Il mese scorso l’uomo forte della Libia, Muammar Gheddafi, ha perso il potere a Tripoli. Il dittatore siriano Bashar Assad sembra sull’orlo di un destino analogo a Damasco. Con il mondo arabo in pieno subbuglio, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) potrebbe presto sentire il fiato sul collo.
Finora Abu Mazen si è mostrato seraficamente indifferente agli sconvolgimenti che gli scoppiano tutt’attorno. Il leader della Cisgiordania se n’è stato tranquillo ad architettare il suo gran momento, il prossimo 21 settembre, quando intende proclamare alla Nazioni Unite l’indipendenza dello stato palestinese unilateralmente (cioè, senza un accordo negoziato con Israele). Tuttavia, mentre libici, egiziani e tunisini hanno modo oggi di assaporare un po’ di quella libertà che è stata loro tanto a lungo negata, e la sensazione di prendere nelle proprie mani il proprio destino, per i palestinesi Abu Mazen non sta preparando nessun cambiamento.
Dopo che avrà proclamato l’indipendenza all’Assemblea Generale dell’Onu, folle di palestinesi in estasi in piazza Manara a Ramallah spareranno in aria con i loro kalashnikov, distribuiranno dolcetti per le strade di Cisgiordania e si faranno fotografare con le dita a V in segno di “vittoria” suonando centinaia di clacson. Ma presto constateranno che l’impatto politico di questa mossa, sulla loro vita di tutti i giorni, è di ben scarso significato. All’indomani della dichiarazione, i palestinesi si renderanno conto che il voto all’Assemblea Generale non ha valore vincolante. E così, pur con il sostegno di due terzi della comunità internazionale all’idea di uno stato palestinese – un’idea che Stati Uniti e Israele hanno già sottoscritto – tutto quello che potranno esibire è appunto questo: un’idea.
Non basta. Quando i palestinesi guarderanno fuori dalla finestra e si renderanno conto che i militari israeliani non saranno scomparsi e che i confini della “Palestina” saranno ancora da stabilire, allora sì che la loro frustrazione verrà a galla. I palestinesi constateranno che, nonostante la campagna lunga e melodrammatica per la loro dichiarazione unilaterale, l’indipendenza non può essere conseguita finché non accettano di negoziare dei veri compromessi sui nodi relativi allo status definitivo che Abu Mazen ha fin qui cercato così diligentemente di evitare.
Se i palestinesi vorranno tradurre la loro rabbia in azione, ecco due possibili sbocchi.
Il primo è un’ennesima intifada (lotta armata) contro Israele. A quanto pare, un milione di palestinesi si appresta a scendere in strada alla vigilia della dichiarazione all’Onu. Abu Mazen e altri leader insistono per manifestazioni non violente, ma cosa accadrà quando quella stessa gente scenderà in piazza frustrata il giorno successivo, e poi il giorno dopo ancora? Come ha avvertito di recente l’editorialista palestinese Daoud Kuttab, “nessuno può dire che strada imboccheranno i palestinesi”. E i precedenti non promettono nulla di buono.
L’altra possibilità è quella di una “intra-fada”, una rivolta interna contro Abu Mazen e la dirigenza palestinese. Sulla falsariga della “primavera araba”, i palestinesi potrebbero arrivare alla conclusione che l’origine delle loro frustrazioni è innanzitutto il loro proprio governo.
L’Autorità Palestinese è appena meno peggio degli altri regimi della regione.
Le sue élite hanno intercettato centinaia di milioni, se non miliardi, di dollari di aiuti internazionali per arricchire le loro famiglie, i loro clan e le loro clientele. Fatah, la fazione che domina il governo dell’Autorità Palestinese, è fossilizzata, corrotta e accomodante con quasi tutti gli altri imbarazzanti regimi della zona: che è poi uno dei principali motivi della scioccante vittoria di Hamas alle elezioni legislative palestinese del gennaio 2006. Hamas, va sottolineato, non si giocò la campagna elettorale sugli attentati suicidi e sul lancio di razzi contro Israele. Se la giocò sul buon governo, un tema che trovava orecchie molto sensibili fra i palestinesi. Se si votasse domani, Hamas potrebbe vincere di nuovo per la stessa ragione. Fatah, e con essa automaticamente l’Autorità Palestinese, non si è affatto riformata.
Oggi Abu Mazen gode dell’appoggio della comunità internazionale, ma solo perché appare chissaché in confronto a Hamas. In verità, non è molto meglio di Hosni Mubarak o di Gheddafi. Entrambi quei leader rimasero al potere molto tempo dopo che la loro legittimazione era svanita. Anche Abu Mazen continua ad essere presidente benché il suo mandato sia scaduto già dal 2009. Mubarak cercava di usare il suo potere per costruire un impero al figlio Gamal. Gheddafi faceva lo stesso per suo figlio, Saif al-Islam.
I due figli di Abu Mazen, Yasser e Tarek, hanno fatto man bassa di contratti negli Stati Uniti e gestiscono la Cisgiordania come una famiglia mafiosa. Su questo punto, un ex consigliere dell’Autorità Palestinese ha osservato che l’oligarchia di Abu Mazen sta crescendo a velocità vertiginosa, mentre la popolazione perde la pazienza più o meno con la stessa rapidità. Ad eccezione dell’Arabia Saudita e di pochi altri paesi, i corrotti regimi arabi stanno crollando sotto il loro peso. Abu Mazen e l’Autorità Palestinese saranno i prossimi della lista?
Jonathan Schanzer