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Magari la (mezza) crisi finanziaria dell’Unrwa la spingesse ad abrogare il suo vergognoso apartheid

Maggio 2013: Dirigenti Unrwa in posa con una mappa della “Palestina” (dove risulta cancellato lo stato di Israele). L’Unrwa dice ai palestinesi che “ritornare” in Israele è la loro unica speranza per fuggire allo status di “profughi”

Milioni di palestinesi – cittadini giordani in Giordania o dello “stato palestinese” riconosciuto dall’Onu – vengono trattati come “profughi” (cosa che non sono sotto nessun profilo) e condannati all’alienazione
Di Evelyn Gordon
L’Unrwa, l’agenzia Onu incaricata di prendersi cura dei profughi palestinesi e dei loro discendenti in perpetuo, sta affrontando una crisi finanziaria. “Crisi” è un’esagerazione, ma indubbiamente l’agenzia dispone di meno denaro di quello che vorrebbe. A causa dei numerosi guai che affliggono Gaza (e che gli aiuti dell’Unrwa dovrebbero alleviare) e i timori israeliani che questi guai possano spingere Hamas a scatenare un’altra guerra con Israele, la cosa si presenta come una brutta notizia. A ben vedere, tuttavia, non è una notizia tanto brutta per tutti coloro che hanno veramente a cuore le sorti di palestinesi e israeliani.
Ovviamente nessuno si augura una crisi umanitaria. Ma il deficit di bilancio dell’Unrwa non ne sarà la causa. È vero, l’agenzia è a corto di quasi 350 milioni di dollari sul suo budget di 1,2 miliardi, nonostante abbia ottenuto impegni per altri 100 milioni in una conferenza di donatori convocata d’urgenza a metà marzo. L’ammanco è principalmente dovuto al fatto che quest’anno l’amministrazione Trump ha ridotto il contributo americano a 60 milioni di dollari rispetto ai 364 milioni dell’anno scorso. Tuttavia, quand’anche ulteriori appelli d’emergenza non riuscissero a raccogliere un solo centesimo di qui alla fine dell’anno (cosa assai improbabile), l’Unrwa disporrebbe comunque di circa 850 milioni per aiutare i suoi 5 milioni di palestinesi. In confronto, l’Alto Commissario Onu per i Rifugiati dispone di 7,7 miliardi per aiutare i circa 60 milioni di profughi e sfollati non-palestinesi in tutto il resto mondo. In altre parole, l’Unrwa può ancora spendere un terzo in più pro capite di quanto spenda l’Alto Commissario Onu per i Rifugiati: 170 dollari per ogni palestinese contro i 128 dollari per ogni profugo non-palestinese. Dunque, se il budget dell’Alto Commissario Onu per i Rifugiati è in grado di provvedere ai bisogni basilari dei suoi profughi, il budget assai più cospicuo dell’Unrwa può sicuramente fare lo stesso con quelli palestinesi.
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Certo, dovrà fare i conti con alcuni ristrettezze di bilancio, ma le ristrettezze di bilancio spesso stimolano processi di riforma. E questa è la buona notizia, perché l’attuale modus operandi dell’Unrwa danneggia, in realtà, sia gli israeliani che i palestinesi. Due sono le riforme particolarmente importanti.
Innanzitutto, l’Unrwa dovrebbe smettere di finanziare il vergognoso sistema di apartheid applicato dalla Giordania, in base al quale 2 milioni di palestinesi registrati presso l’agenzia non fruiscono di servizi dal governo giordano anche se la maggior parte di loro (come ammette la stessa Unrwa) sono cittadini giordani. Invece di utilizzare i sistemi sanitari ed educativi giordani, questi palestinesi cittadini giordani frequentano scuole e cliniche speciali dell’Unrwa. Molti addirittura vivono in una decina campi designati “per profughi”. Con tutta evidenza, persone che hanno la cittadinanza del paese in cui vivono non dovrebbero essere considerate “profughi”. In base alla definizione dell’Alto Commissario Onu per i Rifugiati, che si applica a tutti tranne che ai palestinesi, chiunque ottenga la cittadinanza in un altro paese perde automaticamente il status di profugo. Questa situazione è ingiusta anche nei confronti dei palestinesi stessi, perché viene loro negata la possibilità di integrarsi nel paese di cui hanno la cittadinanza. Nessuno può integrarsi in un paese se è costretto a vivere in campi speciali e a frequentare scuole e cliniche speciali, invece di essere trattato come tutti gli altri giordani. Pertanto, l’avvio di un passaggio graduale di tali servizi in capo alla Giordania potrebbe far risparmiare denaro all’Unrwa e allo stesso tempo aiutare 2 milioni di persone.
In secondo luogo, l’Unrwa dovrebbe smettere di finanziare il vergognoso apartheid in vigore in Cisgiordania e Gaza. Non l’inesistente “apartheid israeliano”, bensì quello vero e reale imposto ai profughi palestinesi da parte dell’Autorità Palestinese. L’Autorità Palestinese, infatti, si presenta a tutti gli effetti come lo stato della Palestina ed è riconosciuta come tale dall’Assemblea Generale dell’Onu e da 135 paesi membri. Tale riconoscimento le ha permesso di entrare a far parte di agenzie Onu come l’Unesco e agenzie non-Onu come la Corte Penale Internazionale. Ma chiunque avesse pensato che uno “stato palestinese” avrebbe ovviamente alleviato le condizioni dei profughi palestinesi, si sbagliava di grosso. Esattamente come la Giordania, anche l’Autorità Palestinese si rifiuta di fornire servizi agli 800mila profughi registrati in Cisgiordania e al milione e 300mila profughi registrati a Gaza. In altre parole, considerando la popolazione dichiarata dalla stessa Autorità Palestinese di circa 4,9 milioni, l’Autorità Palestinese si rifiuta di fornire servizi addirittura al 43% dei palestinesi che risiedono nell’asserito stato palestinese. Questi 2,1 milioni di “profughi” vivono in 27 “campi per profughi” e frequentano scuole e cliniche dell’Unrwa, invece di quelle normali dell’Autorità Palestinese. E tutti i più importanti esponenti dell’Autorità Palestinese hanno esplicitamente affermato che non hanno e non avranno mai la cittadinanza nello stato palestinese.
Dato che la maggior parte del mondo riconosce l’esistenza di uno “stato di Palestina”, è semplicemente grottesco che 2,1 milioni di palestinesi che sono nati e vivono in territorio palestinese e sono addirittura sotto il governo dello “stato palestinese” vengano considerati “profughi”. Non sono profughi in base a nessuna definizione possibile. E la cosa è sommamente ingiusta innanzitutto verso loro stessi, nel momento che viene negato loro il diritto ad integrarsi in quello che dovrebbe essere il loro paese.
E infatti se ne lamentano. “L’Autorità Palestinese si rifiuta di investire qui perché sostengono che è responsabilità dell’Unrwa e dell’Onu – ha detto un abitante di un campo profughi, citato in un reportage di Times of Israel del 2014 – E così siamo fregati. Siamo stati abbandonati. L’Autorità Palestinese sostiene gli abitanti delle città e dei villaggi, ma ignora noi”. Dunque, l’avvio di un passaggio graduale dei servizi in capo all’Autorità Palestinese potrebbe far risparmiare denaro all’Unrwa e aiutare 2,1 milioni di palestinesi.
L’attuale stato di cose è negativo anche per Israele, e non solo per l’indottrinamento anti-israeliano che viene impartito nelle scuole dell’Unrwa e per l’utilizzo delle strutture dell’Unrwa a scopi militari e terroristici. Negando ai palestinesi la possibilità di assimilarsi in Giordania pur essendo cittadini giordani, e persino nella loro Autorità Palestinese, quello che dice loro l’Unrwa è che “ritornare” in Israele è la loro unica speranza di fuggire dallo status di profugo. Ma alimentare queste fantasticherie circa un reinsediamento di massa non fa che perpetuare il conflitto: la pace è ovviamente impossibile se i palestinesi la condizionano al fatto di trasformare Israele in uno stato a maggioranza arabo-palestinese.
Ma l’attuale stato di cose è soprattutto negativo per milioni di “profughi” palestinesi, condannati a vivere in un vicolo cieco, senza alcuna speranza di potersi mai integrare nei luoghi che dovrebbero poter chiamare casa. Dopo 70 anni di stasi, solo una (mezza) crisi finanziaria può spingere l’Unrwa a realizzare queste riforme. Ma può anche darsi che l’Unrwa non avvii affatto le riforme e che invece riduca i servizi essenziali per ricattare il mondo ed estorcere più denaro. Perlomeno, però, l’America potrà dire di non sostenere più il vergognoso apartheid dell’Unrwa e la sua perpetuazione del conflitto. Se i paesi europei ed arabi preferiscono che questa sconcezza continui, che siano i loro contribuenti a finanziarla.
(Da: jns.org, 28.3.18)

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