L’adozione formale della mozione, approvata dal Comitato Centrale dell’organizzazione di Abu Mazen, metterebbe fine agli accordi di pace di Oslo
Secche le reazioni, in Israele, al voto con cui il Comitato Centrale dell’Olp ha chiesto al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) di “sospendere” il riconoscimento dello Stato d’Israele.
Nella tarda serata di lunedì, al termine di una riunione a Ramallah durata due giorni, il Comitato Centrale dell’Olp ha adottato una risoluzione, non vincolante, in cui si afferma che il riconoscimento dello Stato d’Israele verrà annullato fino a quando lo stato ebraico non riconoscerà lo Stato di Palestina sulle linee armistiziali del 1949-67 e con capitale a Gerusalemme est.
In sostanza, il Comitato Centrale dell’Olp vuole cessare di attenersi agli Accordi di Oslo che furono resi possibili dallo scambio di lettere del 9 settembre 1993 fra l’allora primo ministro israeliano Ytzhak Rabin e l’allora capo dell’Olp Yasser Arafat. In quelle lettere Arafat affermava: “l’Olp riconosce il diritto dello Stato d’Israele a esistere in pace e sicurezza” e “dichiara che tutte le questioni in sospeso relative allo status permanente saranno risolte in modo pacifico attraverso negoziati”. Dal canto suo, Rabin rispondeva: “Alla luce di questi impegni dell’Olp, il governo di Israele ha deciso di riconoscere l’Olp come rappresentante del popolo palestinese e di avviare i negoziati con l’Olp nell’ambito del processo di pace in Medio Oriente”.
Fu appunto sulla base di quel riconoscimento reciproco che il successivo 13 settembre 1993, alla Casa Bianca, le due parti firmarono la Dichiarazione di Principi che prevedeva una fase di transizione durante la quale Israele e Olp avrebbero negoziato la graduale soluzione del conflitto. Grazie ai negoziati, nel 1995 nacque l’Autorità Palestinese come soluzione transitoria in vista dei negoziati per lo status definitivo. Da anni i palestinesi si rifiutano di riprendere i negoziati con il governo israeliano, e oggi rigettano il prospettato piano di pace dell’amministrazione Trump ancor prima che venga messo a punto e pubblicato. Domenica scorsa, aprendo la riunione del Comitato Centrale Abu Mazen ha ribadito che si opporrà a qualsiasi proposta di pace venga presentata del presidente Usa Donald Trump.
Con la mozione di lunedì sera, il Comitato Centrale dell’Olp dichiara che la fase transitoria è finita e chiede che lo stato palestinese venga riconosciuto da Israele senza negoziati. Il Comitato Centrale dell’Olp ha poi annunciato la creazione di un’apposita Commissione per studiare l’attuazione della mozione, che in ogni caso dovrebbe essere previamente ratificata dal presidente dell’Autorità Palestinese, nonché leader dell’Olp, Abu Mazen.
Secondo il testo diffuso dall’agenzia palestinese Wafa, il Comitato Centrale dell’Olp, “alla luce della continua negazione da parte di Israele degli accordi firmati e a conferma delle sue precedenti decisioni [del 2015 e del gennaio 2018], stabilisce di porre fine agli impegni dell’Olp e dell’Autorità Palestinese verso gli accordi con la Potenza occupante, di sospendere il riconoscimento dello Stato d’Israele, di porre fine al coordinamento sulla sicurezza in tutte le sue forme e di disimpegnarsi economicamente da Israele, in base al fatto che la fase di transizione, compresi i Protocolli Economici di Parigi [del 1994], non esiste più”.
Negli anni scorsi Abu Mazen ha minacciato più volte di annullare gli accordi tra palestinesi e Israele, ma finora non ha mai dato seguito alla minaccia. Non è chiaro se la raccomandazione del Consiglio Centrale dell’Olp verrà formalmente adottata: un passaggio che porrebbe fine agli Accordi di Oslo, su cui si basano il processo di pace e l’esistenza stessa dell’Autorità Palestinese.
“E’ un grosso errore – ha commentato martedì a Radio Galei Tzahal il ministro israeliano delle finanze Moshe Kahlon, presidente del partito Kulanu e membro del gabinetto di sicurezza – Nell’ultimo anno Ramallah ha assunto posizioni sempre più estremiste e sta silurando ogni possibilità di accordo. L’unica cosa che vogliono è strangolare la striscia di Gaza”, controllata dalla fazione rivale Hamas.
Yair Lapid, presidente del partito d’opposizione Yesh Atid, ha definito la decisione dell’Olp una “barzelletta che non fa ridere”. “Per quel che ci riguarda – ha aggiunto Lapid – possono anche decidere di non riconoscere il sole, l’invenzione della ruota e la legge di gravità. Abbiamo creato un magnifico stato con le nostre forze, senza chiederlo a nessuno. Continueremo a sviluppare Israele e a renderlo forte e sicuro, e quando i palestinesi decideranno di riconoscere la realtà saremo più che lieti di ricevere una loro chiamata”.
La dichiarazione dell’Olp arriva in un momento in cui l’Autorità Palestinese si sente scavalcata dagli sforzi di Israele, Egitto e Nazioni Unite per arrivare a un’intesa o a una tregua a lungo termine con Hamas che metta fine alle continue esplosioni di violenza ai confini della striscia di Gaza. Egitto e Nazioni Unite hanno fatto pressione su Ramallah perché cancelli le dure sanzioni che Abu Mazen ha imposto alla popolazione della striscia di Gaza (tra cui il mancato pagamento degli stipendi e il taglio dei fondi per il carburante) nell’intento di piegare Hamas e costringerla a restituire all’Autorità Palestinese il controllo su Gaza, strappato con la forza a Fatah undici anni fa. Non a caso, nella dichiarazione di lunedì sera l’Olp ribadisce che solo i suoi rappresentanti, e non Hamas, sono autorizzati a trattare un accordo per porre fine alle violenze fra Gaza e Israele, e che l’Olp rifiuta “vari progetti sospetti” volti a “dividere Gaza dalla Cisgiordania”. Insomma, una dura lotta di potere interna fra le fazioni palestinesi.
Il ministro israeliano dell’istruzione Naftali Bennett ha reagito all’annuncio dell’Olp affermando: “I palestinesi non sono mai stati seri nel riconoscere Israele. Hanno sempre avuto in mente il piano di cancellare Israele pezzo per pezzo, e di buttare fuori gli ebrei. Ora la farsa è finita. Hanno mostrato il loro vero volto: non sono interessati a un compromesso di pace, e non lo sono mai stati”.
(Da: Jerusalem Post, Times of Israel, Israel HaYom, israele.net, 30.10.18)