lunedì, Novembre 25, 2024
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Israele. I nuovi ''no'' del Fatah di Abu Mazen

Il Consiglio rivoluzionario di Fatah ha concluso nel finesettimana a Ramallah la sua quinta convention proclamando il suo rifiuto di riconoscere Israele come stato nazionale del popolo ebraico.
Il Consiglio ha inoltre esortato la dirigenza dell’Autorità Palestinese ad adoperarsi per sventare la nuova legge israeliana che prevede, in mancanza dell’approvazione di due terzi della Knesset, un referendum per ogni eventuale ritiro di Israele da territori su cui è stata estesa la giurisdizione israeliana (alture del Golan, parte est di Gerusalemme).
“Il Consiglio di Fatah – si legge in un comunicato diffuso dopo la convention – afferma il suo rifiuto del cosiddetto stato ebraico e di qualunque altra formula che possa raggiungere questo obiettivo. Il Consiglio ribadisce anche il rifiuto della creazione di qualunque stato razzista basato sulla religione”.
Il Consiglio di Fatah ha diffuso queste prese di posizione nel momento in cui Israele sta aspettando dagli Stati Uniti un documento scritto in cui venga fissato il pacchetto di incentivi promessi in cambio di un rinnovo di 90 giorni della moratoria sulle attività edilizie ebraiche in Cisgiordania (dopo quella di dieci mesi scaduta lo scorso 26 settembre). I palestinesi insistono che Israele deve bloccare tutte le attività negli insediamenti e a Gerusalemme est prima che possano essere ripresi i negoziati diretti.
Un rappresentate del governo israeliano sabato sera ha rinnovato l’invito ai palestinesi a riprendere i negoziati diretti senza precondizioni: “Incontriamoci e parliamo” ha detto il rappresentante israeliano, aggiungendo di essere particolarmente deluso per le dichiarazioni del Consiglio di Fatah rispetto allo stato ebraico: “Vorrei chiedere ai palestinesi: se ai vostri occhi lo stato ebraico è fondamentalmente illegittimo, che genere di pace intendete offrirci? È chiaro che il rifiuto di riconoscere la legittimità dello stato ebraico è il vero ostacolo alla pace e alla riconciliazione”.
Nel suo comunicato di sabato, il Consiglio di Fatah afferma d’essere categoricamente contrario a qualunque proposta di scambio territoriale fra Israele e palestinesi, sostenendo che “le bande di coloni illegali non possono essere messe sullo stesso piano dei detentori di terre e diritti”. Da tempo Israele presume che qualunque accordo finale dovrà includere degli scambi di terre concordati.
I dirigenti di Fatah dicono di appoggiare la politica del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), in particolare riguardo al processo di pace con Israele. “Il Consiglio – afferma il comunicato – plaude al presidente Abu Mazen per il suo aderire ai diritti fondamentali palestinesi, a partire dal diritto al ritorno dei profughi [all’interno di Israele anche dopo la nascita dello stato palestinese]. Il Consiglio inoltre plaude al presidente Abu Mazen per la sua resistenza alle pressioni volte a riesumare i colloqui di pace prima che siano accolte le richieste dei palestinesi”.
Il Consiglio di Fatah respinge anche i piani che prevedono forniture di armi o appoggi diplomatici a Israele in cambio del rinnovo della moratoria e della ripresa dei negoziati, specificando che i palestinesi non accetteranno mai delle intese fra Israele e Stati Uniti che “nuocerebbero ai diritti dei palestinesi”.

Il pacchetto di incentivi che sarebbe in discussione fra Usa e Israele non serve alla causa della pace, ammonisce il Consiglio di Fatah, e aggiunge: “Siffatti regali all’occupante non faranno che rendere l’occupante più testardo ed estremista”.
Circa la legge israeliana per l’eventuale referendum su Golan e Gerusalemme est, il Consiglio la definisce una “violazione del diritto internazionale” e sollecita la dirigenza dell’Autorità Palestinese a fare ogni sforzo possibile, attraverso l’Onu e il Consiglio di Sicurezza, per farla fallire.
Durante i tre giorni della convention, Abu Mazen è intervenuto dicendo che i palestinesi vogliono una pace giusta e globale, ma che non accetteranno nessun compromesso sui loro diritti.

 Abu Mazen ha di nuovo escluso la possibilità di un ritorno al tavolo negoziale senza la totale cessazione delle attività edilizie negli insediamenti e a Gerusalemme est.
Il Consiglio ha ribadito il rifiuto dell’idea di creare uno stato palestinesi con confini provvisori. La presa di posizione fa seguito alle dichiarazioni di diversi politici israeliani che di recente hanno riproposto la creazione di uno stato palestinese con confini temporanei nel tentativo di evitare il vuoto diplomatico e di conferire ai palestinesi le responsabilità che comporta la gestione di uno stato.

Circa un anno fa l’esponente di Kadima Shaul Mofaz ha presentato un piano in base al quale Israele si annetterebbe i principali blocchi di insediamenti perlopiù a ridosso dell’ex linea armistiziale, ritirandosi dal 60% della Cisgiordania (attuali Aree A e B) dove vive il 99,2% della popolazione palestinese, e da ulteriori territori allo scopo di creare uno stato palestinese dotato di continuità territoriale. A quel punto avrebbero inizio negoziati intensivi sui confini definitivi. Mofaz dice d’aver incontrato importanti esponenti palestinesi, americani ed europei che in privato si sono detti favorevoli a questo suo piano.

Anche il presidente d’Israele Shimon Peres e il ministro della difesa (laburista) Ehud Barak hanno espresso sostegno all’idea di uno stato palestinese con confini provvisori come strumento per superare l’impasse negoziale. La settimana scorsa il giornalista Yair Lapid, probabile candidato alla prossime elezioni per la Knesset, ha scritto su Yediot Aharonot che Israele dovrebbe smetterla di inseguire una pace totale e definitiva e concentrarsi piuttosto sulla creazione di uno stato palestinese il prima possibile. “È giunto il momento di separare la questione della creazione di uno stato palestinese dalla questione della pace definitiva – ha scritto Lapid – Israele deve adoperarsi per la creazione di uno stato palestinese non perché porterebbe alla pace (non la porterebbe), ma perché sarebbe assai più semplice gestire il conflitto nei confronti di un tale stato”.

Secondo Lapid, la creazione di uno stato palestinese “ci toglierebbe il mondo di dosso, frenerebbe il processo che ci vede trasformati in uno stato paria, ci metterebbe in condizione di preservare la nostra sicurezza con meno restrizioni, ci libererebbe dall’onere di controllare tre milioni di persone e ci permetterebbe di condurre le trattative sui confini definitivi e sul futuro degli insediamenti

Khaled Abu Toameh, Tovah Lazaroff

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