Quando la tv siriana, pesantemente controllata dallo stato, trasmette ai suoi ascoltatori immagini in diretta, si può star certi che è in corso qualcosa di molto ben orchestrato. Infatti, in occasione della recente Giornata della Naksa – la nuova commemorazione della disfatta araba del 1967 – per un breve momento le emittenti siriane sono diventate insolitamente e improvvisamente molto liberali, e hanno mandato in onda materiale dal confine israeliano non censurato.
La cosa avveniva dopo che le autorità avevano esortato le masse – ricorrendo anche alla corruzione, secondo insistenti informazioni – a violare gli sbarramenti della frontiera e riversarsi dentro Israele. Lo scopo evidente era quello di mettere in scena uno spettacolo che carpisse l’attenzione dei mass-media. Di qui l’improvviso e temporaneo allentamento delle inveterate restrizioni siriane al lavoro dei giornalisti. Si tratta, va sottolineato, della stessa televisione di stato che è riuscita ad evitare di trasmettere qualsiasi immagine del caos e delle stragi in corso da settimane nelle città siriane sconvolte dalle proteste contro lo spietato regime di Bashar Assad.
Naturalmente, la mancata copertura degli sconvolgimenti interni siriani e la successiva alacrità nel fomentare e riportare scontri con i soldati israeliani sono fatti intrinsecamente connessi fra loro. Così come esiste un preciso legame fra il minimizzare deliberatamente il numero di civili siriani uccisi dalle truppe di Assad e l’esagerare quello delle vittime dello show messa in scena al confine con Israele.
Ma ci sono segnali anche più indicativi, a parte l’inconsueta apertura della tv siriana sul Golan. Sul versante siriano, infatti, le zone in prossimità del confine con Israele sono sempre state zone militari off-limits dove non poteva mai accadere che una persona non autorizzata vagasse inavvertitamente. È questo il modo in cui Damasco ha mantenuto eccezionalmente calmo il suo confine con Israele per decenni: decenni nei quali la calma, su quel confine, rispondeva ai suoi scopi.
Poi improvvisamente domenica scorsa, in una sorta di replica della Giornata della Nakqa orchestrata tre settimane fa, quell’area è stata invasa da un pullulare di gente portata coi pullman, munita di bandiere e cartelloni, spronata con slogan e altoparlanti. A completare lo show, squadre di cameraman e autoambulanze. C’è una sola spiegazione plausibile: tutto l’evento era stato ben organizzato in anticipo, con approvazione dall’alto.
Ma il dato ancor più rivelatore è stato che i marciatori anti-israeliani – che avrebbero dovuto essere palestinesi –si sono fatti puntiglio di gridare a voce spiegata il loro appassionato e imperituro sostegno ad Assad: tutto l’evento era permeato da una incondizionata uniformità filo-regime, senza la minima voce dissenziente. Eppure la causa di Assad non è particolarmente popolare, di questi tempi, fra gli abitanti del suo feudo. Sicché la singolare lealtà verso Assad e al suo regime in scena domenica sul Golan appare inspiegabilmente in contrasto con lo stato d’animo così evidente all’interno della Siria.
Il che è servito a ricordarci che le assortite autocrazie nostre vicine di casa, quando considerano che sia loro interesse imporre controllo e autocontrollo, sanno molto bene come farlo. Per motivi loro – e non certo per amore d’Israele – egiziani, giordani, Autorità Palestinese (sia il ramo di Ramallah che quello di Gaza) e persino il Libano sotto schiaffo di Hezbollah hanno optato per il mantenimento della disciplina, nel giorno della Naksa. Dal momento che Assad ha ampiamente dimostrato di saper mantenere l’ordine al confine, questo suo insolito “insuccesso” di domenica sul Golan corrobora l’ovvia deduzione che egli da quella messinscena sperava di ottenerne un vantaggio.
Assad è ormai entrato nella fase “più nulla da perdere” del suo travaglio. Il venerdì precedente la Giornata della Naksa, decine di migliaia di siriani, forse anche di più, avevano invaso le strade invocando la sua estromissione. Lo stesso giorno della Naksa, mentre era in pieno svolgimento l’artificiosa performance del Golan, decine di siriani venivano uccisi nel nord del paese. Assad sarebbe solo contento se la comunità internazionale si concentrasse sulle vittime che sostiene inflitte da Israele anziché su ciò che egli sta facendo alla sua stessa popolazione. Per questo, più sangue viene sparso al confine, tanto meglio è per i suoi scopi. Per aumentare l’effetto della manipolazione, Assad ha gonfiato il numero delle presunte vittime causate da Israele. Tanto nessuno può controllare in modo attendibile né verificare nulla, nel suo totalitario cortile di casa.
La brutale tattica diversiva di Assad non era pensata soltanto per l’opinione pubblica estera, ma anche per le folle dentro casa. Assad ha assoluto bisogno di replicare la sua riuscita tattica degli anni passati, che consiste nel tenere unite le diversissime componenti che costituiscono la popolazione siriana demonizzando Israele come il loro comune nemico. Paradossalmente, a questo riguardo, Israele finora è servito alla dinastia degli Assad come uno dei suoi durevoli pretesti per mantenere il potere. Il regime degli Assad – è stato inculcato nella testa dei siriani – protegge il campo arabo dall’orco Israele.
Cosa che oggi gli viene beffardamente ritorta contro dai dissidenti dell’opposizione, alcuni dei quali lo bollano causticamente come “lacchè di Israele”. A volte persino propagandisti e provocatori dispostici raccolgono tempesta. Ma questo non significa che Assad non vada perso sul serio. La sua accresciuta vulnerabilità, in effetti, lo rende più disperato e di conseguenza più imprevedibile.
(Da: Jerusalem Post, 8.6.11)
Scrive YEDIOT AHARONOT: «Il cinico uso dei palestinesi fatto dai siriani nel giorno della Naksa sulle alture del Golan si è ritorto come un boomerang contro il presidente Assad. Nell’arena palestinese, ora il terreno gli trema sotto i piedi. Dopo quella giornata, è venuta alla luce una spaccatura tra lui e i palestinesi dei campi in Siria che fino ad oggi erano stati una delle comunità più fedeli agli Assad.
Va ricordato che, quando sono arrivate nel campo di Yarmuk (alla periferia di Damasco) le bare coi giovani che avevano perso la vita nell’assurdo assalto alla frontiera israeliana del giorno della Naksa, nel campo sono scoppiati disordini la cui rabbia non era rivolta contro Israele, bensì contro coloro che avevano mandato quei ragazzi al confine con Israele. I membri del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina di Ahmed Jibrils, strettamente identificato al regime siriano, hanno subito il peso dell’indignazione popolare.
Nello stesso giorno in cui scoppiavano i disordini nel campo di Yarmuk, l’esercito siriano cancellava i permessi di passaggio dei palestinesi attraverso i posti di blocco che controllano le strade per il Golan a 15-20 chilometri dal confine, impedendo ai palestinesi di raggiungere l’area. Forse qualcuno nella dirigenza siriana ha colto la misura della rabbia nei campi e il potenziale pericolo nel continuare a usarli contro Israele.»
(Da: Yediot Aharonot, 9.6.11)
Editoriali di Jerusalem Post e Yediot Aharonot