Dopo esserci soffermati, durante i primi tre incontri, sugli aspetti bioetici e sociali della vita umana e del suo valore inviolabile, ci si è voluti fermare a trattare gli aspetti giuridici di alcune tecniche, autorizzate dalla legge italiana, che mettono a rischio la vita umana stessa dal concepimento fino al suo fine naturale.
L’Avvocato Manuela Linares, invitata dal direttivo del MpV di Marsala a discutere sulla questione, ha illustrato ai numerosi presenti come nell’arco di circa 45 anni si sia passati dalla sanzione del controllo volontario delle nascite all’avvio di servizi per l’informazione sui metodi contraccettivi ed il loro uso, nell’ambito delle libere scelte dalla coppia.
La relatrice, prendendo in esame le varie leggi che si sono susseguite sin dal 1930 e soffermandosi soprattutto sulla legge 194/78 sull’interruzione di gravidanza e la legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita, ha evidenziato come sul piano culturale il tema del controllo volontario della procreazione si è posto sempre di più all’incrocio fra sanzioni morali e penali e libera scelta innanzitutto delle donne e poi delle coppie.
In merito alle POLITICHE PER L’INTERRUZIONE VOLONTARIA DELLA GRAVIDANZA, l’Avv. Linares ha specificato che l’aborto (ritradotto nella legislazione come “interruzione volontaria della gravidanza”) è un tema che ha una grande risonanza morale e che si riverbera con maggiore intensità sulle psicologie delle persone.
Durante il suo intervento la Linares ha oltretutto esposto i vari orientamenti culturali associati alle pratiche di aborto volontario – dalla condanna morale di qualsiasi aborto alla liberalizzazione assoluta – ed ha inoltre chiarito le varie fattispecie di aborto autorizzato dalla legge italiana (aborto prima dei 90 giorni dal concepimento, dopo i 90 giorni dal concepimento, nel caso di minorenni, nel caso di interdette).
Per quanto riguarda la fecondazione artificiale l’Avvocato Linares, oltre a presentarne le tecniche e le varie tesi pro e contro la legge 40/2004, ha presentato le varie battaglie parlamentari che si sono succedute negli ultimi 40 anni e che hanno infine portato alla introduzione della nuova legge. Legge subito attaccata dai radicali che attraverso una raccolta di firme per chiedere cinque referendum abrogativi, totalmente o parzialmente, della legge 40, portò all’indizione di 4 referendum; il risultato fu vanificato dal mancato raggiungimento del quorum.
Tuttavia una sentenza dell’aprile del 2010 ha fatto in modo da rendere efficace parte della legge stessa, in quanto, il precedente limite di 3 embrioni che potevano essere impiantati nell’utero materno è stato portato a 10, facendo perdere alla legge 40 l’intenzione originaria del legislatore che voleva attraverso questo limite difendere gli embrioni non utilizzati da distruzione o congelamento.
Quali conclusioni tirare da questo interessante incontro?
Appare assai assurdo e crea molto disagio e inquietudine un contesto in cui esiste un’ostinato desiderio di maternità in un mondo dove milioni di bambini muoiono di fame o vengono uccisi prima di vedere la luce.
L’evidenziazione dell’esigenza che il valore vita richiede e l’imparzialità con la quale questa esigenza deve essere assecondata non è solo un’impostazione teorica. Il campo della normativa deve farsene carico.
Accade però sempre più spesso che mettere insieme il valore della vita, che dovrebbe essere tutelato dalla legge con il pluralismo della società e con le soluzioni dei conflitti sulla vita umana per mezzo del compromesso e del consenso sempre mette in dubbio da parte della legge il valore assoluto del diritto alla vita e lo relativizza. In tal modo il diritto dell’uomo che è inviolabile, inalienabile dipende dalle disposizioni della maggioranza che potrebbe negarlo nelle leggi che fa.
La vita umana diventa l’oggetto dei patti e dei negoziati. Si arriva a discutere su chi dovrebbe avere il diritto alla vita e chi no, si ammette la discussione nel parlamento oppure nella società per mezzo anche del referendum sulla negazione di tale diritto. Allora nella società pluralista il diritto diventa “lo strumento della volontà del legislatore assumendo il valore del compromesso il quale non soddisfa nessuno però viene accettato perché permette di evitare i conflitti sociali”[1]. La civiltà pluralista delle società ha portato con se le leggi fatte attraverso il consenso della maggioranza, per poter legalizzare l’uccisione dell’uomo e tutelare colui che uccide. Tale è la tragica direzione verso la quale va la legge circa il diritto alla vita. In tal modo il legislatore assume il potere di disporre del diritto alla vita e della sua tutela.
La vita umana, nei casi da lui scelti, cessa di essere nella comunità statale il bene, il valore degno del rispetto e della protezione. Quando il legislatore nega il diritto alla vita in riferimento ad alcuni esseri umani e lo conferma per gli altri, allora infrange il diritto che è inviolabile e inerente alla persona. Entra in conflitto con i diritti umani che non possono essere l’oggetto dei patti, del consenso, delle votazioni e di referendum [2]. Lo Stato in cui domina tale visione del diritto cessa di essere lo Stato democratico del diritto, basato sui diritti dell’uomo.
Diventa lo Stato tiranno che pretende di disporre della vita dei più deboli ed indifesi, della vita dei bambini non nati e degli anziani[3] e la democrazia diventa “chiaro o nascosto totalitarismo”[4]. Allora lo stato democratico e pluralistico “può assumere certe caratteristiche dello stato totalitario, se i cittadini non avranno la moralità, che ha il carattere universale per poter garantire sempre e dovunque il rispetto per la vita umana, per la sua dignità e le esigenze che tale vita comporta nella vita pubblica”[5].
Vittore Saladino