sabato, Novembre 23, 2024
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Abu Mazen. Quella ininterrotta catena di errori e fallimenti

Purtroppo nulla fa pensare che Abu Mazen sarà sostituito da qualcuno in grado di spezzare la sequenza di fallimentari capi palestinesi
Editoriale del Jerusalem Post, Eyal Zisser
Nel suo intervento di martedì scorso al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha seguito le orme dei fallimentari capi palestinesi che l’hanno preceduto.
Ha cercato di dare tutte le colpe agli altri – inglesi, americani, israeliani: chiunque tranne i palestinesi – anziché tracciare una rotta per il futuro. Ha distorto la storia per nascondere i molti fallimenti e i tragici errori fatti dalla dirigenza politica palestinese nel corso delle generazioni. E ha mentito sul ruolo che lui e i suoi compari politici svolgono quotidianamente nel perpetuare il conflitto fomentando le violenze e patrocinando il terrorismo contro gli israeliani.
Abu Mazen ha sostenuto che, prima dell’arrivo degli inglesi, gli arabi palestinesi “costruirono le loro città e la loro patria e apportarono contributi all’umanità e alla civiltà testimoniati dal mondo”. Ha affermato che gli arabi palestinesi avevano i loro “ospedali, scuole, enti culturali, teatri, biblioteche, giornali, case editrici, imprese economiche, banche e un’ampia influenza regionale e internazionale”. Ma la realtà è che gli arabi palestinesi vivevano sotto il dominio ottomano senza identificarsi come un popolo distinto, e sopravvivevano in un’economia sottosviluppata basata su tecniche agricole antiquate. Furono proprio l’amministrazione britannica e la reazione degli arabi al nascente movimento nazionale ebraico che spinsero il popolo arabo palestinese ad iniziare a definirsi come tale.
Il colonialismo britannico non impedì la creazione di uno stato arabo palestinese, come ha sostenuto Abu Mazen. Lo fecero, piuttosto, le pessime decisioni della dirigenza politica arabo-palestinese che si schierò con i nazisti prima del 1945, rifiutò il piano di spartizione delle Nazioni Unite del 1947 (che prevedeva la creazione di uno stato ebraico e uno arabo) e scatenò la guerra contro il nascente stato d’Israele. Che Abu Mazen abbia avuto l’impudenza di raccontare bugie davanti a quella stessa istituzione internazionale che cercò invano di dare al suo popolo una patria nazionale dimostra quanto è cambiata l’Onu e quanto sia facile riscrivere la storia. No, non è il governo britannico quello che “porta la responsabilità per le conseguenze catastrofiche inflitte al popolo palestinese”, come Abu Mazen vorrebbe farci credere. È la dirigenza palestinese che porta quella responsabilità, con le sue decisioni fatalmente sbagliate. E Abu Mazen è l’ennesimo artefice di questa afflizione auto-inflitta e del tutto superflua.
Le istituzioni palestinesi – sostenute da un flusso costante di donazioni da parte di paesi pieni di buone intenzioni – non sono affatto rinomate per “i loro meriti e il loro operato”, e non sono affatto “fondate sullo stato di diritto, sulla responsabilità e sulla trasparenza” come ha affermato Abu Mazen al Consiglio di Sicurezza. Sono ben note, invece, per la loro corruzione, la loro inettitudine, il loro governo non democratico.

Ahmed Nasr Jarrar, il terrorista a capo della cellula che il 9 gennaio, presso Nablus, ha assassinato a sangue freddo il rabbino Raziel Shevach, padre di sei figli, è morto il 6 febbraio a Jenin in uno scontro a fuoco con i soldati israeliani. Fatah, il movimento che fa capo ad Abu Mazen, lo celebra sui propri social network con immagini photoshoppate come quella in alto, o con il suo nome in arabo trasformato nella mappa della Palestina che cancella Israele dalla carta geografica (in basso)

I giovani arabi palestinesi non crescono affatto “in un’atmosfera di tolleranza, coesistenza fra civiltà e non discriminazione”. Vengono al contrario indottrinati a credere di essere le vittime per eccellenza del colonialismo britannico, dell’imperialismo americano, dell’ingiustizia e dell’occupazione israeliana. Gli israeliani sono considerati obiettivi legittimi degli attacchi terroristici.
Come ha sottolineato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dopo il discorso di Abu Mazen, l’Autorità Palestinese continua a versare ogni anno 350 milioni di dollari alle famiglie di terroristi palestinesi detenuti o deceduti per aver aggredito e assassinato cittadini israeliani.
Abu Mazen immagina la creazione di un forum internazionale che sostituisca l’America come principale artefice di un accordo di pace, perché il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha osato riconoscere il semplice fatto la capitale di Israele è a Gerusalemme. Il che mostra il totale disconoscimento da parte di Abu Mazen degli enormi aiuti che gli Stati Uniti hanno fornito ai palestinesi, di gran lunga superiori a quelli di qualsiasi altro paese. E ignora il ruolo degli Stati Uniti come la sola superpotenza che potrebbe garantire a entrambe le parti la sicurezza necessaria per accettare concessioni dolorose. Abu Mazen crede che avrà più vantaggi a tirarla per le lunghe con un’enorme e insulsa “conferenza internazionale” guidata da astratti principi di “diritto internazionale”, ignorando le realtà concrete sul terreno che impediscono a israeliani e palestinesi di risolvere le loro divergenze.
Abu Mazen è un capo senza mandato democratico che non è stato capace di guidare il suo popolo su un percorso pragmatico verso l’autodeterminazione. Non è in grado di comporre le fratture interne tra gruppi palestinesi in guerra fra loro – Hamas a Gaza, i “profughi” che vivono in Giordania Libano e Siria, il governo di Fatah in Cisgiordania – e tanto meno di offrire una visione per la pace israelo-palestinese. Tristemente, nulla fa pensare che, quando Abu Mazen se ne andrà, sarà sostituito da qualcuno in grado di spezzare la catena dei fallimentari leader palestinesi.
(Da: Jerusalem Post, 22.2.18)

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