Un documentario della tv del Qatar al-Jazeera ha rilanciato la teoria del complotto sulla morte, l’11 novembre 2004, di Yasser Arafat. Il servizio, trasmesso martedì scorso, cita i risultati di test effettuati in un laboratorio isvizzero su campioni biologici prelevati da effetti personali del leader palestinese, restituiti alla vedova Suha dall’ospedale militare di Percy, a sud di Parigi, dove Arafat è deceduto. Secondo François Bochud, direttore dell’Institut de Radiophysique di Losanna, i campioni presenterebbero tracce di polonio-210 (la sostanza radioattiva che ha causato la morte a Londra nel 2006 della ex spia russa Alexander Litvinenko). All’epoca tutti gli esami effettuati a Parigi subito dopo la morte di Arafat non avevano rilevato alcuna prova di avvelenamento.
Scrive Alex Fishman, su YnetNews: «La vecchia guardia di Fatah, e più ancora la famiglia di Arafat, hanno un grande compito: imbastire una morte dignitosa per il padre della nazione palestinese. Il fatto che Arafat abbia lasciato la scena affetto da una malattia di cui non si vuole parlare apertamente, lontano dal suo popolo e in un ospedale francese, è incommensurabilmente in contrasto con l’ethos nazionale palestinese. Di più. Subito dopo la morte di Arafat, sua moglie Suha accusò apertamente i vertici dell’Olp d’averlo ammazzato. Come non bastasse, la vedova riuscì a estorcere loro enormi somme di denaro per il suo silenzio. Non c’è dubbio che è molto più dignitoso imbastire un’eroica morte “da martire” per il padre della nazione, preferibilmente per mano del Mossad. In effetti, quasi ogni anno salta fuori qualche nuova teoria cospirativa sulla morte di Arafat. Questa volta ci viene detto che una tossina radioattiva letale sarebbe stata impiantata da agenti del Mossad sul famoso colbacco e sulla celeberrima kefiah del supremo leader o qualcosa del genere. La verità sulla morte di Arafat è e rimane celata nelle cartelle cliniche in possesso della vedova Suha, che fino ad oggi si è rifiutata di pubblicarle. Anche l’ospedale francese evita di divulgare quei documenti per via dell’opposizione della vedova. Suha Arafat conosce la verità ed evidentemente è una verità con cui non si trova a proprio agio. Nel corso degli anni l’Autorità Palestinese, l’Olp e Fatah hanno annunciato la formazione di almeno tre commissioni d’inchiesta incaricate di indagare le circostanze della morte di Arafat. Ma nessuna di queste ha mai pubblicato le proprie conclusioni, né hanno mai comunicato d’aver ricevuto dalla vedova le cartelle cliniche. È accaduto invece che Ahmad Jibril, capo del Fronte Popolare e rivale di Arafat, ha affermato a chiare lettere d’aver saputo da alti esponenti dell’Olp che Arafat era morto di Aids. Anche in Israele, i funzionari dell’intelligence hanno valutato che fosse morto di Aids o di qualche affezione analoga. Va anche notato che, alla vigilia della morte, Arafat era oramai considerato dall’establishment della difesa israeliana come un vero e proprio boomerang per la propaganda palestinese: era instabile, confuso, isolato nel suo quartier generale e non funzionava bene. A quel punto Israele non aveva alcun interesse ad eliminarlo.»
(Da: YnetNews, 5.7.12)
Scrive Ha’aretz: «Mentre l’Autorità Palestinese si dice disposta a riesumare il corpo dell’ex leader palestinese Yasser Arafat, i rappresentanti del governo israeliano hanno respinto mercoledì per l’ennesima volta ogni voce su un coinvolgimento di Israele nel presunto avvelenamento del leader palestinese con isotopi radioattivi letali o in qualunque altro modo. “L’insinuazione è del tutto senza fondamento”, ha dichiarato un alto funzionario, che ha anche sottolineato come non sia stato Israele a decidere di tenere segrete le cartelle cliniche di Arafat. “Le circostanze della morte di Arafat non sono un mistero – ha affermato il portavoce del ministero degli esteri israeliano Yigal Palmor – Venne curato in Francia, in un ospedale francese da medici francesi, e là si trovano tutte le informazioni mediche”. Mercoledì scorso il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha dato un primo parziale parere positivo per un’autopsia della salma di Arafat, su richiesta della vedova Suha la quale, dopo che si era opposta all’autopsia al momento della morte del marito, ora invece afferma che vuole venga praticata, senza spiegare come mai abbia aspettato quasi otto anni prima di farne esaminare in Svizzera gli effetti personali». «Quando Arafat morì – prosegue Ha’aretz – i medici francesi identificarono la causa delle morte in una massiccia emorragia cerebrale occorsa alcune settimane dopo che si era gravemente ammalato nel suo edificio a Ramallah, in Cisgiordania. Secondo i medici francesi, Arafat aveva sofferto di infiammazione intestinale, ittero e di un’affezione del sangue nota come coagulazione intravascolare disseminata (DIC) che può avere molte cause come: infezioni, coliti o patologie del fegato. Lo stesso direttore del laboratorio svizzero, Francois Bochud, afferma che il rinvenimento di tracce di polonio non significa necessariamente che Arafat sia stato avvelenato, aggiungendo che è impossibile dire da dove il polonio abbia avuto origine.»
(Da: Ha’aretz, 5.7.12)
Scrive Israel HaYom: «Il direttore del laboratorio svizzero, François Bochud, ha affermato che, a differenza di Alexander Litvinenko, nel caso di Arafat i dati medici mostrano che il suo midollo osseo era in buono stato e che non aveva perso improvvisamente tutti i capelli. Inoltre le condizioni di Arafat nell’ospedale francese migliorarono brevemente, prima di deteriorasi definitivamente negli ultimi giorni: anche questo un dato che contrasta col quadro di un avvelenamento da polonio radioattivo». Israel HaYom riferisce che «Dov Weisglass, capo dello staff dell’allora primo ministro israeliano Ariel Sharon, intervistato alla radio, ha ribadito che i dirigenti israeliani non presero nemmeno in considerazione l’ipotesi di eliminare Arafat e che anzi Sharon era espressamente contrario all’idea perché “non pensava che la sua eliminazione fisica avrebbe aiutato, al contrario”.»
(Da: Israel HaYom, 5.7.12)
Oded Granot, su Ma’ariv, si chiede: «Cosa ha spinto la vedova, immischiata in guai finanziari con l’Autorità Palestinese e diversi paesi arabi, ad aspettare otto anni prima di ritirare gli effetti personali di Arafat dall’ufficio del suo avvocato e consegnarli alla tv Al-Jazeera perché li facesse esaminare?» L’editorialista ricorda ai lettori che otto anni fa «era stata Suha Arafat ad opporsi fermamente all’autopsia». Per molti palestinesi, il ritrovamento delle tracce di polonio va a nozze con le più varie teorie cospirative, nel senso che non solo Israele sarebbe implicato nel suo decesso, ma sarebbe stato anche attivamente aiutato da membri del più stretto entourage di Arafat. Secondo l’editorialista, «questo potrebbe creare non poche complicazioni all’interno dell’Autorità Palestinese.»
(Da: Ma’ariv, 5.7.12)
Scrive l’editoriale del Jerusalem Post: «Alcune favole sono dure a morire. Nel Medio Oriente arabo tendono persino a crescere, spesso fino ad assumere dimensioni gigantesche in ragione direttamente proporzionale alla loro intrinseca irragionevolezza. È il caso delle insinuazioni sulla cause della morte di Yasser Arafat, otto anni fa, all’età di 75 anni. Le teorie complottiste abbondano. L’unico scenario sistematicamente escluso è quello delle cause naturali. Il passare degli anni non ha mitigato né i sospetti né le montature. Tutt’altro. Benché lo stesso laboratorio di Losanna abbia sottolineato che non può esprimersi con certezza senza riesumare il corpo di Arafat, la signora Arafat ha sintetizzato a modo suo il “documentario” di Al-Jazeera dicendo che esso stabilisce una volta per tutte che la morte di suo marito è avvenuta nel quadro di “uno schema criminale”. Accuse di questo genere non sono certo una novità. Iniziarono a circolare immediatamente dopo il decesso di Arafat nell’ospedale militare francese (che non ha divulgato le cartelle cliniche sulle cause della morte). Nel 2009 l’evocazione di nefasti diabolici complotti divenne materia per un veemente attacco al successore di Arafat, Mahmoud Abbas (Abu Mazen). Accadde quando il cofondatore di Fatah, Farouk Kaddumi – quello che definisce apertamente la soluzione a-due-stati “una semplice fase intermedia” – mostrò alla tv Al-Jazeera quelli che sosteneva essere i protocolli di una congiura a tre per assassinare Arafat che vedeva in gioco Abu Mazen, il vecchio compagno di Arafat Muhammad Dahlan, e l’allora primo ministro israeliano Ariel Sharon. Per scagionarsi e controbattere ad accuse così pesanti, Abu Mazen reclutò Bassam Abu Sharif, già braccio destro di Arafat, soprannominato “la faccia del terrore”. Ma la linea di Sharif non fu certo quella di smentire la calunnia. Semplicemente la modificò in modo da attribuirne la colpa interamente a Israele. Le leggende relative a un complotto per assassinare Arafat sono troppo ghiotte per farsele sfuggire, in un ambiente dove fatti e fiction sono praticamente indistinguibili. Dal momento che, in ogni caso, nessuno crederà mai alla morte naturale di Arafat, meglio gettare tutta la colpa su Israele. In questo spirito, e con il sostegno incondizionato di Abu Mazen, Abu Sharif sostenne di sapere per certo che agenti israeliani avevano sostituito con sostanze tossiche i farmaci che prendeva Arafat. Di più. Secondo la versione dei fatti ufficialmente accreditata da Ramallah, i funesti intrugli israeliani erano stati approntati appositamente per questo scopo da una delle più importanti industrie farmaceutiche israeliane. Nessuno si è preso la briga di chiedere ad Abu Sharif come fosse venuto in possesso di queste informazioni, se potesse sostenerle con qualche elemento di fatto, e perché avesse deciso di renderle di pubblico dominio solo così tardi. Al contrario, tutti i delegati al congresso di Fatah del 2009 a Betlemme, senza che fra loro si levasse una sola voce di scetticismo, alzarono la mano a sostegno di una risoluzione che proclamava Israele responsabile dell’”avvelenamento” di Arafat. E chiesero all’unanimità l’istituzione di un’inchiesta internazionale sul ruolo di Israele nell’eliminazione del Premio Nobel per la pace.
Questo genere di calunnie non sorprendono. Per i palestinesi sono la norma. Nel 1999, durante una cerimonia di benvenuto a Gaza per l’allora First Lady americana Hillary Clinton, Suha Arafat aveva tuonato, vibrando d’indignazione: “Il nostro popolo ha subito l’uso quotidiano e massiccio di gas velenosi da parte delle forze israeliane, con un aumento dei casi di cancro fra donne e bambini”. La signora Arafat era andata avanti accusando Israele d’aver deliberatamente contaminato con tossine letali l’80% (chissà perché non il 79% o l’81%) dell’acqua consumata da donne e bambini palestinesi (che evidentemente bevono acqua diversa da quella dei maschi adulti). Hillary Clinton, in evidente imbarazzo, stette ad ascoltare senza nulla obiettare.
E qui sta il problema. Il fatto che la comunità internazionale non trovi mai nulla da obiettare conferisce legittimità alle bufale più varie. È così che vaste masse di arabi sono perfettamente convinte che ci fosse Israele dietro agli attentati dell’11 settembre. Il punto non è solo che incalcolabili energie vengono sprecate nelle panzane anziché essere utilmente impiegate per affrontare problemi reali. C’è anche il fatto che i fantasiosi contorcimenti delle leggende da romanzo di spionaggio non aiutano la pace vera. Le falsità sono in contraddizione con la pace. Dove regna la cultura della menzogna, non si può sviluppare nessun accordo degno di fiducia. Ecco perché l’ultima trovata nella saga dell’”assassinio di Arafat” non è solo una farsa, e conta eccome.
(Da: Jersualem Post, 5.7.12)
Nella foto in alto: Il 5 luglio 2007 Ahmad Jibril, capo del Fronte Popolare-Comando Generale, disse alla tv Al-Manar (di Hezbollah) che, ad un incontro con il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), gli era stato detto da un membro della delegazione che, secondo i medici francesi, “la causa della morte di Arafat era l’Aids”. Per il filmato (con sottotitoli in inglese):
http://palwatch.org/main.aspx?fi=774
oppure: http://www.youtube.com/watch?v=8HRlUZxPRL8&feature=player_embedded
Si veda anche:
False immagini che aizzano assassini veri. Menzogne spudorate che calunniano Israele e aizzano gli antisemiti sanguinari.
http://www.israele.net/articolo,3393.htm
Errata corrige: dove è scritto “Israele” leggi “Occupazione del 48”. Benvenuti nella neolingua orwelliana dell’Autorità Palestinese dove il terrorismo è resistenza, gli stragisti sono martiri e Gerusalemme è solo araba
http://www.israele.net/sezione,,3471-htm