Il recente attacco iraniano contro l’ambasciata britannica a Tehran ha accresciuto le aspettative da parte israeliana circa la possibilità che l’Unione Europea agisca finalmente in modo deciso contro il regime iraniano.
Ma la nuova tornata di sanzioni è ben lontana dalle severe misure che Gerusalemme vorrebbe vedere. Come ha detto l’ex ambasciatore israeliano in Francia, Daniel Shek, intervistato da Canale 10, “le nuove sanzioni dell’Unione Europea non fanno male all’Europa e dunque non faranno male nemmeno all’Iran”.
Altri contrariati commentatori israeliani si sono chiesti che cosa ci vorrà perché l’Europa si decida ad agire sul serio contro l’Iran. Se lo sono domandati quando è apparso evidente che l’aggressione all’ambasciata britannica non avrebbe portato a sanzioni dell’Unione Europea veramente paralizzanti.
L’esito del recente incontro dei ministri degli esteri dell’Unione Europea ha ulteriormente dimostrato l’ampio divario che esiste fra la percezione della minaccia iraniana da parte di Gerusalemme e da parte dell’Europa.
All’Unione Europea, l’Iran appare come un fatto tutto sommato marginale, una minaccia piuttosto astratta e distante. Per Israele, invece, si tratta di una questione di vita o di morte. Si è visto bene nella quantità di articoli sulla questione Iran che sono stati pubblicati di recente in Israele, ma anche nel mai sopito dibattito pubblico sulla questione dell’eventuale raid militare.
La scorsa settimana l’ex capo del Mossad Meir Dagan ha messo ancora una volta in guardia rispetto a un’azione militare israeliana contro il programma nucleare iraniano. Lo stesso giorno, il ministro delle difesa Ehud Barak affermava che “Israele non ha intenzione, al momento, di agire contro l’Iran, ma è ben lungi dall’essere paralizzato dalla paura”.
Barak aggiungeva che Israele deve agire con calma e discrezione giacché “non abbiamo bisogno di grandi guerre”. In precedenza un altro ex capo del Mossad, Danny Yatom, aveva espresso una posizione diametralmente opposta a quella di Dagan. “Per quanto pesante possa essere il prezzo – aveva detto Yatom – ad anche se avessero ragione, cosa che non credo, coloro che prevedono scenari apocalittici, ciò non sarebbe comunque così negativo come la minaccia di un’atomica iraniana”. Yatom aveva aggiunto che al mondo rimane ben poco tempo per agire efficacemente nei confronti dell’Iran.
Due settimane fa il ministro Barak ha dichiarato alla CNN che probabilmente rimangono non più di nove mesi di tempo per fermare il programma nucleare iraniano, aggiungendo che un Iran nucleare incomberebbe sull’intero Medio Oriente e che di conseguenza anche paesi come l’Arabia Saudita, la Turchia e l’Egitto cercherebbero di dotarsi di armi nucleari. Prima di lui, il ministro israeliano per gli affari strategici Moshe Ya’alon aveva detto che “quelli che prendono le decisioni a Tehran non sono ancora convinti di una reale determinazione dell’occidente a fermare il programma nucleare iraniano”. Secondo Ya’alon, queste sono “ore cruciali” per capire dove il mondo andrà a parare con la sua politica iraniana.
Un ulteriore indizio che Israele potrebbe andare per la propria strada riguardo all’Iran è venuto dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Durante una conferenza stampa con il suo omologo rumeno, Netanyahu ha detto che ultimamente Israele ha stabilito contatti non ufficiali con diversi paesi arabi. Una fonte governativa israeliana ha poi spiegato che questi contatti, molto probabilmente con Arabia Saudita e paesi del Golfo, hanno a che fare con l’Iran.
Nel frattempo, aumentano le minacce iraniane contro Israele e l’occidente.
Il capo della forza aerea delle Guardie Rivoluzionarie ha dichiarato la settimana scorsa che “d’ora in avanti l’Iran risponderà alle minacce con le minacce, anziché assumere una posizione difensiva”. Dopodiché ha minacciato di attaccare lo scudo missilistico della Nato in Turchia, se l’Iran dovesse subire un raid. Prima di lui, il consigliere militare della guida spirituale Khamenei aveva avvertito Israele che Hamas e Hezbollah distruggeranno le città israeliane con i loro razzi.
Nel 2006 Mohammad Hashemi, colui che pianificò l’attacco all’ambasciata degli Stati Uniti del 1979, disse a Mark Bowden, autore di “Guests of the Ayatollah”: “L’orgoglio per noi è molto importante. Potremo morire di fame o perdere tutto, ma non sacrificheremo mai il nostro orgoglio”: che è anche uno dei temi che caratterizza la retorica iraniana riguardo al programma nucleare.
Ormai dovrebbe essere chiaro che l’Iran non rinuncerà spontaneamente al suo programma nucleare, anche se questo significherà ridurre il paese in miseria. È assai dubbio, però, che qualcuno a Bruxelles ne stia prendendo nota, anche se è chiaro come il sole.
Yochanan Visser