Esiste nella cultura euro-centrista la propensione a semplificare rilevanti problematiche etnico-sociali a volte lontane dagli studi e dalle analisi politiche spesso di difficile comprensione. A tal riguardo, laddove illustri ricercatori riescono a volte in modo geniale a “sintetizzare” le tematiche in questione in elaborati utili ad illustrarle anche ai non addetti ai lavori, di contro esistono delle semplificazioni, più o meno di parte, che portano alla costituzione di poli e dialettiche contrapposte che ingenerano nell’opinione pubblica un vero e proprio (si passi il termine) tifo da stadio poco utile alla comprensione e alla soluzione delle tensioni fra popoli e dei popoli. Il dibattito politico perde di qualità automaticamente.
Ciò è successo anche per la questione curda. Infatti, essa deve essere inquadrata nel complesso scenario Medio-Orientale per il quale avrebbe forse più senso di parlare di possibili Kurdistan che di un solo Kurdistan indipendente.
Il Kurdistan, infatti, non è mai esistito come entità statuale e, benché possiamo parlare di una nazione/popolo curdo che si riconosce nel cosiddetto Grande Kurdistan, probabilmente mai esisterà come Stato. Ciò, anche per le differenze socio-politiche dovute alla loro stanzialità in una regione che nei secoli ha visto la comparsa e la scomparsa di imperi e oggi posizionata a cavallo della Turchia, Iraq, Siria e Iran (vds. Figura sotto).
La questione risulta ulteriormente complessa a causa della delicata questione demografica del popolo indo-europeo – che stima una cifra che oscilla tra i 35 e 45 milioni di persone. Tale questione fa dei Curdi la più grande popolazione senza uno stato. Il gruppo etnico-indoeuropeo ha radici antiche stabilizzate in diverse dinastie (importante è quella degli Ayyubidi). Le perenni condizioni ostili hanno fatto dei Curdi un grande popolo di guerrieri abili nell’arte della guerra: da non dimenticare la loro partecipazione nei regimenti dell’Impero Ottomano che condussero il Genocidio degli Armeni. I Curdi hanno una lingua curda, composta da un continuum di varietà linguistiche appartenenti alle varie zone dell’Asia Occidentale.
Pertanto, allo stato delle cose il popolo curdo, come detto pur formando nei fatti una nazione, non ha nemmeno nelle sue potenzialità la possibilità di quel controllo del territorio necessario ad avviare il complicatissimo processo di state building.
Quanto sopra è peraltro dimostrabile dal fatto che la nascita del Kurdistan è stata citata in pochissimi documenti ufficiali fra questi il Trattato di Pace di Sèvres’ del 1920 che elaborò per l’appunto una mappa del Medio Oriente che riportava gli effetti della divisione territoriale dei noti accordi di Versailles. Altro fattore che mette decisamente in ombra la questione curda è lo scoppio della Prima Guerra Mondiale che vede la Francia e la Gran Bretagna dapprima vittoriose nella guerra contro l’Impero Ottomano e successivamente impegnate alla spartizione in zone d’influenza dell’intera regione.
Va inoltre segnalato come la breve illusione del popolo curdo di fondare un proprio stato fu spazzata via dalla vittoriosa Guerra di liberazione condotta da Mustafa Kemal Ataturk per la creazione di uno Stato-nazione turco che si concluse con la firma del “Trattato di Losanna” del 1923, ove le aspettative dei curdi vengono tradite dalla Comunità Internazionale in nome di una stabilità regionale del Medio Oriente dopo che ai curdi era stato chiesto di operare quale boots on the ground.
La storia del Grande Kurdistan è costellata da una endemica emarginazione di natura politica, sociale, economica e culturale inestricabilmente intrecciata da forti ingerenze di Attori regionali e non esterni. Basti ricordare al riguardo l’alleanza dei Curdi Irakeni con l’Iran contro il regime di Saddam Hussen nel periodo 1998-1999. Parallelamente, nello stesso Teatro affiancheranno gli USA contro il citato regime. Ma forse la cosa peggiore è l’assenza di un progetto politico condiviso fra le fazioni curde residenti nella regione che, nonostante la cultura collettiva e identitaria che li unisce, è di fatto la causa del fallimento della costituzione di uno Stato in quanto mina alle radici ogni possibile progetto di state building.
Cerchiamo ora di esaminare brevemente le condizioni sociopolitiche dei curdi nelle nazioni in cui vivono:
IRAQ – Il contesto politico del Paese è dominato da una grande conflitto tra il Kurdistan Democratic Party (KDP), guidato dall’attuale presidente del Kurdistan Irakeno, Barzani, il Patriotic Union of Kurdistan (PUK) ed il Gorran (che nasce per filiazione dal PUK). Al riguardo, bisogna altresì considerare la presenza dei Peshmerga, che si propongono come ala militare del partito di maggioranza. E’ importante in questa sede ricordare che dopo la prima Guerra del Golfo, viene concessa ai curdi irakeni la possibilità di autogoverno del Kurdistan Irakeno in accordo con lo Stato centrale. La complessa situazione politica sopra descritta crea però una guerra civile tra il KDP ed il PUK (quest’ultimo guidato dalla tribù della famiglia Talabani), ad arte alimentata da attori esterni interessati, fra i quali le nazioni “ospitanti” i curdi e fazioni religioso-ortodosse, interessate soprattutto a tutelare i propri interessi. Ad ogni buon conto, sarà Washington a ospitare le due fazioni al tavolo delle trattative per una divisione dei poteri nel ‘Kurdistan Regional Government’. Ad ogni modo il Governo di Baghdad non rinuncia alla sua egemonia sulla regioe: emblematico è il caso di Kirkuk, città storicamente curda che, dapprima sottomessa da Saddam Hussein per lo sfruttamento delle risorse petrolifere, vede lo stesso Governo di Baghdad chiedere l’aiuto dei Peshmerga per la sua difesa, contro l’insurrezione dello Stato Islamico, in cambio di promesse poi mai mantenute.
IRAN – Il paese presenta una parte politica rappresentata dal Democratic Party of Iranian Kurdistan (KDPI), partito di stampo pan-curdo, ed il Party of Free Life of Kurdistan (PJAK), a connotazione militare vera estensione del Partîya Karkerén Kurdîstan (Kurdistan Workers’ Party – PKK) presente anche in Iran e che persegue la creazione di uno stato democratico curdo all’interno dello Stato iraniano anche con metodi violenti. L’Iran (la casa degli ariani), da sempre si oppone a ciò con metodi brutali e coercitivi, con una brusca impennata dopo la rivoluzione di Khomeini del 1979.
Bisogna ricordare le gravi violazioni dei diritti umani condotte dal regime iraniano negli ultimi anni: oppositori politici, per lo più Curdi, torturati e giustiziati. Il conflitto affonda le radici su variabili religiose ed etniche: il popolo curdo è di radice sunnita, elemento che va a scontrarsi con il regime sciita iraniano.
TURCHIA – Nel Paese, come noto, vi è un solo partito di opposizione e di minoranza, il Peoples’ Democratic Party (HDP). L’emarginazione politica dei Curdi in Anatolia ha determinato la nascita di due gruppi militari: il PKK, fondato da Abdullah Ocalan di stampo marxista (è recente la sua insurrezione contro lo stato Turco fino al 2015, anno in cui la Turchia bombarda tutte le basi logistiche del ‘movimento’, ospitate nel Kurdistan Iraqeno) ed il Kurdistan Freedom Falcons (TAK), che sembra aver preso le distanze dal PKK. Il rapporto tra stato Turco e popolo curdo è ondivago a seconda delle mutazioni degli interessi Turchi. Il decennio tra anni ottanta e anni novanta è caratterizzato da forti violenze nei confronti dei curdi. Negli anni novanta la Turchia elargisce delle caute aperture e negli anni duemila il Partito di Erdogan, Adalet ve Kalkınma Partisi (AKP), concede riconoscimenti socio-culturali per aumentare il suo bacino elettorale. La guerra in Siria riapre lo scontro tra Erdogan e i Curdi.
SIRIA – Dal 2003 è presente il Democratic Union Party (PYD), partito che condivide la linea di pensiero del PKK, ed il Peoples’ Protection Units (YPG) ala militare che è impegnata da anni a respingere gli attacchi dello Stato Islamico (ISIS) durante la Guerra Civile Siriana. L’YPG governa la regione di Rojava (de facto autonoma ed abitata dai curdi siriani) confinante con la Turchia; in oltre, ha forti legami ideologici con il PKK. Ankara teme una possibile estensione della causa curda in Turchia: secondo alcuni analisti Erdogan starebbe combattento al confine contemporaneamente l’ISIS e curdi tentando di ‘prendere due piccioni con una fava’.
di Francesco Pagano