Mentre il futuro dei colloqui di pace israelo-palestinesi resta incerto, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) sta pensando di chiedere alle Nazioni Unite di riconoscere uno Stato indipendente di Palestina qualora i palestinesi abbandonassero le attuali trattative di pace.
Ma alla luce di altre iniziative unilaterali prese in passato in questo contesto, Abu Mazen farebbe bene a pensarci due volte.
In effetti, nel conflitto arabo-israeliano non si è ancora vita una riuscita decisione unilaterale che abbia prodotto un risultato di pace.
Il ritiro unilaterale di Israele dal Libano meridionale del 24 maggio 2000 ha portato Hezbollah a riempire il vuoto di potere che ne era derivato. (Non si può non ricordare ciò che diceva il noto scrittore pacifista israeliano Amos Oz intervistato da Ha’aretz il 17 marzo 2000, due mesi prima del ritiro israeliano: “Nel momento stesso in cui ce ne andremo dal Libano meridionale potremo cancellare la parola Hezbollah dal nostro vocabolario, giacché l’idea stessa di uno scontro fra Stato di Israele e Hezbollah era una pura follia sin dall’inizio, e sicuramente non avrà più alcuna rilevanza una volta che Israele sarà tornato al suo confine settentrionale internazionalmente riconosciuto”).
Quattro mesi soltanto dopo quel ritiro, il 7 ottobre 2000, Hezbollah sequestrava e uccideva tre soldati israeliani nella zona del Monte Dov. Quell’attacco innescò una spirale degenerativa destinata a culminare nella guerra fra Israele e Hezbollah in Libano dell’estate 2006. Oggi Iran e Siria hanno riarmato Hezbollah fin oltre i livelli precedenti, il che pone una minaccia più grave che mai.
E il ritiro unilaterale non ha fruttato nessun accordo di pace né fra Israele e Libano né fra Israele e Siria.
Uno scenario analogo è quello che ha fatto seguito al ritiro unilaterale israeliano dell’agosto 2005 dalla striscia di Gaza. Quel ritiro si è tradotto nel rafforzamento di Hamas a Gaza, culminato nel successo elettorale di Hamas nelle elezioni palestinesi del gennaio 2006 (e nel sanguinoso golpe a Gaza contro Fatah e Autorità Palestinese del giugno 2007).
A fine dicembre 2008 Israele doveva lanciare una vasta operazione anti-terrorismo dentro la striscia di Gaza per reagire al fuoco di fila di razzi che per anni Hamas e i suoi alleati avevano lanciato da Gaza su città e kibbutz israeliani. E fino ad oggi quel ritiro unilaterale non ha aumentato né la sicurezza di Israele né il livello di vita dei palestinesi.
Se il presidente Abu Mazen vuole davvero che un futuro stato palestinese possa avere successo e vivere in pace coi suoi vicini, farebbe meglio ad usare come modello il trattato di pace fra Israele ed Egitto del 1979 e quello fra Israele e Giordania del 1994.
Come hanno dimostrato questi esempi del passato, il solo modo per arrivare a una pace possibile e duratura è quello di accompagnarla con un accordo politico fra le parti in conflitto. Se vogliono arrivare a una pace possibile, israeliani e palestinesi dovranno restare al tavolo dei negoziati.
Per questo ora è più importante che mai che il presidente Usa Barack Obama usi i suoi poteri diplomatici per persuadere israeliani e palestinesi a insistere con le trattative avviate. Più e più volte la storia del conflitto arabo-israeliano ha dimostrato che i proclami unilaterali non portano a un aumento né della pace né della sicurezza.
Sarebbe più saggio che il presidente Abu Mazen concentrasse i propri sforzi nel concepire una proposta di compromesso da presentare al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (cosa che finora non ha mai fatto), anziché agitare vuote minacce. In definitiva, solo un accordo politico potrà portare pace vera e sicurezza sia agli israeliani che ai palestinesi.
Sara Reef