Una trafficata strada in pieno giorno, a Khartoum, capitale del Sudan. Decine di persone si riuniscono in ansiosa attesa di assistere all’esecuzione di un verdetto inflitto a una donna del posto che ha osato indossare pantaloni.
Diversi poliziotti conducono la “criminale” sulla piazza e la costringono a inginocchiarsi, e a mettersi carponi. Lei urla per chiedere aiuto, ma non c’è nessuno che possa salvarla. Uno dei poliziotti inizia a frustarla. Le grida e i gemiti della donna non hanno alcun effetto; al contrario, sembra quasi che facciano piacere al poliziotto che continua a batterla mentre i suoi colleghi tutori della legge ridacchiano. Un altro poliziotto si avvicina alla donna e si aggiunge alla fustigazione. Mira alle parti più intime del suo corpo. Anche il giudice che ha emesso la sentenza è presente, per assicurarsi che la punizione venga eseguita inflitta fino in fondo.
Un minuto e mezzo di orrore è abbastanza. Chiunque sia stato a documentare l’evento stomachevole, a quanto pare ha temuto che la “polizia della morale” procedesse ad occuparsi anche di lui. Ma da allora, più di dieci milioni di persone hanno visto su internet la nauseante videoregistrazione.
Messo di fronte a queste immagini, mi vergogno di essere arabo. Io non ho niente in comune con quel giudice, quei flagellatori né con gli spettatori in quella piazza, perché quella gente non ha relazione di sorta, diretta o indiretta, con umanità, sentimenti, libertà private o collettive.
Perché i mass-media arabi sono stati zitti? Perché la popolarissima tv al-Jazeera non ha dedicato una trasmissione speciale per discutere il fatto? Non è forse vero che l’indifferenza aggiunge oltraggio alla violenza?
Stando ai rapporti dei gruppi per i diritti umani, nelle piazze sudanesi hanno luogo un migliaio di fustigazioni ogni giorno. Un migliaio di donne vengono gettate carponi, umiliate, percosse come animali davanti a una folla di spettatori per terrorizzare le masse. Fatemi un favore, sorelle e fratelli arabi: il nostro dovere nazionale e morale è di sollevare il massimo clamore contro questi atti barbarici.
Noi condanniamo certi atti deplorevoli dei soldati israeliani in Cisgiordania e nella striscia di Gaza, protestiamo, reclamiamo commissioni di inchiesta, sosteniamo l’incriminazione dei colpevoli davanti a corti internazionali, pubblichiamo innumerevoli articoli, dedichiamo ore e ore di trasmissioni radio-televisive alla discussione dei problemi dell’occupazione. Eppure, con tutti gli arresti e le ingiustizie ai posti di blocco, l’occupazione non ha mai fatto ricorso alla fustigazione in piazza. Senza contare il fatto che agli occhi dei soldati delle Forze di Difesa israeliane i palestinesi possono apparire come nemici, mentre noi arabi martoriamo noi stessi: e con le fustigazioni in piazza, chi ha più bisogno di nemici?
Per quanto tempo resteremo indifferenti? Perché noi, membri della grande nazione araba, ci comportiamo con questa doppiezza? Cosa ci impedisce di mobilitare le masse per questa causa? Dove sono andati a nascondersi i nostri intellettuali? Dove sono i campioni dei diritti umani?
Gli esseri umani arabi non sono oggetti, è lo stesso vale per le donne arabe. Tutti noi abbiamo il diritto di essere liberi. Guardatevi attorno. I popoli del Sud America sono riusciti a sconfiggere ed cacciare i governanti che li martoriavano.
Non dobbiamo adattarci al bieco stato di cose che ci vede prigionieri nelle mani di forze oscure che fanno un uso cinico della religione. Se la nazione araba non riacquisterà la ragione e non si darà da fare per una completa separazione fra stato e religione in ogni singolo paese, la sua condizione – che è già grave così com’è – continuerà a peggiorare. A quel punto, nessuno sforzo di rinascita sarà più di aiuto.
In realtà la presa del potere da parte dell’islam fondamentalista è la ricetta sicura per la rovina della nazione araba.
Zohir Andreus