Scrive Amir Rappaport, su Ma’ariv: «L’attacco con il gas non è solo un crimine di guerra da parte dell’esercito siriano, è una vergogna per gli Stati Uniti» data la solenne dichiarazione fatta un anno fa dal presidente Barack Obama che l’uso di armi chimiche da parte del regime di Assad sarebbe stata per gli Stati Uniti una “linea rossa” invalicabile.«Quella di fare delle armi chimiche una parte integrante del suo arsenale – continua editorialista – è stata una decisione consapevole da parte del presidente siriano. Come dargli torto? Purtroppo è già stato ampiamente dimostrato che le “linee rosse” degli Stati Uniti non sono solo flessibili, sono una beffa. La verità è che gli Stati Uniti sono bloccati dalla Russia, che percepisce la debolezza americana e sogna di ripristinare il suo passato di grande potenza. Se gli Stati Uniti o l’Europa imporranno una “no-fly zone” sulla Siria o vorranno intervenire nei combattimenti in qualche altro modo brusco, i russi minacciano di fornire ad Assad i sofisticati missili anti-aerei S-300. E, al contrario di Washington, Mosca ha dimostrato di sostenere i suoi alleati fino in fondo (anche quando sono pressoché una causa persa, come nel caso di Bashar Assad). Il problema – conclude l’editorialista – è che la debolezza degli Stati Uniti è un grosso problema per noi» e per tutti coloro che hanno riposto fiducia nell’alleanza con la superpotenza democratica. (Da: Ma’ariv, 22.8.13)
Scrive Shmuel Sandler, su Israel HaYom: «In molte capitali di tutto il mondo, comprese Gerusalemme e Teheran, si guarda con attenzione alla risposta di Washington al supposto attacco con armi chimiche di mercoledì presso Damasco: questione particolarmente rilevante dato l’impegno preso lo scorso aprile dal presidente Barack Obama di considerare l’uso di armi chimiche come un “punto di non ritorno”. Ma una risposta adeguata non pare imminente. Anzi, da allora Assad ha migliorato la propria situazione militare con l’aiuto di Iran e Hezbollah. La nuova amministrazione a Teheran senza dubbio segue da vicino le sorti di quell’impegno, mettendolo a confronto con altri impegni di Obama come quello che l’Iran non avrà mai un’arma nucleare». (Da: Israel HaYom, 22.8.13)
Scrive Alex Fishman, su Yediot Aharonot: «Non ci sono molte possibilità che le orribili immagini in arrivo dalla Siria cambino la politica statunitense o europea circa quella sanguinosa guerra civile, perché la tragedia della Siria è quella di non essere un paese abbastanza importante rispetto agli interessi occidentali. Fino a quando non saranno direttamente minacciati gli interessi americani nella regione, fino a quando la crisi non minaccerà seriamente la stabilità della Giordania e non metterà seriamente in pericolo Turchia o Israele, i siriani potranno continuare a distruggersi e massacrarsi a vicenda senza intralci. L’esercito siriano usa armi chimiche contro il suo popolo perché lo può fare, e perché gode del sostegno di Russia e Iran. Questa – conclude l’editorialista – è la lezione che si deve trarre dagli eventi di mercoledì: non ci sono ricompense e punizioni, e i paesi non vanno in guerra per motivi umanitari: ciò che determina le cose sono solo i freddi interessi». (Da: Yediot Aharonot, 22.8.13)
Scrive Dan Margalit, su Israel HaYom: «Gli americani sono favorevoli alla caduta di Bashar Assad, ma non sono disposti a muovere un dito. Beh, forse un dito, ma non di più. E la guerra civile in Siria sta diventando sempre di più un problema globale. Agli storici non può non ricordare la guerra civile di Spagna, che fu una sorta di anteprima alla seconda guerra mondiale. Quello che si può dire del fuoco usato dai militari egiziani contro i Fratelli Musulmani è che è ben poco in confronto a ciò che sta accadendo nei sobborghi di Damasco. Se il mondo resta in silenzio, il messaggio che arriverà sarà particolarmente forte: ancora una volta gli eccidi di massa non appartengono più al regno del proibito e dell’impossibile». (Da: Israel HaYom, 22.8.13)
L’editoriale del Jerusalem Post si sofferma invece sulla persecuzione dei cristiani d’Egitto da parte dei sostenitori dei Fratelli Musulmani e ricorda che «decine di chiese, scuole e monasteri sono stati saccheggiati nel corso delle ultime settimane. Incredibilmente – sottolinea l’editoriale – tutto questo sembra passare al di sotto dei radar dei mass-media occidentali. Evidentemente non rilevata o a mala pena riportata, la deriva anti-cristiana spicca come l’ennesimo esempio della sbalorditiva selettività operata da gran parte della stampa estera». E conclude: «L’unica comunità cristiana mediorientale in costante sviluppo la si trova nel piccolo e tanto vituperato Israele. Evidentemente solo sotto sovranità ebraica i cristiani del Medio Oriente sono al sicuro, liberi da aggressioni e dai professionisti del terrore». (Da: Jerusalem Post, 2.8.13)