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Giornalistopoli è figlia della consorteria e del corporativismo

Piero Sansonetti in un suo editoriale del 20 Maggio pubblicato su Il Riformista,  denuncia il silenzio assordante che la stampa ha messo in atto sul grave caso giornalistopoli. Il Direttore de Il Riformista scrive che dopo il silenzio di magistropoli, i media sono diventati completamente muti sullo scandalo “giornalistopoli” – Ovvero, sulla commistione impropria tra pezzi della magistratura e taluni giornalisti. Un vero e proprio ordine di scuderia.
Sansonetti nel suo editoriale  “ Sui politici nessuna indulgenza, anzi, nessun rispetto della legalità. L’ordine di servizio, in questo caso è: sputtaniamoli. Anche se non hanno fatto niente di male.  Tutto cambia se invece le vittime del trojan diventano i magistrati e i giornalisti. Cioè la casta. Sarà forse giunto il momento di dirlo: la casta, la vera casta, è quella; la corporazione potentissima che raduna la parte più aggressiva e politicizzata della magistratura e del giornalismo”.
Si può essere d’accordo o no con il direttore ma non si può non affermare che Sansonetti ha aperto uno squarcio nel mondo dell’informazione.
Un  mondo chiuso dove, come nel resto d’Italia, la professionalità non sembra sempre il vero punto di riferimento per una brillante carriera e la categoria non gode di grande stima tra gli italiani. Secondo quanto emerge da una indagine della Società Astra di Milano, pubblicata sul sito dell’Odg di Milano, il 54% degli italiani valuta utile il giornalismo mentre appena il 35% valuta positivamente i giornalisti.
Ed allora se il giornalismo politico  diventa, secondo Sansonetti, subalterno al giornalismo giudiziario, bisognerebbe capire come mai tutto ciò può accadere senza che l’ordine dei giornalisti possa minimamente intervenire per riportare nell’alveo dell’etica professionale quel giornalismo che appare deviato, e talvolta connivente, con Magistratura e Servizi Segreti, ma anche, con politica e gruppi finanziari ed industriali.
Tutto ciò dovrebbe portare ad una riflessione che dovrebbe essere una vera e propria campagna di moralizzazione che parta però da un punto fondamentale.
La riforma dell’Ordine in coerenza con i principi costituzionali, del diritto e della democrazia rappresentativa, che gli dia autorevolezza e strumenti veri di democrazia interna così da poter essere punto di riferimento di una informazione libera ed indipendente.
Fra cinque mesi si dovrebbe votare il rinnovo delle cariche e quindi di tempo a disposizione non è che ce ne sia molto. Però, se giornalisti di livello nazionale come Sansonetti iniziassero a discutere sulla questione, si potrebbe in tempi brevi apportare alle ultime contraddittorie e anticostituzionali norme varate nel 2017, quei correttivi temporanei e propedeutiche ad una radicale modifica della legge costitutiva e dei regolamenti, per poter eleggere un Odg nazionale e regionale, indipendente, democratico e rappresentativo.
Inutile nascondersi, l’immagine attuale dell’Ordine è molto appannata ed è scarsamente credibile anche tra gli iscritti.
La palese dimostrazione a questo appannamento e della sua scarsa credibilità la si è avuta alle elezioni del 2017.
I dati, diramati dai vari organi regionali, sono impietosi e dovrebbero far riflettere tutti.
In Lombardia, dove si è votato solo a Milano, secondo i dati rilevati dal sito dell’Ordine, hanno votato al primo turno 953 giornalisti professionisti su 8.283 iscritti – pari all’11,51% degli aventi diritto, pubblicisti 506 su 13.801 iscritti pari al 3,66%.
In Sicilia, dove il sistema strutturato su tre assemblee/seggi, i pubblicisti che hanno votato sono stati 774 su 3.808, poco più che il 20% degli aventi diritto mentre i professionisti sono stati 535 dei 1045 aventi diritto.
Nel Lazio, con due seggi, hanno votato 1630 professionisti su 7887 aventi diritto e addirittura 524 pubblicisti su 11.655, poco più del 4%.
Oltre l’85% degli aventi diritto non ha esercitato il proprio diritto di voto.
E’ evidente che Il vulnus partecipativo, per così dire  “forzato” per legge,  crea  inevitabilmente un vulnus rappresentativo e di conseguenza, porta ad un sistema di governo dell’ordine sia a livello nazionale che regionale, squilibrato e non rappresentativo di tutta la platea gli iscritti.
Da qui una domanda a cui l’Ordine però non risponde. Con questi numeri chi rappresenta l’Ordine nazionale e chi rappresentano i consigli regionali?
Secondo l’Ordine dei Giornalisti di Sicilia, che ci ha accusati di “evidente disinformazione e di mancata conoscenza delle regole” seguendo le leggi di riferimento e, come scrive lo stesso ODG nel suo manuale “Quaderno per le elezioni”, “deducendo” la legge  (pag. 10 del regolamento) e nel silenzio della legge “considerare” (pag. 19).
Ed è così che  da una parte si parla di assemblea degli iscritti, e dall’altra, di costituzione di seggi elettorali, quando per leggi elettorali si deve leggere sede delle assemblee di norma costituite in due  o tre città per ogni regione. E questo è già in palese violazione della legge costitutiva perché si parla, all’art. 4 di “assemblea” e non di assemblee diverse in diverse città.
Quindi si ritorna a stabilire la validità dell’assemblea, sempre in seconda convocazione per gli ovvi motivi già enunciati, che può essere dichiarata con qualunque sia il numero degli intervenuti rispetto agli iscritti.
Riepilogando. Da una parte si parla di assemblee che hanno regole ben chiare nel diritto privato, dall’altra si stabilisce che l’assemblea degli iscritti viene suddivise in due o tre città dove si predispongono anche i seggi.
E qui appare evidente la palese violazione del diritto costituzionale degli iscritti.
In una assemblea costituita secondo legge, la discussione e le candidature si discutono e si mettono a voto durante lo svolgimento della stessa.
Nelle assemblee dell’Ordine invece, il voto si esprime senza che ci sia un sistema elettorale che consenta a tutti di potersi candidare ed essere votati. Ma soprattutto, un sistema che permetta a tutti gli iscritti di esprimere liberamente il proprio voto senza condizionamenti quale la distanza dal seggio che è mediamente di 100 chilometri dalla propria residenza.
Per non parlare poi della macchiavellica ed incostituzionale previsione di assegnare per legge ad una minoranza degli iscritti, i giornalisti professionisti, la maggioranza all’interno dell’Ordine nazionale e dei consigli regionali.
Infatti ai pubblicisti che sono circa il 70% degli iscritti, viene assegnato un numero di rappresentanti, si fa per dire, della metà dei professionisti che sono circa il 30% del totale.
Anche a chi non è avvezzo al diritto, salta subito agli occhi che tutto ciò è un clamoroso quazzabuglio incostituzionale che favorisce sistemi e gruppi aggregati.
Il risultato è evidente. Rileggendo i nomi degli eletti dell’ultima tornata, non si può non rilevare come taluni giornalisti siano nei consigli da molti anni, in taluni casi addirittura più di un decennio…
Il problema nasce da qui perché l’Ordine da tempo, come in precedenza scritto, non appare credibile, proprio per il modo del tutto contradditorio, incostituzionale e discriminatorio, con cui sono eletti i suoi rappresentanti.
Non è necessario dire a chi fa comodo tutto ciò e perché nulla si muove verso un ordine democratico, rappresentativo e credibile, e sopratutto, ad un giornalismo che risponda ai cinque principi fondamentali dell’informazione: verità e accuratezza, , equità e imparzialità, umanità e responsabilità.
Michele Santoro
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