Commenti della stampa israeliana su Iran e USA.
Scrive Amir Rappaport, su Ma’ariv: «La conversazione telefonica (fra Rohani e Obama) ha aumentato le probabilità che a medio termine Israele si trovi costretto ad agire da solo contro gli impianti nucleari iraniani. Il punto di vista prevalente nelle Forze di Difesa israeliane – continua l’editorialista – è che gli ayatollah hanno deciso di nominare Hasan Rohani, le cui posizioni sono considerate moderate, solo per alleggerire le sanzioni economiche.Praticamente nessuno crede che i risultati delle elezioni iraniane siano genuini o che l’Iran abbia rinunciato alle sue ambizioni nucleari. La sensazione generale è che l’America è stanca, ed è facile che finisca con l’accettare le manovre tattiche iraniane che alla fine porteranno alla Bomba, proprio come avvenne con la Corea del Nord. La valutazione generale di tutti gli attori in Medio Oriente è che Barack Obama non oserà imbarcarsi in un’avventura militare con l’Iran. E il mondo avrebbe molta difficoltà ad accettare un’azione israeliana senza prima esaurire tutti i recenti sviluppi diplomatici che, all’apparenza, dovrebbero portare a un accordo effettivo. È ragionevole presumere che presto Israele sarà lasciato solo di fronte a due possibilità: attaccare l’Iran o essere costretto ad accettare che l’Iran diventi una potenza nucleare, con tutto quel che ne consegue». (Da: Ma’ariv, 29.9.13)
Scrive Nahum Barnea, su Yediot Aharonot: «Le sanzioni economiche hanno abbattuto la moneta, il tenore di vita e la stabilità sociale in Iran, e hanno creato una pressione interna che minaccia la continuazione del regime degli ayatollah. L’obiettivo per cui Rohani ha avviato la sua offensiva “del sorriso” è arrivare il più rapidamente possibile a una revoca delle sanzioni, se non completa per lo meno significativa. L’Iran, che non ha alcuna intenzione di smantellare il suo programma nucleare, si appresta a congelarlo sulla soglia del raggiungimento della Bomba». Secondo l’editorialista, «l’apparente riavvicinamento tra Obama e Rohani non è una buona notizia per qualsiasi governo filo-americano in Medio Oriente. Netanyahu, che lunedì si incontrerà con Obama alla Casa Bianca, non potrà cambiarne la politica». Qualsiasi tono assumerà il primo ministro israeliano, resta il fatto che “Obama in un sol colpo ha riavvolto la bandiera che Netanyahu impugnava davanti agli israeliani e al mondo, il fondamento di tutta la sua politica diplomatica. La minaccia di un attacco militare degli Stati Uniti è stata disdetta, almeno per i mesi a venire, ed è in dubbio che vi mai stata una concreta minaccia militare israeliana. Insomma, nessun Churchill in vista. Altri paesi del Medio Oriente – scrive l’editoriale – ne trarranno la conclusione che non si può fare affidamento sull’America di Obama. Israele non se lo può permettere, punto e basta. Ora, molto dipenderà dagli iraniani. Se non faranno errori tremendi, se il successo di Rohani non darà loro alla testa, allora avranno una buona chance di riabilitarsi economicamente e di posizionarsi come uno stato sulla soglia del nucleare. Che è il loro intento sin dall’inizio». (Da: Yediot Aharonot, 29.9.13)
Dan Margalit, su Israel Hayom, suppone che l’incontro tra il primo ministro israeliano Netanyahu e il presidente americano Obama “non sarà facile”, ma suggerisce al presidente americano di non dare ascolto al “bell’inglese” di Rohani, ma di badare piuttosto ai contenuti e alle azioni, ricordandogli che valore hanno gli accordi con stati terroristi del genere rappresentato dall’oratore che lo ha preceduto alle Nazioni Unite , quello della Corea del Nord. «Quando nella diplomazia internazionale prevale un’atmosfera da “appeasement” a ogni costo – conclude l’editorialista – nessuno è disposto ad ascoltare i gravi argomenti di chi mette in guardia contro le trappole dei regimi malvagi». (Da: Israel HaYom, 29.9.13)