Di Eyal Zisser, Dan Schueftan
La scorsa settimana, mentre cresceva l’escalation della crisi ucraina, il ministro della difesa russo Sergey Shoygu si è preso il tempo per fare una visita in Siria: ha presenziato a un’esercitazione navale russa sulla sponda orientale del Mar Mediterraneo, ha ispezionato i moderni jet da combattimento di stanza per la prima volta sul suolo siriano e si è incontrato nella capitale con il pupillo dei russi, il presidente siriano Bashar Assad. Questa visita in Siria non aveva lo scopo di mitigare le preoccupazioni dell’Occidente: l’esercito russo non ha bisogno della presenza del suo ministro della difesa per invadere l’Ucraina. Dopotutto, si tratta di un funzionario generato dal sistema burocratico russo e senza alcun background militare. Tuttavia, la sua visita in Siria non si è svolta a caso. Serve a dimostrare che la Russia non considera l’attuale situazione come un momento di crisi nei rapporti Mosca-Kiev, quanto piuttosto come parte di un più ampio confronto con l’Occidente che va dal Mar Baltico al Mar Rosso, per non dire molto oltre.
Israele si ritrova sul filo del rasoio dovendo ribadire il proprio impegno verso l’alleato americano e, al contempo, fare attenzione a non urtare Mosca e il presidente russo Vladimir Putin. Non c’è da stupirsi se i funzionari di Gerusalemme temono possibili ripercussioni della crisi ucraina sul Medio Oriente. Da almeno dieci anni la Siria è diventata la principale area di operazioni dei russi e, proprio come l’Ucraina, è stata utilizzata per dimostrare che la Russia è di nuovo una potenza mondiale in grado di promuovere i propri interessi a dispetto dell’opposizione dell’Occidente, e di guadagnare punti sulla scacchiera globale.
Finora, Israele è riuscito a contenere la tensione insita nella presenza della Russia in Siria e nella contemporanea necessità di agire all’interno del territorio siriano per tenere a bada l’Iran. Israele lo ha fatto con l’occasionale tacita approvazione di Mosca. Ora la crisi ucraina ha concentrato l’attenzione di tutto il mondo, e in primis della Russia, sull’Europa orientale. Ma la Russia è abbastanza grande per agire su più fronti. Sia una Russia vittoriosa che una Russia sconfitta, o per lo meno una Russia che senta di non essere uscita in vantaggio dalla crisi, potrebbe essere tentata di cercare altri successi e di espandere la propria influenza. Mosca potrebbe cercare un risarcimento dalle nostre parti.
Israele non è necessariamente nel mirino del Cremlino. In cima alla lista ci sono turchi e americani, che stanno consolidando la loro presenza militare sul suolo siriano e sono in costante stato di attrito con la Russia. Ma ora Mosca potrebbe pretendere che Israele sospenda le operazioni in Siria, che danneggiano il regime di Assad. Vista la crisi dei rapporti con Washington, la Russia potrebbe anche aumentare la cooperazione con la Cina e, soprattutto, con l’Iran. Come si suol dire, “il nemico del mio nemico è mio amico”. E questo potrebbe essere di notevole importanza alla vigilia della prevista firma del nuovo accordo sul nucleare con Teheran e alla luce dell’aggressività iraniana che tende ad affermarsi in tutto il Medio Oriente.
Israele non è parte della crisi in Europa orientale. Non ha né i mezzi né l’interesse a influenzare quella crisi o il suo esito. Ma deve attenersi a una politica cauta ed equilibrata, assicurandosi nel contempo di proteggere i propri vitali interessi di sicurezza, e così facendo sperare che allo stato ebraico venga risparmiato il dubbio privilegio di pagare un prezzo per una crisi con cui non ha nulla a che fare.
(Da: jns.org, 21.2.22)