domenica, Novembre 24, 2024
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Israele. Una bislacca idea propagandistica a cui tanti credono volentieri

hamsQuesto mese è in preparazione un’altra flottiglia con l’intenzione di violare il legittimo blocco marittimo israeliano sulla striscia di Gaza. Gli organizzatori sostengono di volersi dirigere verso la striscia di Gaza “occupata” per consegnare “rifornimenti umanitari di assoluta necessità”: ma entrambi questi presupposti sono falsi.
Già all’inizio di quest’anno il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha dichiarato che non vi è alcuna crisi umanitaria nella striscia di Gaza. Inoltre, l’affermazione che la striscia di Gaza sarebbe ancora sotto occupazione da parte di Israele è stata recentemente smentita da una fonte insospettabile: una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Un’accusa ricorrente dei filo-palestinesi anti-israeliani è che l’occupazione israeliana di Gaza non sarebbe terminata con il ritiro militare del 2005 accompagnato dallo sradicamento dei quasi undicimila civili ebrei che vi risiedevano. Anche il Rapporto Goldstone si è basato su questo argomento ed ha avuto larga eco nella stampa e fra gli “esperti” internazionali. Ma è un’opinione che non ha mai avuto molto su cui appoggiarsi.
L’articolo 42 della “Convenzione internazionale dell’ Aja su leggi e usi della guerra terrestre” del 1907 stabilisce che “un territorio è da considerarsi occupato quando è effettivamente posto sotto l’autorità di un esercito nemico”.
Analogamente la Convenzione di Ginevra, anche nella più ampia interpretazione sostenuta dalla Croce Rossa Internazionale, prevede che delle forze di terra esercitino un “controllo all’interno” di un territorio per poter parlare di occupazione. Di più. Per essere tale, una potenza occupante deve essere in condizione di gestire tutte le funzioni di governo: governare le cose all’interno del territorio occupato, e non semplicemente pattugliarne i confini.
Ed è il “governo” di fatto di Hamas che gestisce la striscia di Gaza, senza interventi israeliani.
L’argomento a sostegno della tesi della ininterrotta occupazione è che, siccome Israele mantiene “autorità assoluta sullo spazio aereo di Gaza e sulle sue acque territoriali, esso esercita manifestamente un’autorità di governo su queste aree”, per dirla con le parole del prof. Iain Scobbie. Altri sostengono che il controllo sui confini equivale ad un “controllo effettivo” dell’interno.
Ma precedenti blocchi navali, come quello decretato su Cuba dal presidente Usa John F. Kennedy, non sono mai stati considerati forme di “occupazione”. Per non dire del controllo dei confini, che è del tutto normale lungo qualunque frontiera internazionale anche fra paesi molto amichevoli.
E non è nemmeno vero che Israele controlli tutti i confini della striscia di Gaza.
Se l’Egitto ha scelto di tenere in gran parte chiuso il suo confine con la striscia di Gaza, lo ha fatto di propria iniziativa senza che ciò avesse nulla a che fare con l’autorità di Israele. Ed oggi, in seguito ai cambiamenti politici in Egitto, il confine di Rafah è completamente aperto, vanificando ulteriormente l’argomento secondo cui il controllo sugli ingressi alla striscia di Gaza sarebbe esercitato esclusivamente da Israele.
Non basta.
La recente risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che autorizza il ricorso alla forza contro il regime libico offre un ulteriore eccellente test per verificare se gli argomenti giuridici largamente usati contro Israele vengono applicati anche in altri casi.
Lo scorso marzo, infatti, il Consiglio di Sicurezza ha approvato la risoluzione numero 1973 in risposta alla violenta repressione scatenata da Muammar Gheddafi contro i ribelli anti-governativi. La risoluzione autorizzava l’intervento militare, tracciava una zona di interdizione al volo (no-fly zone) su tutta la Libia, congelava beni libici e autorizzava un ampio uso della forza contro le truppe libiche. Cionondimeno la risoluzione 1973 escludeva espressamente qualunque “occupazione” del territorio libico. Non si tratta di parole usate a caso.
La proibizione di un’occupazione è ciò che ha contribuito a garantire il voto favorevole alla risoluzione di diverse nazioni che erano su posizioni scettiche.
Alla riunione del Consiglio di Sicurezza, il rappresentante del Libano ha sottolineato che la risoluzione non doveva comportare l’occupazione di “neanche un centimetro” di territorio libico.
Abbiamo dunque la conferma da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che un ampio embargo, una no-fly zone e mesi di costanti bombardamenti dall’aria non costituiscono comunque una “occupazione”. Certo, queste azioni hanno considerevoli effetti sulla Libia e determinano un “controllo” su molto di ciò che avviene al suo interno.
È dunque del tutto evidente che, in base a questo standard, le misure israeliane assai meno complete e invasive nei confronti della striscia di Gaza non costituiscono in alcun modo un’occupazione.
Naturalmente la risoluzione sulla Libia non dimostra nulla di nuovo (come si è già ricordato, citando le convenzioni internazionali): è l’argomento secondo cui Gaza sarebbe rimasta sotto occupazione israeliana anche dopo il 2005 che è sempre stato a dir poco bizzarro.
L’evidenza dei principi di cui sopra quando vengono applicati dappertutto meno che a Israele dovrebbe dar molto da pensare a coloro che sono convinti che un completo ritiro israeliano sulle linee pre-1967 conferirebbe automaticamente a Israele la legittimità internazionale e impedirebbe la fabbricazione di altre rivendicazioni pretestuose.

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