Non ci fossero i precedenti, basterebbero a dimostrarlo i lugubri proclami guerrafondai di Sinwar e l’ostracismo imposto al funzionario Unrwa che ha osato ammettere l’alto livello etico della difesa israeliana (Editoriale del Jerusalem Post)
La guerra di 11 giorni tra Israele e Hamas è iniziata, il mese scorso, quando il gruppo terroristico ha lanciato sette razzi su Gerusalemme mentre Israele stava festeggiando la giornata che celebra la riunificazione della città. È poi continuata con le organizzazioni terroristiche di Gaza che lanciavano indiscriminatamente, una raffica dopo l’altra, più di 4.000 tra razzi e colpi di mortai sulla popolazione israeliana. Ognuno di quei razzi è un crimine di guerra.
L’operazione Guardiani delle Mura ha avuto un costo in vite umane, in salute fisica e mentale e, naturalmente, sul piano economico per entrambe le parti, in Israele e a Gaza. Come era avvenuto anche con le precedenti operazioni anti-terrorismo e mini-guerre tra Israele e Gaza, non appena sono cessati gli scontri è immediatamente iniziato lo sforzo di mobilitare l’Occidente e il mondo arabo perché mandino più fondi per le ricostruzioni nella striscia di Gaza, sulla base del noto argomento secondo cui alleviare la povertà che affligge la striscia dovrebbe prevenire la disperazione economica che potrebbe a sua volta sfociare in un’altra ondata di guerra. Purtroppo, sebbene perfettamente valido in teoria, l’argomento non regge se l’aiuto, in pratica, finisce per favorire la ripresa e il rafforzamento di Hamas. Peggio, indica ai palestinesi nelle aree dell’Autorità Palestinese in Cisgiordania che ciò che paga è la violenza, anziché la cooperazione.
Se il passato ci insegna qualcosa, è che Hamas non ha nessuna intenzione di utilizzare i fondi per ricostruire pacificamente il suo quasi-stato a beneficio di tutti coloro che vi abitano. E’ stato così dopo la guerra dell’estate 2014, e la cosa si è vista di nuovo con il comizio tenuto la scorsa settimana da Yahya Sinwar, il capo di Hamas a Gaza. Come ha sottolineato Khaled Abu Toameh sul Jerusalem Post, Sinwar ha pronunciato un provocatorio “discorso della vittoria” in cui ha sostenuto che Israele non è riuscito a distruggere “le capacità della resistenza palestinese” e sarebbe riuscito a demolire meno del 3% del sistema di tunnel e bunker di Hamas. “La nostra gente ha dimostrato all’occupazione e al resto del mondo che la nostra ummah (comunità musulmana) è pronta a difendere la moschea di al-Aqsa”, ha esclamato Sinwar. Accompagnato dalla folla che gridava “Allahu akbar!”, Sinwar ha elencato quelle che ritiene le “vittorie” di Hamas nel recente round di combattimenti, descrivendole come “obiettivi strategici”: manifestazioni ai confini di Libano e Giordania contro Israele, rivolte palestinesi, attacchi missilistici su Tel Aviv, l’aver sventato il (presunto) piano di Israele di “spartire la moschea di al-Aqsa fra musulmani ed ebrei” e altro ancora. Cosa ancora più lugubre, Sinwar si è gloriato del fatto che quest’ultimo spargimento di sangue non rappresenta altro che “una piccola battaglia”, promettendo che la prossima guerra sarà molto più devastante. In tutto il suo discorso, il capo di Hamas non ha nemmeno fatto finta di accennare a una qualunque transizione verso la pace.
In questo contesto, è di estrema importanza ricordare quanto accaduto a Gaza riguardo all’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite dedita ad assistere i “profughi palestinesi”: uno status unico che soltanto nel caso dei palestinesi, a differenza di tutti gli altri gruppi di profughi al mondo, viene tramandato di generazione in generazione all’infinito. La scorsa settimana le fazioni palestinesi hanno dichiarato “persona non grata” il direttore delle operazioni dell’Unrwa nella striscia, Matthias Schmale, asserendo che non gli sarà più permesso tornare nel territorio. Anche il vice di Schmale, David de Bold, è finito allo stesso modo sulla lista nera decretata da Hamas. Le fazioni hanno assurdamente affermato che Schmale è “una delle principali cause della sofferenza di migliaia di profughi palestinesi e dipendenti dell’Unrwa nella striscia di Gaza”. Ma la vera ragione della cacciata di Schmale è che, per un momento, si è rifiutato di conformarsi alla falsa narrazione di Hamas. Infatti, in un’intervista alla tv israeliana Canale 12, Schmale ha affermato che gli attacchi israeliani sulla striscia di Gaza gli è parso che fossero effettuati in modo “sofisticato” e “preciso” e che Israele aveva fatto uno sforzo per evitare vittime civili. Apriti cielo! Sommerso dagli attacchi e dalle condanne delle organizzazioni terroristiche, Schmale ha successivamente diffuso delle scuse su Twitter, ma questo ovviamente non è bastato a Hamas e alle altre organizzazioni terroristiche palestinesi. Hamas non tollera qualunque cosa che possa lasciar pensare che Israele fa tutto il possibile per rispettare i più elevati standard morali quando è costretto a combattere, e non tollera qualunque cosa che mostri l’uso che fa Hamas della propria popolazione come scudi umani.
Ciò dovrebbe bastare a suscitare seri interrogativi sul tipo di aiuto che può essere fornito a Gaza allo scopo di alleviare le sofferenze dei palestinesi comuni: sofferenze causate dai capi palestinesi che a Gaza spadroneggiano. I proclami di Sinwar mostrano chiaramente che Hamas non ha nessuna intenzione di porre fine alle ostilità. Gli sforzi per aiutare Gaza devono tenerne conto. E’ imperativo trovare un modo per aiutare la gente di Gaza senza rafforzare Hamas.
(Da: Jerusalem Post, 7.6.21)