domenica, Novembre 24, 2024
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Medio Oriente. Le parole non creano nuove realtà. Ma creano consapevolezza. Se ne discute in Israele

Scrive Yediot Aharonot: «Il Netanyahu di martedì si è rivelato un leader degno di plauso. Non c’è nulla, nel suo discorso al Congresso, che possa cancellare i suoi errori del passato, ma certamente in quel discorso c’è abbastanza per capire che, in contrasto col dibattito sui mass-media, Netanyahu è un leader che va preso sul serio. Personalmente – continua l’editoriale – non concordo con tutto ciò che ha detto, e nondimeno mi sono sentito orgoglioso della determinazione che ha dimostrato sotto il peso delle pressioni della Casa Bianca. Ho sentito con le mie orecchie verità semplici e da tempo dimenticate, e soprattutto un percorso. Certo, un discorso non è una politica; ma ciò che è stato presentato martedì era la cosa più vicina a una politica da decenni. Le parole non creano nuove realtà, ma creano consapevolezza.»
(Da: Yediot Aharonot, 25.5.11)
Scrive Ma’ariv: «Il leader della destra israeliana è salito sul podio del Congresso americano e ha dichiarato che palestinesi e israeliani condividono la stessa striscia di terra. Ha dichiarato che lo stato palestinese sarà ampio e che Israele sarà generoso. Trent’anni fa questa era la posizione dell’estrema sinistra israeliana. Persino Yitzhak Rabin non aveva mai detto le cose con tanta nettezza. Netanyahu, come esponente della destra storica, ha fatto molti passi avanti. Il che non basterà a portare la pace: ma non per colpa di Netanyahu, bensì per colpa di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) che oggi si sta muovendo sulle orme di Arafat.»
(Da: Ma’ariv, 25.5.11)
Scrive Yisrael Hayom: «Dal discorso di Netanyahu di martedì non nasceranno negoziati diplomatici perché in ogni caso Abu Mazen non è interessato a negoziare almeno fino a quando non si saranno tenute le elezioni palestinesi nel 2012. E poi non è chiaro se Netanyahu, col suo discorso, è riuscito a passare a Ramallah l’onere della prova. Uno sforzo l’ha fatto, e si è guadagnato grandi applausi in un luogo molto importante: ma non nell’arena in cui si determinerà il destino di Israele tra pace e guerra.»
(Da: Yisrael Hayom, 25.5.11)
Secondo il Jersualem Post, la formazione di un governo di unità nazionale in Israele potrebbe contrastare quell’impazienza internazionale per l’impasse del processo di pace che già si manifesta in varie capitali del mondo; esso inoltre invierebbe il forte messaggio che gli israeliani sono uniti nel loro desiderio di risolvere il conflitto coi palestinesi. «Benché vi siano numerosi ostacoli sulla strada che porta a un governo di unità nazionale – scrive l’editoriale – alcuni dei quali legati a ristrette politiche di partito, nondimeno è l’interesse nazionale che richiede tale unità.» (Da: Jersualem Post, 25.5.11)
Secondo Ha’aretz «il primo ministro Netanyahu ha perso la sua occasione di presentare una visione per la pace: Netanyahu sta conducendo Israele e palestinesi verso un nuovo round di violenza, insieme all’isolamento di Israele e a un profondo dissenso con l’amministrazione americana.» (Da: Ha’aretz, 25.5.11)
Scrive Herb Keinon: «Nel complesso, l’importanza del discorso di Netanyahu alla sessione speciale del Congresso americano di martedì scorso non sta tanto nel contenuto – egli infatti non ha detto nulla di radicalmente nuovo – quanto nella travolgente, unanime ovazione che ha ricevuto. Netanyahu non si sogna nemmeno di essere accolto in questo modo in Israele. Il primo ministro israeliano è stato applaudito una trentina di volte, spesso da tutti i membri del Congresso in piedi. L’applauso di quasi quattro minuti che ha accolto il primo ministro israeliano al suo ingresso non è stato udito solo da Netanyahu, ma anche dal presidente Baraci Obama, dai palestinesi e dal mondo in generale. Nonostante tutti i discorsi sulla solitudine esistenziale di Israele e sul suo senso di isolamento, quando Netanyahu ha parlato al parlamento più importante del mondo non ha incontrato altro che caloroso affetto per Israele. Anche quando ha detto che gli ebrei non sono intrusi in Cisgiordania come erano i belgi in Congo o i britannici in India, ha ricevuto una tonante standing ovation. Certo, il Congresso non è il mondo e in ultima analisi è il presidente degli Stati Uniti quello che decide la politica estera. Ma il Congresso americano non è nemmeno un organismo insignificante che possa essere trascurato alla leggera, né dal presidente né dal resto del mondo; ed è l’organismo che stabilisce i limiti oltre i quali il presidente non può spingere Israele. Con i fragorosi applausi bipartisan alle parole di Netanyahu su Gerusalemme unita, sul non ritorno alle linee del ’67, sul non negoziare con Hamas e su non permettere ai discendenti dei profughi palestinesi di stabilirsi dentro Israele, Obama ha ricevuto il chiaro segnale dal Congresso che, quando si tratta di Israele, non ha carta bianca.»
(Da: Jersualem Post, 24.5.11)

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