Il mortale attentato di venerdì scorso va visto nel contesto dei continui tentativi terroristici e della continua azione preventiva delle forze di sicurezza israeliane
Di Yossi Yehoshua
L’attacco terrorista di venerdì sera a Gerusalemme suggerisce alcune riflessioni. Da un lato, questo non è il grande attentato che Hamas vorrebbe lanciare da Gaza, e non è un attacco dell’ISIS nonostante l’iniziale rivendicazione da parte dell’organizzazione terrorista jihadista che in realtà, allo stato attuale, non dispone di alcuna infrastruttura attiva in Cisgiordania.
D’altra parte l’attentato non è stato effettuato da un “lupo solitario”, bensì da una cellula locale di tre terroristi che non erano conosciuti dalle autorità come tali, ma solo come partecipanti ad attività popolari violente nella zona di Ramallah. Il loro duplice attacco di venerdì sera è stato realizzato con armi relativamente semplici: coltelli e un mitra tipo “Carlo” di produzione artigianale.
Alla luce della serie di attacchi terroristici che hanno colpito un po’ tutto il mondo negli ultimi mesi, si apprezza a maggior ragione l’attività di prevenzione messa in atto da servizi di sicurezza e Forze di Difesa israeliane. Certo, sarebbe stato importante riuscire a impedire l’attacco di venerdì sera che è costato la vita alla giovane poliziotta israeliana Hadas Malka. Ma non si deve dimenticare che, solo nel 2016, le forse di sicurezza israeliane hanno sventato 186 attacchi con armi da fuoco e arrestato 114 cellule terroristiche locali. Lo stesso ricorso, per l’attentato, a coltelli e armi automatiche di produzione artigianale testimonia delle difficoltà che i terroristi incontrano nel procurarsi armi più efficaci, e questo si deve ai successi della continua attività preventiva delle forze israeliane contro le reti terroristiche in Cisgiordania.
La mancata prevenzione dell’attacco di venerdì sera deve essere considerata nella sua giusta proporzione alla luce del successo delle forze di sicurezza nel contrastare e sventare molti altri attentati, giacché la relativa calma che prevale in Israele è in una certa misura apparente e fuorviante: sotto la superficie sono continuamente in corso molte attività terroristiche, in particolare da parte di Hamas che cerca di creare cellule in grado di compiere attentati, fra l’altro perché ha bisogno di vendicare l’uccisione attribuita a Israele di uno dei suoi comandanti, Mazen Fukha, a Gaza lo scorso marzo.
Dopo l’attacco di venerdì sera, al di là delle doverose misure immediate, il governo israeliano ha deciso di accettare la raccomandazione fatta dall’establishment della difesa di non adottare misure eccessive contro la popolazione e di continuare nello sforzo di distinguere tra popolazione generale e terroristi, come Israele ha fatto sin dall’inizio della cosiddetta intifada dei coltelli. Anche questa volta, infatti, non è stato imposto alcun coprifuoco e non sono stati revocati i permessi d’entrata in Israele per lavoro. Le autorità hanno solo sospeso i permessi speciali di ingresso in Israele fino alla fine del mese di Ramadan, oltre ai permessi d’ingresso in Israele dei famigliari dei tre terroristi.
Al momento la sfida principale per la sicurezza è quella di superare il Ramadan, un periodo sempre caratterizzato da elevate tensioni che spesso sfociano in attentati. E’ quello che stanno facendo i servizi di sicurezza israeliani concentrando la loro attenzione sul rischio di possibili attacchi emulativi, tipici all’indomani di un attentato percepito da parte palestinese come “riuscito”.
(Da: YnetNews, 18.6.17)