Donald Trump “Non ho dimenticato la mia promessa su Gerusalemme. Non sono una persona che non mantiene le promesse”
“Rifaremo grande e più sicura l’America, ridaremo il potere al popolo, rigetteremo il terrorismo islamico” Tutti questi “ri” insieme all’elenco delle castronate fatte dalla precedente amministrazione, pur senza menzionarla, devono essere state tanti pugni nello stomaco per Obama che ascoltava con un sorrisetto tra il beffardo e l’imbarazzato, tipico di chi si sente superiore e non ammette i propri errori nonostante siano palesi.
“Radical Islamic Terrorism” queste le parole che mi hanno fatto sobbalzare perchè è la prima volta in 8 anni che un presidente americano chiama le cose con il loro nome. Naturalmente i tg italiani di sinistra, cioè quasi tutti i telegiornali RAI, sono stati durissimi con il discorso di Donal Trump: “populista, rozzo, rancoroso, sembrava ancora in campagna elettorale, ecc.”, non è piaciuto a quelli che si aspettavano svolazzi intellettualoidi e retorica a palate in stile obamesco.
I vari telegiornali, dal TG3, a La7, a rainews24, non hanno fatto che rosicare amaro dando più spazio agli scalmanati che protestavano di quanto ne dedicassero alla cerimonia in sè e alla figura del nuovo presidente.
Riprenderanno il massacro nei prossimi giorni. Trump ha fatto un discorso chiaro, essenziale, duro, ruggente, senza retorica, senza fiorellini e politically correctness, un discorso in linea con la sua personalità che a me, abituata alla parlata asciutta e scarna tipica dei premier israeliani, è piaciuto moltissimo.
Sono rimasta deliziata quando hanno parlato i rappresentanti delle varie religioni, per primo il rabbino Hier che ha recitato il salmo 137: “By the rivers of Babylon, we wept as we remembered Zion. If I forget thee, Oh Jerusalem, may my right hand forget its skill ( sui fiumi di Babilonia noi sedevamo piangendo al ricordo di Sion. Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia mano destra….” , poi hanno parlato i rappresentanti cristiani e…. nessun imam. Scelta altamente simbolica che, insieme a quel “radical islamic terrorism” determinerà parte della politica del nuovo presidente, forse fatta a muso duro come è nella sua personalità ma onestamente filoamericana, non filoislamica, finalmente!!
Finalmente un americano che parla da americano, chiaro e schietto, senza inchini a quella parte di mondo che vorrebbe cancellare l’occidente e la sua cultura.
Chi invece non si è smentito nel suo ultimo discorso come segretario di stato , è stato (scusate la ripetizione) John Kerry che ha voluto dimostrare per l’ennesima, e fortunatamente, conclusiva volta, la sua grande ostilità a Israele: “Tu stai impedendo la possibiltà di arrivare alla pace” ha detto…credete si rivolgesse a Abu Mazen e alla sua intransigenza? No, naturalmente, le sue parole erano dirette a Benjamin Netanyahu e ha continuato minacciando ” se continuerai in questo modo avrai molti problemi, anche con noi” .
Parlava forse del terrorismo che il decaduto, anzi scaduto, scadutissimo come merce avariata , Abbas, incoraggia e finanzia mantenendo a vita le famiglie dei terroristi? Ancora una volta no, le minacce riguardavano sempre Israele, Bibi e la costruzione di case su territorio israeliano, cioè in Giudea e Samaria. Per l’ex segretario di stato come per il suo ex capo, costruire case è un crimine, il terrorismo è legittima protesta alla politica israeliana, esattamente come bruciare sinagoghe in Germania, a detta dei giudici tedeschi. http://www.ilvangelo-israele.it/ “Germania – Incendiare una sinagoga non è antisemitismo ma critica a Israele Tolta l’aggravante a tre terroristi palestinesi” “… sentenza shock di un tribunale regionale in Germania, il quale, venerdì scorso, ha stabilito che i tre tedeschi di origine palestinese che tre anni fa cercarono di dare alle fiamme la sinagoga di Wuppertal, non possono essere condannati per antisemitismo, in quanto il loro attacco sarebbe stato soltanto una “critica verso lo Stato d’Israele”. ”
Tornando a Trump, i suoi contestatori vestiti tutti di nero secondo lo stile Black Bloc, hanno manifestato la loro rabbia al solito modo, sfasciando, rompendo, distruggendo, alcuni con cartelli con l’immancabile scritta Palestine e la bandiera dello stato che non c’è. Ne hanno arrestati una ventina ma alcune minacce di morte uscite da quelle bocche sono preoccupanti. A proposito di minacce, la peggiore, la più “bruciante” è stata fatta dal portavoce dello scaduto Abu Mazen :”Se l’ambasciata USA sarà portata a Gerusalemme, si apriranno le porte dell’inferno”. Alla faccia degli angeli della pace.
Le porte dell’inferno si apriranno dunque se la nuova amministrazione USA applicherà la legge varata dal Congresso americano nel 1995 che doveva essere applicata entro e non oltre il 31 maggio 1999.
Purtroppo i tre presidenti, Bush, Clinton, Obama, che avrebbero dovuto eseguire il mandato del Congresso non hanno avuto il coraggio. Clinton lo aveva addirittura promesso per poi …. dimenticarsene clamorosamente, ma io spero che Trump abbia le palle giuste per farlo realizzando ufficialmente quello che già esiste: Gerusalemme capitale indivisibile di Israele! Che l’impegno preso non sia stato solamente propaganda elettorale lo dimostano le parole dette dopo la vittoria e l’ assicurazione che lui le promesse le mantiene sempre!
Credo che il nuovo presidente USA abbia l’audacia e il sangue freddo per farlo fregandosene altamente dell’inferno promesso dai palestinisti, e consapevole della forza enorme che America e Israele insieme possono avere nella lotta contro il terrorismo islamico.
Israele, dopo otto anni di umiliazioni e cattiverie, ha di nuovo un amico e un alleato alla Casa Bianca, Obama, tanto cafone da costringere Netanyahu fare ore di anticamera con la scusa di dover pranzare insieme alla famiglia, se ne è andato per sempre e speriamo di non rivederlo più. Se n’è andato lasciando al mondo i danni fatti e un Medio Oriente che brucia con centinaia di migliaia di morti ammazzati. Obama ha odiato Israele, al contrario di Trump che in ugual misura lo stima e, avendo una parte della famiglia ebrea, lo ama sapendo di non avere alleato migliore per la democrazia e la sconfitta delle ideologie assassine filoislamiche.
Israele ha la sua forza nella democrazia. Secondo i sondaggi dell’Ocse(l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) che pubblica ogni anno un Better Life Index, la classifica dei paesi felici in base ai livelli di soddisfazione personale dei cittadini, Israele è un paese felice. Anche quest’anno si è piazzato fra i primi cinque della lista, superato solo da Danimarca, Svizzera, Islanda e Finlandia. http://www.israele.net/quellindefinibile-stato-di-felicita fonte:Jerusalem Post.
Secondo l’autrice Ziona Greenwald questa inspiegabile felicità ha la sua origine nel senso di appartenenza , di unione degli israeliani che ritengono Israele l’unico posto in cui vivere. Gli israeliani si sentono responsabili l’uno dell’altro e il legame che li unisce è talmente unico da non poter essere capito dalle altre nazioni.
Quello che rende gli israeliani diversi da tutti gli altri popoli è un inguaribile e inspiegabile ottimismo; e la fiducia perchè, senza tutto ciò, spiega l’autrice, nessuno di noi potrebbe restare sano di mente. Fiducia e speranza, dico io, e coraggio e amore per la propria patria antica e moderna, orgogliosi del nostro passato e del nostro presente, dei miracoli terreni, non divini, che abbiamo realizzato.
Come potrebbe non essere felice chi è stato capace di ricreare dal nulla un paese come Israele, di ricostruire e riparlare l’antica lingua dei Padri, di essere usciti vincitori da guerre per la nostra eliminazione promosse da paesi molto più forti, numerosi e meglio armati quando noi eravamo poveri e praticamente disarmati.
Speriamo che Trump, conoscendo tutto questo, non tradisca la nostra fiducia e cammini lungo la strada promessa in campagna elettorale. Ma, se non lo facesse, Israele andrà sempre avanti a testa alta, pronto ad accettare ogni sfida e a vincerla. Con la vittoria di Trump hanno perso non solo Obama ma tutto il mondo islamico e quella parte d’Europa serva della gleba che paga il suo tributo al padrone musulmano rinunciando alla democrazia.