La guerra si sa è business e spesso si è portati a credere che gli interessi siano soltanto per le industrie degli armamenti dimenticando che sono energia e finanza che in ultima analisi che traggono i maggiori profitti.
Il modus operandi è sempre lo stesso. Basta saper intervenire al momento giusto scegliendosi la controparte. Intanto si entra nel paese attraverso la costituzione di gruppi militari per i propri scopi oppure investendo in infrastrutture, terreni agricoli, banche ed enti econmici, non disdegnando di sovvenzionare gruppi paramilitari e di mantenere al potere l’uomo prescelto per la necessità.
Fare l’elenco delle multinazionali che da anni “operano” in Ucraina sarebbe lungo.
Di certo gli USA con i tre gruppi Valguard, Blackrock e State Street – che da soli controllano un terzo del capitale mondiale (oltre 25.000 miliardi di dollari) – con le loro controllate Exxon-Mobil e Exon, Chevron, operano da tempo in Ucraina e controllano con Monsanto, Cargil e Dupont oltre 17 milioni di ettari di terreno coltivati a grano. Ma anche alcuni paesi europei sono sul “pezzo” a cominciare dalla Germania.
Oltre alle armi e alle munizioni, un colossale business a cui si potrebbe aggiungere una speculazione finanziaria molto redditizia e a rischio zero. In sintesi. Da alcune parti si fa balenare l’ipotesi che un gruppo bancario qualsiasi di uno stato qualsiasi, possa annunciare di aver investito in Ucraina per poi, a guerra finita e a ricostruzione iniziata, dichiarare che l’investimento è andato in fumo perché distrutto dai bombardamenti russi e mettere in perdita un capitale mai effettivamente investito.
Solo un’ipotesi ? Ipotesi certo, ma di una di una cosa si può essere certi.
I finanziatori “fittizi” e le parti ucraine sicuramente si ritroverebbero con un ingente capitale da spartirsi e il costo sarebbe a carico della collettività.
Misa