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Il ruolo inutile (e umiliante) dei caschi blu

ISIS flag on UN jeep
ISIS flag on UN jeep

Come è possibile che vi sia ancora chi propone di garantire i confini d’Israele schierando delle truppe Onu?
Venerdì 7 aprile 1967, dopo un bombardamento dell’artiglieria siriana sui kibbutz ai piedi del Golan, i jet israeliani si scontrarono con quelli dell’aviazione siriana: sei MiG-21 siriani furono abbattuti. La Siria, che aveva firmato un patto di difesa con l’Egitto, era furibonda con il suo alleato che non era corso in suo aiuto. La risposta egiziana, tuttavia, non si fece attendere. Il presidente Nasser fece entrare nella penisola del Sinai centomila soldati con mille carri armati, e ordinò alle truppe Onu che erano schierate lungo il confine, da Eilat alla striscia di Gaza, di sgomberare immediatamente. I 3.400 caschi blu obbedirono senza fare storie. Poche settimane dopo scoppiava la guerra dei sei giorni.
Circa 25 anni più tardi, il 6 giugno 1982, aveva inizio la guerra in Libano contro le organizzazioni armate palestinesi che spadroneggiavano in tutto il sud del paese. La presenza di forze Onu al confine fra Israele e Libano non impedì quella guerra, così come non aveva mai impedito ai terroristi palestinesi di colpire Israele dal territorio libanese.
Allo stesso modo, nove anni prima, le truppe Onu non avevano posto alcun ostacolo all’avanzata dei reparti d’assalto siriani ed egiziani che attaccarono Israele di sorpresa, nel giorno di Kippur del 1973, sul canale di Suez e sulle alture del Golan. I caschi blu abbandonarono precipitosamente le loro postazioni e vi tornarono solo con il cessate il fuoco e con la firma degli accordi di disimpegno, dopo che Israele aveva respinto l’attacco con grandissimo sforzo ed enormi perdite. Così, a partire dal maggio 1974 le truppe Onu dell’Undof (United Nations Disengagement Observer Force) stazionano pigramente ormai da 40 anni sul confine fra Israele e Siria.
Gli osservatori delle Nazioni Unite, in particolare in Medio Oriente, continuano a comportarsi secondo questo schema. Sono forze composte da soldati di varie nazioni che godono di un buon salario e di condizioni confortevoli. A parte i loro rapporti puramente tecnici circa sporadici scontri qui e là, l’attività degli osservatori dell’Onu si riassume principalmente nell’aprire e chiudere un cancello. Ed è uno spettacolo abbastanza triste vedere questi soldati delle Nazioni Unite che dovrebbero monitorare, mediare e garantire il rispetto degli accordi, trovarsi nel mezzo di scontri a fuoco, attaccati, catturati, usati come ostaggi
Il che ci porta alla domanda: che bisogno c’è di questi osservatori? E all’altra domanda: come è possibile che vi siano ancora politici e osservatori convinti che la soluzione consista nello schierare delle truppe Onu per supervisione, ad esempio, i valichi di frontiera con la striscia di Gaza, e in generale per garantire i confini d’Israele? È questo che dovrebbe tranquillizzare gli israeliani?
L’esperienza accumulata da Israele ai propri confini dovrebbe essere attentamente studiata da coloro che sostengono che un accordo di pace si debba basare sulla rinuncia a posizioni strategiche in cambio di un monitoraggio internazionale. Sarebbe opportuno che studiassero, ora più che mai, questa storia che continua a ripetersi: giacché non è tanto difficile figurarsi una situazione in cui i combattenti dello “Stato Islamico” mettono in rotta gli sventurati soldati delle Nazioni Unite.
Dubito che qualcuno nelle agenzie delle Nazioni Unite, con la loro nota ostilità verso Israele, abbia considerato il fatto che i loro soldati oggi si mettono in salvo scappando in Israele, il paese tanto denigrato da quasi tutte le istituzioni Onu, il paese che si è ripetutamente affidato alle promesse dell’Onu col risultato che s’è visto.
Speriamo che tutto questo serva almeno ad ispirare qualche dubbio in chi pensa che la ricetta per risolvere tutto sia piazzare una manciata di caschi blu in Cisgiordania.
Gabi Avital
(Da: Israel HaYom, 1.9.14)

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