La cosa sconfortante è che siamo accusati di essere nazisti dai reggicoda del nazismo
Editoriale del Jerusalem Post
Coloro che all’epoca erano bambini, nascosti da qualche parte per salvarsi dalla macchina di sterminio nazista che braccava meticolosamente ogni singolo ebreo, sono degli anziani, oggi, a settant’anni dalla sconfitta del Terzo Reich.Presto nessuno che allora era vivo sarà più qui per aiutarci a contrastare le menzogne dei negazionisti della Shoà, o la sua deliberata banalizzazione, o la dozzinale universalizzazionedell’insegnamento che la Shoà comporta per la nazione dei sopravvissuti. Persino in Israele l’inesorabile trascorrere del tempo sta lasciando il segno sull’attitudine di alcuni, ad esempio verso la Giornata della Memoria: quando tutto il paese si ferma in raccoglimento per i sei milioni di uccisi, ma alcuni iniziano a dire che si tratta delle colpe di un regime eccezionale risalente a tanto tempo fa, oggi non particolarmente rilevante.
Invece l’odio prospera ancora intorno a noi, e non sembra esservi limite che gli odiatori non siano disposti a superare pur di razionalizzare e giustificare il proprio odio. Le falsità diffuse un tempo dai nazisti e dai loro entusiasti collaboratori sono state adattate al mutare dei tempi, ma il grottesco sfoggio di ipocrisia non è cambiato. Lo stato ebraico viene calunniato e demonizzato come veniva calunniata e demonizzata la cosiddetta “razza ebraica”, allo scopo di spianare la strada al genocidio industrializzato. Come i loro predecessori, gli aspiranti annientatori dello stato ebraico si atteggiano a membri moralmente retti della comunità internazionale e accusano la loro vittima designata di una sequela mostruosamente ingigantita di peccati “imperdonabili”.
E’ un fenomeno che si mostra in molte forme, anche in quelle che gli israeliani si sono abituati a ignorare. Ma ciò che preferiamo ignorare e minimizzare conta comunque. Campagne come quella orchestrata contro la prevista performance in Israele, il prossimo mese, di una star come il britannico Robbie Williams sono tutt’altro che banali. I gruppi per il boicottaggio che fanno pressione su Williams parlano di “estrema disumanizzazione razzista dei palestinesi nella società israeliana”, e di politici ed opinionisti israeliani che sulJerusalem Post e su Times of Israel avrebbero “apertamente invocato il genocidio dei palestinesi”, e di una destra israeliana che “adotta simboli neonazisti”, e via di questo passo.
La menzogne contano, perché portano alla doppia morale contro Israele. La logica finale è quella degli ayatollah che sponsorizzano concorsi dove si sbeffeggia la Shoà e dichiarano che il loro obiettivo di cancellare Israele “non è negoziabile”. Le civili democrazie del mondo non solo non protestano, ma assecondano il regime di Teheran e in sostanza gli permettono di coltivare le sue mire in fatto di armi nucleari.
La guerra contro “l’entità sionista” chiamata Israele non si è mai limitata al paese stesso. Più di vent’anni fa gli iraniani la portarono nella remota Argentina con l’attentato esplosivo contro il centro della comunità ebraica in cui uccisero decine di innocenti che non avevano altra colpa che essere nati da genitori ebrei. Questo scenario si è ripetuto più e più volte, da ultimo nella scuola ebraica di Tolosa, al museo ebraico di Bruxelles, al supermercato kasher di Parigi, alla sinagoga di Copenaghen. Nessuna rimostranza contro Israele può mascherare questa spietata giudeofobia.
Siamo circondati da nemici che vogliono veder scorrere sangue ebraico e che insegnano ai loro fanciulli, spesso a un tiro di schioppo dai confini d’Israele, che gli ebrei discendono da scimmie e maiali e che devono essere spazzati via. Il loro capo all’epoca della Shoà, Haj Amin al-Husseini, è ancora venerato fra loro. Era un entusiasta collaboratore nazista che trascorse gli anni della guerra come ospite personale di Adolf Hitler a Berlino, reclutò musulmani nelle SS, tramò per una “soluzione finale” in Medio Oriente, fece naufragare qualsiasi piano volto a salvare anche solo i bambini ebrei più piccoli, e alla fine della guerra contribuì a sancire il destino degli ebrei ungheresi. Venne ricercato come criminale di guerra, ma riuscì ad arrivare qui per partecipare, soltanto tre anni dopo la Shoà, all’aggressione contro il neonato stato ebraico (per la quale Husseini aveva reclutato i veterani delle SS musulmane bosniache). Non è certo un caso se dopo la guerra mondiale tanti gerarchi nazisti come Alois Brunner, assistente di Adolf Eichmann, trovarono rifugio in terre arabe, e se scienziati nazisti recidivi collaborarono ad equipaggiare il mondo arabo di armamenti da usare contro gli ebrei d’Israele.
La cosa sconfortante è che veniamo accusati di essere nazisti dai reggicoda del nazismo che continuano a calunniarci nella peggiore tradizione della “grande menzogna” alla Joseph Goebbels. La nostra lotta per la sopravvivenza è tutt’altro che conclusa.
(da: Jerusalem Post, 15.4.15)