Qui, in Europa Occidentale, non abbiamo nemmeno idea di cosa sia questo grande Paese
1 – CHE COSA È L’UKRAINA
Si fa presto a dire “Ukraina”. Qui, in Europa Occidentale, non abbiamo nemmeno idea di cosa sia questo grande Paese e di quanto complessi, articolati, difficili siano i suoi assetti politici, etnici, linguistici, culturali e religiosi. Solamente per dare un’idea, dirò che si tratta del secondo più vasto Stato europeo (dopo la Russia e prima della Francia) ma con una popolazione di soli 47 milioni di abitanti, molto inferiore a quella dell’Italia.
Già appartenente all’Impero zarista “di Tutte le Russie” e poi all’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, è diventata indipendente dopo lo sfaldamento dell’URSS, ma mantenendo con la Federazione Russa un rapporto di amicizia filiale e di dipendenza economica (come la Bielorussia ed al contrario delle Repubbliche Baltiche).
Il motivo di questa particolare vicinanza era ed è di natura etnica: gli ukraini ed i bielorussi sono popolazioni di razza e di lingua slavo-orientali, ed appartengono quindi allo stesso ceppo dei russi. L’Ukraina, dunque, rientra naturalmente nella “sfera” politica di Mosca. Ed è – aggiungo – strettamente integrata in quella sfera anche sotto l’aspetto economico, giacché per l’approvvigionamento energetico dipende totalmente dal gas russo, fornito a credito ed a prezzi di assoluto favore. Ma le particolarità non si fermano qui. L’Ukraina, infatti, non è una nazione omogenea: divisa praticamente in due dal fiume Nipro – che la percorre verticalmente fino allo sbocco nel Mar Nero – le tre macroregioni risultanti sono delle realtà completamente diverse dal punto di vista etnico e linguistico: la regione orientale e quella meridionale hanno una popolazione composta in maggioranza da russi e da ukraini russofoni (cioè “locutori” della lingua russa); la regione occidentale è, invece, in grande maggioranza ukraina ed ukrainofona. Questa diversità etnico-linguistica ha segnato e segna tutta la storia dell’Ukraina: da sempre l’Ukraina orientale è stata filorussa; e da sempre l’Ukraina occidentale è stata filotedesca (filonazista durante la seconda guerra mondiale) ed oggi anche filoamericana.
Naturalmente, le divisioni non sono nette: c’è più o meno un 25% di russofoni nella regione centro-occidentale, ed altrettanti ukrainofoni in quella centroorientale; ci sono coloro – e non si sa esattamente quanti – che usano il surzik, una “lingua parlata” abbastanza diffusa e che è un misto di russo e di ukraino; poi ci sono ancora altri casi particolari, come quello della Repubblica Autonoma di Crimea, che è sostanzialmente un pezzo di Russia aggregato artificialmente all’Ukraina; o come quello del territorio al confine con la Slovacchia – l’ex Rutenia cecoslovacca – abitata da una comunità etnico-linguistica particolarmente connotata, che rappresenta circa il 12% della popolazione dell’intera Ukraina.
2 – COSA SUCCEDE IN UKRAINA
Orbene, gli equilibri politici ed i responsi elettorali sono figli di queste specificità ed hanno – nelle varie consultazioni – disegnato un Paese spezzato praticamente in due, ma con una leggera prevalenza di coloro che privilegiano lo storico legame con la Russia rispetto ai sostenitori di uno spostamento “a occidente”: verso l’Unione Europea, o forse – sostanzialmente – verso la Germania e gli USA. Volendo semplificare al massimo, dirò che i principali partiti ukraini sono i seguenti: il Partito delle Regioni (trasversale e filorusso, guidato da Viktor Janukovyč), Ukraina Nostra (conservatore e filooccidentale, guidato da Viktor Juščenko), Blocco Yulija Tymošhenko (senza specifica connotazione, ma oggi subentrato ad Ukraina Nostra nella rappresentanza delle tendenze filooccidentali).
Sempre schematizzando, i due schieramenti che si fronteggiano adesso fanno capo rispettivamente al defenestrato Presidente della Repubblica, Janukovyč, ed alla Tymošhenko, leader del Blocco che da lei prende nome ed oggi Presidente in pectore dell’Ukraina “rivoluzionaria”.
I due sono rispettivamente il vincitore e la perdente delle elezioni presidenziali del 2010, ed hanno – malgrado tutto – numerosi punti in comune. Entrambi di origini “meticce” (il primo è di padre bielorusso, la seconda di padre ebreo-lèttone), entrambi di formazione comunista, entrambi politici di rango nell’era post-comunista, entrambi – infine – arricchitisi fulmineamente negli ultimi decenni. Entrambi, si badi bene. Non soltanto il Presidente Janukovyč, di cui la televisione ha mostrato la lussuosissima dimora, sulla scia di un copione sperimentato (e saggiamente ispirato) durante le “primavere arabe” per sollecitare l’indignazione popolare contro i potenti in fuga. Non soltanto Janukovyč – dicevo – ma anche e certamente di più la sua diafana concorrente.
Yulija Tymošhenko, infatti, partendo da una modesta posizione di funzionario del settore energetico pubblico – in epoca sovietica – ha poi gradualmente costruito un privatissimo “impero del metano”, portando avanti in parallelo carriera politica ed affari, e diventando più o meno contemporaneamente Primo Ministro e – come è soprannominata – “Principessa del Gas”. Dopo di che, ha costruito la sua immagine: si è fatta bionda (in realtà è bruna come una hawaiiana), ha adottato un’acconciatura di stile ultra-tradizionale, e si è atteggiata a “vittima del regime” (con tanto di sedia a rotelle) quando è stata incarcerata per un affare di interessi privati nella importazione di gas.
I fatti di questi ultimi giorni sono noti: quando il Presidente Janukovyč ha rifiutato di firmare un accordo di “associazione” all’Unione Europea, una folla di dimostranti si è riunita “spontaneamente” (???) per reclamare la firma del trattato associativo e, successivamente, un cambio di governo e le dimissioni del Presidente della Repubblica; Governo e Presidente – giova ricordarlo – erano espressione non di una dittatura di stampo arabo, ma di una procedura democratica di tipo occidentale.
La “protesta pacifica” – sotto una precisa regìa – si è rapidamente trasformata in rivolta, con tanto di infiltrati (ma sarebbe più esatto parlare di manovratori) dotati di elmetti ed armi da fuoco, con tanto di assalti cruenti contro i cordoni della polizia, con tanto di occupazioni di edifici pubblici e di sedi di Ministeri. La tappa successiva era – sempre secondo lo sperimentato copione delle primavere arabe – l’indignazione sincronizzata di USA, UE ed ONU, che accusavano l’aggredito Janukovyč di essere l’aggressore e gli rimproveravano una “repressione feroce” delle mansuete manifestazioni di dissenso. I risultati di tutto ciò sono noti: Janukovyč costretto a lasciare, il ritorno della sconfitta Tymošhenko (ad onta dei risultati elettorali) e la reazione della Russia. Questa si è ripresa intanto la penisola di Crimea (regalata da Krusciov all’Ukraina nel 1954), nell’attesa di regolare poi la questione degli altri territori ukraini a maggioranza russa.
3 – COME SI È GIUNTI ALLA CRISI IN UKRAINA
Quel che sta avvenendo in Ukraina (e ciò che da queste vicende potrebbe discendere) è parte di un gioco assai più vasto, che si dipana su vari scacchieri; ivi compreso quello dell’Unione Europea. Non è un caso che tra i finanziatori delle varie “rivoluzioni colorate” che da un paio di decenni sono state messe in atto per destabilizzare varie regioni del globo, non è un caso – dicevo – che tra costoro si trovino certi miliardari “filantropi” statunitensi che sono diventati ancor più miliardari – si può dire? – manovrando le leve della speculazione finanziaria contro alcuni Paesi europei, a incominciare dal nostro.
Questo, tuttavia, è un discorso che ci porterebbe troppo lontano; e chi scrive non ha certamente la presunzione di esaurire in poche righe i molti e complicatissimi retroscena (daquello dei gasdotti a quello dello “scudo spaziale” americano) che sono a monte della vicenda ukraina.
Voglio soltanto sottolineare un aspetto, e cioè che l’odierno caso dell’Ukraina si pone in continuazione diretta con altri due episodi risalenti al 2008, quello del Kosovo e quello della Georgia. Il Kosovo – si ricordi – era una Provincia autonoma, appartenente ad uno Stato sovrano, la Serbia, ma abitata da una popolazione di etnìa albanese. Così come la Crimea – e la simiglianza balza agli occhi – è una Repubblica autonoma, appartenente ad uno Stato sovrano, l’Ukraina, ma abitata da una popolazione di etnìa russa. Ebbene, allora gli Stati Uniti pilotarono l’indipendenza del Kosovo e la imposero praticamente agli alleati europei, senza alcun riguardo per l’integrità dello Stato sovrano serbo.
Il sottoscritto – in un articolo per la rivista “Storia in Rete” – ebbe allora a commentare: «il pericolo della strana dichiarazione d’indipendenza kosovara, voluta dagli americani, è proprio questo: la destabilizzazione degli assetti europei, un precedente devastante, un prevedibile effetto “domino” che potrà investire non soltanto la Russia (come è evidente) ma anche altri Paesi europei dell’est e dell’ovest, fomentando separatismi e terrorismi dal Caucaso alla penisola iberica». E puntualmente, nell’agosto successivo, la seconda tessera del “domino” veniva mossa nel Caucaso. La Georgia, governata dal filoamericano Saakashvili, aggrediva due suoi territori autonomi a maggioranza etnica russa – l’Ossezia del Sud e l’Abkazia – con l’intento di attuarvi una radicale pulizia etnica. La Russia interveniva, liberava le due repubblichette autonome e le sottraeva alla potestà dello Stato sovrano georgiano. Era una ripetizione, quasi alla lettera, di quanto sei mesi prima era avvenuto in Kosovo. Con in più un supplemento di ipocrisia degli USA, che tentavano di far passare gli aggressori per aggrediti, e viceversa. In realtà, Putin aveva semplicemente difeso una popolazione russa dalla minaccia di una crudele pulizia etnica.
E veniamo all’affare dell’Ukraina e della Crimea. Che cosa pretenderebbero adesso gli americani?
Sono stati loro – per primi – a provocare la secessione di un territorio etnicamente a sé stante dallo Stato sovrano di appartenenza. E quando lo fa Putin (in Crimea come ieri in Ossezia) “non ci giocano più”? Ragazzini viziati, pieni di soldi e di missili, ma che credono di giocare sempre a “indiani e cow-boys”.
Piuttosto, c’è da sperare che continuino a giocare, senza lasciarsi prendere la mano. Se continuassero a soffiare sul fuoco ukraino, la guerra potrebbe divampare in men che non si dica, e coinvolgere mezza Europa.
Scommetto che qualche imbecille sogna già di far intervenire la NATO. Per esportare la democrazia in Crimea.
Michele Rallo