“L’Autorità Palestinese deve scegliere tra la pace con Israele e la pace con Hamas”. Lo ha ribadito mercoledì sera il primo ministro israeliano BENJAMIN NETANYAHU, dopo la notizia dell’accordo di riconciliazione raggiunto al Cairo fra Fatah e Hamas.
“La pace sia con Israele che con Hamas è impossibile – ha detto Netanyahu – giacché Hamas aspira alla distruzione dello stato d’Israele, e lo dice apertamente. Hamas non ha mai smesso di sparare razzi sulle nostre città e missili anti-carro contro i nostri scuolabus.
Ritengo – ha continuato Netanyahu – che l’idea stessa di questa riconciliazione mostri la debolezza dell’Autorità Palestinese, e c’è da domandarsi se Hamas non finirà col prendere il potere in Giudea e Samaria [Cisgiordania] come ha già fatto nella striscia di Gaza. Mi auguro – ha concluso il primo ministro israeliano – che l’Autorità Palestinese sappia fare la scelta corretta, e cioè che scelga la pace con Israele. La decisione è nelle sue mani”.
(Da: MFA, 27.4.11)
“Se dobbiamo scegliere tra la pace con Israele e la pace con Hamas, ogni palestinese a cui lo chiedete vi dirà che noi preferiamo l’unità dei palestinesi rispetto alla pace con Israele”. Lo ha dichiarato giovedì TAWFIQ TIRAWI, autorevole esponente di Fatah.
“Noi – ha aggiunto Tirawi – vogliamo che questa riconciliazione arrivi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite [il prossimo settembre]. Così il nostro appello all’Assemblea Generale [perché riconosca uno stato palestinese senza l’accordo di Israele] verrà fatto con il supporto di tutte le fazioni palestinesi e di tutte le nazioni che hanno già riconosciuto lo stato palestinese”.
Tirawi ha spiegato che il governo transitorio di unità nazionale Fatah-Hamas previsto dall’accordo di riconciliazione non si porrà il problema di negoziare con Israele, giacché “l’unico ente preposto ai colloqui con Israele a nome del popolo palestinese è l’Olp”. Secondo Tirawi, comunque, non è necessario che tutte le fazioni palestinesi riconoscano Israele perché si possano tenere negoziati: “Forse che il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina o il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina hanno mai riconosciuto Israele? – ha detto – La risposta è no, eppure abbiamo avuto dei negoziati”.
Infine, ha precisato Tirawi, il fatto che Hamas sia largamente considerata dalla comunità internazionale come un’organizzazione terroristica è un fattore che non è mai stato preso in considerazione nelle trattative per la riconciliazione fra Fatah e Hamas. “AI nostri occhi – ha detto l’esponete di Fatah – nessun gruppo palestinese è terrorista”. Anche la sorte di Gilad Shalit, il giovane israeliano tenuto in ostaggio a Gaza da quasi cinque anni, stando a Tirawi non è stata in alcuna discussa nelle trattative Fatah-Hamas: “Quella è una faccenda fra Israele, Hamas e il mediatore tedesco”, ha concluso.
(Da: YnetNews, 28.4.11)
Autorevoli membri del Congresso americano hanno dichiarato giovedì che se l’Autorità Palestinese procederà con il piano di riconciliazione con Hamas, tale scelta potrebbe mettere a repentaglio gli aiuti americani ai palestinesi e forse anche farli cessare del tutto. Infatti, viene fatto notare, il Foreign Assistance Act stabilisce precise condizioni per questo genere di aiuti, condizioni che l’Autorità Palestinese con un governo insieme a Hamas non soddisferebbe.
Gli Stati Uniti considerano Hamas un’organizzazione terroristica e naturalmente non potrebbero stanziare fondi suscettibili di finire nelle sue mani. “L’accordo Fatah-Hamas di cui parla la stampa – ha spiegato la repubblicana ILEANA ROS-LEHTINEN, presidente della Commissione affari esteri della Camera dei Rappresentanti – significa che un’organizzazione terroristica straniera che invoca la distruzione di Israele farà parte del governo dell’Autorità Palestinese.
Il soldi dei contribuenti americani non possono e non devono essere usati per finanziare coloro che minacciano la sicurezza degli Stati Uniti, i nostri interessi e un nostro vitale alleato come Israele. In base alle leggi americane vigenti, tale governo ibrido non potrebbe ricevere soldi dei contribuenti giacché il governo dell’Autorità Palestinese deve, fra l’altro, riconoscere il diritto ad esistere dello stato d’Israele. Entrando in questa partnership con Hamas – ha concluso Ros-Lehtinen – la dirigenza palestinese di Mahmoud Abbas [Abu Mazen] mostra di non essere un valido interlocutore per la pace giacché, stando a quanto si apprende dalla stampa, l’Autorità Palestinese si schiererebbe con coloro che vogliono solo la morte e la distruzione di Israele”.
“Il supposto accordo, che non richiede a Hamas di accettare il diritto ad esistere di Israele, né di riconoscere gli impegni palestinesi previsti dagli accordi precedentemente firmati e nemmeno di rinunciare temporaneamente alla violenza contro Israele, costituisce una ricetta per il fallimento nella violenza, e porterà a un disastro.
È un terribile errore che temo verrà pagato in termini di vite innocenti”. Lo ha detto giovedì il democratico GARY ACKERMAN, al vertice della Sottocommissione della Camera per Medio Oriente e Asia meridionale. Ackerman ha aggiunto: “Anziché cogliere la dinamica di questa sorprendente ‘primavera araba’ e promuovere semplicemente riforme costituzionali ed elezioni, la dirigenza dell’Autorità Palestinese ancora una volta ha ingenuamente deciso di mettere alla prova l’affidabilità di una banda di terroristi sanguinari aspiranti teocrati.
Benché la mossa possa essere popolare fra i palestinesi, molti dei quali vogliono continuare a credere di poter avere contemporaneamente la pace e quella che loro chiamano ‘resistenza’ (e che noi in inglese chiamiamo ‘terrorismo’), come già altre volte gli Stati Uniti si troveranno costretti dalla decenza, oltre che dalle leggi, a rifiutare qualunque aiuto che possa cadere nelle mani o sotto il controllo anche solo parziale di chiunque appartenga o faccia riferimento a un’entità terrorista come Hamas”.
NITA LOWEY, la congressista democratica di più alto grado nella Sottocommissione aiuti esteri della Camera dei Rappresentanti, ha diffuso una dichiarazione in cui afferma che “a meno che Hamas non accetti i principi del Quartetto [Usa, Ue, Russia, Onu] che prevedono fra l’altro il ripudio della violenza e il riconoscimento di Israele, la formazione di un governo di unità nazionale con Fatah si tradurrà in un colpo fatale per il processo di pace.
Un tale governo con Hamas metterebbe a rischio l’assistenza e il supporto statunitense, che si basa sulle condizioni che compilai in qualità di presidente della Sottocommissione per gli stanziamenti di stato e le operazioni estere”.
(Da: YnetNwes, 28.4.11)
Scrive RON BEN-YISHAI: «Israele dovrà rivalutare la situazione, fra l’altro perché ciò che ha spianato la strada a questo inatteso accordo potrebbe essere stata qualche grossa concessione egiziana, tale da convincere Hamas a sottoscrivere un accordo che finora aveva rifiutato. Una concessione che potrebbe presentarsi nella forma di un’apertura del valico di Rafah [fra Egitto e striscia di Gaza] al libero movimento di cose e persone e dell’abolizione delle altre restrizioni finora imposte a Hamas.
Un’altra concessione potrebbe essere un impegno egiziano a sostenere la richiesta di Hamas che Abu Mazen e Autorità Palestinese smettano di perseguire le strutture di Hamas in Cisgiordania e garantiscano un certo controllo di Hamas all’interno dell’Olp. Si tratta solo di ipotesi, giacché i dettagli dell’accordo Fatah-Hamas devono ancora venir fuori. Ciò che in passato intralciava l’intesa era la richiesta di Hamas di essere integrata nell’Olp su un piede di quasi parità con Fatah. Il che avrebbe garantito a Hamas la possibilità di impedire qualunque accordo fra Israele e Abu Mazen.
L’intesa appena raggiunta dice in effetti che Hamas entrerà nell’Olp, ma non è chiaro che peso essa avrà dentro l’organizzazione-ombrello palestinese. Se uomini di Hamas dovessero essere realmente integrati, nel concreto, nelle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese, ciò rappresenterebbe la fine della efficace cooperazione sulla sicurezza fra Israele e Autorità Palestinese e la fine delle operazioni anti-Hamas dell’Autorità Palestinese in Cisgiordania. E Hamas potrebbe ricostruirvi le sue strutture politiche e terroristiche. Probabilmente ci vorrà tempo, e questo potrebbe essere il motivo per cui Hamas ha accettato di rinviare di un anno le elezioni palestinesi.
Abu Mazen, dal canto suo, ottiene una rinnovata legittimità politica nonostante il suo mandato sia formalmente scaduto da un bel po’. Ora può presentarsi alle Nazioni Unite come il legittimo rappresentante dei palestinesi di Gaza e Cisgiordania, un bel vantaggio volendo chiedere all’Onu, a settembre, il riconoscimento dello stato di Palestina. Anche Hamas spera di ottenere per questa via una legittimità internazionale. Quel che resta da vedere è se Hamas accetterà le condizioni poste dal Quartetto [Usa, Ue, Russia, Onu] che prevedono il riconoscimento di Israele, il ripudio della violenza e il riconoscimento degli accordi già firmato fra Olp e Israele.»
(Da: YnetNews, 28.4.11)
Scrive ALUF BENN: «Un governo di unità nazionale o “tecnocratico”, come l’hanno definito mercoledì i palestinesi, è una formula bella, ma vuota. Nella vita reale non esiste governo apolitico e non ci sono governi egualitari. C’è sempre una parte predominante, con gli altri al seguito.
Sarà dunque la parte più forte, meglio organizzata e meglio armata, vale a dire Hamas, quella che governerà l’Autorità Palestinese e l’Olp, non i “tecnocrati indipendenti”. È così che i comunisti presero il potere in Europa orientale dopo la seconda guerra mondiale. Dal punto di vista di Benjamin Netanyahu, la riconciliazione Fatah-Hamas giustifica il suo ammonimento secondo cui qualunque porzione di territorio abbandonato da Israele sarebbe caduto nelle mani di Hamas, diventando una base per il terrorismo iraniano.
E cancella dall’ordine del giorno ogni ipotesi di accordo provvisorio o di ritiro unilaterale. […] Ora cresceranno le pressioni su Tzipi Livni affinché porti Kadima dentro il governo Likud-laburisti per fronteggiare insieme sia i palestinesi che le pressioni internazionali. Se Abu Mazen si allea a Hamas, Kadima non può continuare a dire d’avere un interlocutore per la pace e di avere una politica alternativa da proporre. Dunque, perché mai dovrebbe restare all’opposizione? Il primo a cogliere la situazione è stato il ministro degli esteri Avigdor Lieberman [Israel Beitenu] che già due settimane fa aveva proposto a Livni e Netanyahu di lavorare insieme a una proposta israeliana per un accordo finale con i Palestinesi.»
(Da: Ha’aretz, 28.4.11)
Scrivono AVI ISSACHAROFF ed AMOS HAREL: «Le rinnovate relazioni fra Hamas e Fatah, per quanto limitate, possono gettare una nuova luce sulle intenzioni di Abu Mazen; e Netanyahu, che il prossimo mese ha in programma un intervento davanti al Congresso americano, potrà presentare l’accordo fra fazioni palestinesi come la prova del fatto che il presidente dell’Autorità Palestinese non vuole realmente la pace.
Se la riconciliazione andrà avanti davvero (il che non è detto, giacché altri accordi in passato sono naufragati), la preoccupazione immediata di Israele sarà la sorte della cooperazione con l’Autorità Palestinese sulla sicurezza. Una testa di ponte di Hamas, per quanto circoscritta, significherebbe per Israele non poter più condividere nessuna intelligence con l’Autorità Palestinese.
Se poi la riconciliazione dovesse essere accompagnata da una massiccia scarcerazione di detenuti di Hamas dalle carceri dell’Autorità Palestinese in Cisgiordania, questo aumenterebbe di molto i rischi di attentati terroristici. D’altra parte, una partecipazione di Hamas in un governo di unità nazionale palestinese, seppure attraverso figure di tecnocrati indipendenti, potrebbe ridurre la volontà di Hamas di rilanciare il conflitto sul fronte di Gaza, il che potrebbe contribuire a mantenere una certa calma. Nello scenario più ottimistico ciò potrebbe persino migliorare le chance di arrivare ad uno scambio per la liberazione di Gilad Shalit, ostaggio nella mani dell’ala militare di Hamas, cosa cui finora l’Autorità Palestinese si opponeva perché lo vedeva come un grande successo per Hamas.
Entrambe le fazioni palestinesi sembrano aver interesse ad attuare la riconciliazione, ma molti dettagli restano poco chiari. Un elemento chiave è chi saranno i ministri e, ancora più importante, chi sarà alla loro guida. E cosa ne sarà dei due primi ministri palestinesi attualmente in carica: Ismail Haniyeh, di Hamas, nella striscia di Gaza e Salam Fayyad, dell’Autorità Palestinese, in Cisgiordania. Il caso di quest’ultimo è particolarmente preoccupante per l’Autorità Palestinese, che proprio all’opera di Fayyad deve gran parte del credito internazionale che ha ottenuto negli ultimi tempi. Tuttavia, il rancore personale che molti nutrono contro Fayyad, sia in Hamas che in Fatah, potrebbe significare che questi sarà il primo a pagare il prezzo della riconciliazione.»(Da: Ha’aretz, 28.4.11)
MAHMOUD ZAHAR, che è uno dei principali capi di Hamas e ha partecipato alle trattative per la riconciliazione con Fatah, ha dichiarato giovedì che il futuro governo unitario di transizione palestinese “non riconoscerà Israele e non condurrà alcun negoziato”, ribadendo che la posizione di Hamas è totalmente diversa da quella di Fatah per quanto riguarda la posizione da tenere nei confronti di Israele. “Hamas – ha detto Zahar – rimane sulla stessa linea: nessun riconoscimento di Israele, nessun negoziato”. Ha tuttavia aggiunto che Hamas non impedirà a Fatah di trattare.
“Se Fatah è disposta ad assumersi la responsabilità di negoziare su delle sciocchezze – ha detto – che lo faccia. Se riescono a ottenere uno stato [a fianco di Israele], tanto meglio per loro. Noi non consideriamo quello in corso un processo di pace, e non vi prendiamo parte”. L’esponente di Hamas ha sottolineato che il governo transitorio di riconciliazione palestinese non ha alcun mandato per negoziare la pace con Israele.