lunedì, Novembre 25, 2024
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Israele sull’orlo del fascismo?

“Come fai a non vedere che sta per arrivare il fascismo”, mi ha scritto qualcuno di recente. Il problema è che il fascismo sta per arrivare da (almeno) trentatré anni.
È dalla sera del capovolgimento elettorale del 17 maggio 1977, quando il Likud salì al potere, che ci sentiamo dire che il fascismo si sta avvicinando a grandi passi. A quell’epoca eravamo già sull’orlo del baratro fascista, e da allora abbiamo fatto grandi passi avanti.        
Eppure oggi, dopo decenni di fascismo in inesorabile avvicinamento, è evidente che Israele è un paese assai più libero e democratico di quanto non fosse nel 1977. Tra l’altro, oggi è molto più facile accusare Israele di essere uno stato fascista. Oggi, molto più di allora, lo si può fare tranquillamente da qualunque pubblica tribuna e attraverso qualunque mass-media; lo si può fare dall’interno delle istituzioni senza preoccuparsi di perdere il proprio status; spesso può essere fatto utilizzando fondi statali e talvolta lo stato ti premia anche, per averlo fatto.
Vi sono israeliani di destra, furibondi per questo stato di cose, che non definirebbero mai Israele uno stato fascista. Lo amano troppo, almeno finché non li fa arrabbiare. E quando li fa arrabbiare, dicono che il governo israeliano è una dittatura stalinista, che il primo ministro è un traditore, che i servizi di sicurezza sono la il male in persona, che le sue leggi possono essere violate e che si può disobbedire ai suoi tribunali.
Dicono questo, e si aspettano di ricevere dallo stalinista stato d’Israele ogni possibile benefit, e il più delle volte non restano delusi.
Tutti i segnali di avvento del fascismo che vengono denunciati oggi, sono presenti nel paese almeno dal 1977.
Un po’ di retorica nazionalista estremista (in qualche caso effettivamente fascistoide) non è mai mancata da queste parti. I critici del governo da sinistra sono stati duramente denigrati; e non poche volte loro stessi hanno usato parole durissime contro i loro avversari, ma quelle non vengono calcolate. Vi sono stati anche esponenti di governo che hanno detto cose spiacevoli, e certamente non solo quelli della destra.
Menachem Begin chiamò “mele marce” i manifestanti di Pace Adesso; Yitzhak Shamir definì “una sanguisuga” il Procuratore generale, e lo licenziò pure (cosa che oggi non è più possibile). Durante il suo primo mandato (1996-99), Benjamin Netanyahu disse cose sulla sinistra e sulle élite del paese che oggi evita accuratamente di ripetere. Evita anche di chiamare “associazione per i diritti di Hamas” la Associazione israeliana per i Diritti Civili, cosa che invece aveva fatto Yitzhak Rabin.
È vero, sono state avanzate alcune proposte anti-democratiche; talvolta lo sono state alcune azioni dei governi; e sono anche passate alcune leggi draconiane. Ma la Corte Suprema le ha trasformate in lettera morta senza alcuna possibilità che entrassero in vigore.
E chiaramente è ciò che continuerà a fare con ogni nuova legge draconiana, se e quando dovesse passare. La differenza è che oggi – a proposito di fascismo trionfante – la Corte ha anche il diritto di interdire una legge. Un’altra differenza è che ciò che appare draconiano oggi, non lo sembrava affatto trent’anni fa.    
E allora, a chi giovano queste continue ciance, infondate e autoindulgenti, sul trionfo del fascismo in Israele? Sappiamo bene cos’è che è davvero cambiato in peggio, qui, negli ultimi trent’anni: ci sono molti più insediamenti. E questo non è un problema marginale: ne dipende il destino del paese.
La mappa degli insediamenti creati dopo il 1977 è stata concepita con lo scopo di impedire la divisione del paese fra due popoli. Se riuscirà nell’intento, allora alla fine non vi sarà nessun Israele, non vi sarà nessuna democrazia israeliana, di certo non vi sarà nessuna democrazia non-israeliana. L’attenzione dell’opinione pubblica dovrebbe concentrarsi su questo rischio, ma difficilmente lo farà grazie ai campioni dell’“antifascismo del pelo nell’uovo”.
Alexander Yakobson,

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