento del 50% del numero di palestinesi di Cisgiordania che hanno accesso alla rete di distribuzione idrica.
La Banca Mondiale stimava inoltre che il 45% dell’acqua ai palestinesi (e coloni) di Cisgiordania viene garantita da Mekorot, il fornitore idrico nazionale israeliano, attingendo a fonti che si trovano all’interno di Israele. Cosa che oltretutto si è venuta realizzando nel corso degli ultimi due decenni durante i quali la popolazione palestinese si è triplicata, fino a 2.461.000 persone. Conclude Tal: “Vi sono ben poche economie in via di sviluppo che abbiano conseguito miglioramenti così notevoli in un così breve arco di tempo”.
Nulla di tutto questo compare nel rapporto di Human Rights Watch. E mentre contro Israele viene mossa una litania di accuse – dalla “eccessiva estrazione di acqua” al “rifiuto di approvare progetti idrici palestinesi” –, ai palestinesi non viene attribuita mai la minima responsabilità. Eppure, scrive ancora Tal, il 30% dell’acqua palestinese si disperde a causa della pessima manutenzione delle condutture: tre volte l’acqua che perde Israele per dispersione.
L’Autorità Palestinese – con un miliardo di dollari all’anno di aiuti civili, il più grande beneficiario al mondo per assistenza internazionale allo sviluppo pro capite – investe poco o nulla nel miglioramento della distribuzione dell’acqua. Non basta. A causa della corruzione imperante nell’Autorità Palestinese, i residenti rurali sono spesso costretti a pagare tariffe esorbitanti per l’acqua in bottiglia o in cisterna.
E la carente applicazione delle leggi da parte dell’Autorità Palestinese si traduce nello scavo illegale di pozzi che minacciano di contaminare le falde acquifere più importanti.
Questo distorto modo di trattare la politica idrica di Israele non è che un esempio delle più ampie deficienze di Human Rights Watch, recentemente documentate in modo scioccante da una conferenza dello stesso indignato fondatore di Human Rights Watch, Robert Bernstein.
Non solo l’attenzione ossessiva e pregiudiziale di Human Rights Watch restituisce un’immagine deformata di Israele, ma è anche controproducente per la causa palestinese. Secondo gli standard israeliani, l’ammontare di acqua disponibile per i palestinesi, sebbene maggiore di tanti paesi in via di sviluppo, è inadeguata.
Ma ciò che Human Rights Watch deliberatamente tace è che questo fatto è il frutto di una realtà complessa, che comporta anche gravi negligenze da parte palestinese.
Finché le realtà specifiche e il contesto verranno intenzionalmente ignorati dalle organizzazioni per i diritti umani pur di mantenere in vita ciniche campagne di propaganda anti-israeliana, i problemi di fondo che affliggono israeliani e palestinesi continueranno ad essere distorti, travisati e, di conseguenza, sempre più difficili da risolvere.