Israele è un’entità coloniale europea destinata a scomparire. È quanto afferma la famiglia palestinese che ha ispirato il famoso e controverso libro “The Crisis of Zionism” (la crisi del sionismo) del giornalista ebreo americano Peter Beinart.
Intervistati sabato nella loro abitazione nel centro di Hebron (Cisgiordania), i membri della famiglia Jaber dicono che non avevano idea che un breve video del loro figlioletto Khaled Jaber si fosse trasformato nella principale fonte d’ispirazione per un libro, per di più un libro finito al centro del dibattito sui rapporti fra comunità ebraiche in Israele e negli Stati Uniti. Non sapevano nemmeno che Khaled e suo padre fossero esplicitamente citati nella prima pagina dell’introduzione del libro.
Intervistata sulla soluzione “a due Stati” del conflitto israelo-palestinese, Falastin Jaber, la madre del piccolo Khaled, dichiara: “A noi occorre tutta la Palestina”. Definendo Israele parte dello “stampo coloniale europeo sul Medio Oriente”, Falastin Jaber paragona lo Stato ebraico alla colonia francese in Algeria e a quella italiana in Libia, aggiungendo che, come quelle, anche Israele un giorno scomparirà. “E’ solo questione di tempo” dice, spiegando d’essere convinta che al conseguimento di questo obiettivo contribuiscono “le piccole battaglie come quella di Khaled”, che ha ispirato il libro di Peter Beinart.
A proposito delle loro simpatie politiche, la signora Jaber preferisce non esprimersi, mentre suo padre Badran Jaber, 65 anni, pensionato già professore di geografia e sociologia al Politecnico di Hebron, afferma di non aver votato per Hamas alle ultime elezioni palestinesi e si definisce un sostenitore da lungo tempo del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (fondato da George Habbash, responsabile fra l’altro dell’assassinio del ministro israeliano Rehavam Zeevi a Gerusalemme nell’ottobre 2001 e di vari attentati suicidi fra il 2002 e il 2004). Falastin Jaber, che dopo la separazione non ha mantenuto il cognome del marito, sembra invece voler cambiare discorso e passa a parlare di quella che definisce, in inglese, “la grande menzogna” che Israele sia uno Stato ebraico: un fatto smentito, a suo dire, dai tanti israeliani etiopi e russi che non sono ebrei e dal fatto che lo stesso Theodor Herzl “era ateo”.
Peter Beinart, l’autore di “The Crisis of Zionism”, ha dichiarato che il suo best-seller gli è stato ispirato in gran parte dalla visione di un breve filmato, trasmesso da Sky News nell’agosto 2010, in cui si vede il piccolo Khaled, allora di 5 anni, in lacrime che chiama il padre Fadel mentre questi viene arrestato dalla polizia di frontiera israeliana durante alcuni incidenti verificatisi nel villaggio cisgiordano di Baka per una disputa col vicino villaggio ebraico di Kiryat Arba sui diritti di sfruttamento dell’acqua. Fadel, commerciante ambulante di tessuti, restò in carcere tre mesi. “Ho scritto questo libro quando ho visto Khaled Jaber, che avrebbe potuto essere mio figlio – scrive Beinart nell’introduzione del suo volume – Il pianto di Khaled mi ha lasciato ammutolito dall’orrore davanti allo schermo del computer”. Informata che suo figlio ha contribuito a ispirare un libro al centro del dibattito ebraico-americano, Falastin Jaber, insegnante di letteratura araba in una scuola superiore, afferma che “il popolo palestinese ha milioni di Khaled: ci sono molti altri Khaled a Gaza, nel campo di Jenin, a Qana nel sud del Libano”.
Durante l’intervista, il piccolo Khaled, seduto sul divano, sembra troppo intimidito per parlare, anche quando il nonno lo sprona a raccontare ai giornalisti di “quando gli ebrei sono venuti a portare via papà”.
La controversa tesi del libro di Beinart, secondo cui il sostegno per Israele degli ebrei “liberal” sarebbe in declino a causa delle politiche israeliane, è stata al centro di un acceso dibattito nel mondo ebraico sin da prima che uscisse in libreria, nel marzo 2012. In una delle recensioni più critiche Bret Stephens, vicedirettore della pagina degli editoriali e columnist per gli affari esteri del Wall Street Journal, esordiva contestando appunto il parallelo fatto da Beinart tra se stesso e la famiglia Jaber.
“Ci si sarebbe aspettati – scriveva Stephens – che Beinart facesse perlomeno lo sforzo di contattare i Jabers, magari prendendo un aereo per andare a incontrarli di persona, e che cercasse di capire chi sono i membri di questa famiglia nel cui nome sembra aver scritto il suo libro”. Se l’avesse fatto, avrebbe scoperto dei risvolti interessanti che avrebbero sicuramente arricchito il suo punto di vista.
Nelle foto in alto: Falastin Jaber e suo padre Badran durante l’intervista. Fra i sopramobili della loro casa, la consueta mappa delle rivendicazioni territoriali palestinesi: Israele è cancellato dalla carta geografica