Cosa hanno in comune fra loro Barack Obama, George Bush, Bill Clinton, Hillary Clinton, Benjamin Netanyahu, Ehud Olmert, Ehud Barak, Tzipi Livni, Mahmoud Abbas (Abu Mazen), Hosni Mubarak, re Abdullah di Jordan, re Abdullah dell’Arabia Saudita, Nicolas Sarkozy, Angela Merkel, David Cameron, Silvio Berlusconi, Vladimir Putin, Hu Jintao e Ban Ki-moon? L’approccio.
In effetti, nonostante tutte le differenze e i contrasti che dividono questi eminenti personaggi, tutti loro hanno in comune l’impegno a cercare di porre fine al conflitto israelo-palestinese attraverso un accordo immediato e onnicomprensivo: pace piena, pace definitiva, pace adesso.
Il padre fondatore di questo approccio fu Yossi Beilin. Subito dopo la firma degli Accordi di Oslo nel 1993, questo prolifico e brillante statista israeliano capì che l’accordo che aveva appena prodotto sarebbe finito in un vicolo cieco. Pertanto si affrettò ad avviare un canale diretto con Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e, in capo a due anni di colloqui, mise insieme il cosiddetto Documento Beilin-Abu Mazen.
Per circa cinque anni quel documento è stato il “verbo” degli ambienti pacifisti israeliani: veniva considerato la prova definitiva che un accordo di pace fra israeliani e palestinesi era effettivamente a portata di mano. Ma quando Ehud Barak andò a Camp David, nell’estate 2000, saltò fuori che non era affatto il “verbo” che si credeva. In realtà i palestinesi non sono disposti a dividere il paese pacificamente.
Ma Beilin non si lasciò scoraggiare. Lestamente avviò nuovi negoziati con un gruppo di esponenti palestinesi, e nel 2003 partorì l’Iniziativa di Ginevra. Per altri cinque anni fu questa il “verbo” degli ambienti pacifisti internazionali: veniva vista come una sorta di prova provata che il fallimento di Camp David era stato fortuito, e che un accordo di pace fra israeliani e palestinesi era ancora a portata di mano.
Ma quando Ehud Olmert andò ad Annapolis nel 2007-2008, saltò fuori che non era nulla di simile al “verbo” che si credeva. Sebbene proprio le persone dell’Iniziativa di Ginevra fossero quelle che dovevano rilanciare il processo diplomatico, esse non riuscirono a far firmare ad Abu Mazen l’accordo di pace che egli andava promettendo sin dal 1993. Ancora una volta si vide che i palestinesi non intendono dividere il paese pacificamente.
Tuttavia, nonostante i sonori fallimenti, l’approccio è ancora in scena. E ancora guida la politica degli Stati Uniti e predomina nel discorso internazionale. L’approccio impone che un certo numero di leader mediorientali agiscano sulla base di un progetto fondamentalmente errato. In questo preciso momento, l’approccio è alla base della convocazione di una sterile conferenza di pace a Washington.
Si può capire Abu Mazen, che è probabilmente l’ultimo vero profugo a capo del movimento nazionale palestinese. Per centinaia di anni la sua e la mia famiglia hanno vissuto nella stessa città, Safed. La probabilità che un figlio di Safed rinunci a Safed è prossima a zero. L’idea che un profugo palestinese (non un suo discendente) rinunci al cosiddetto “diritto al ritorno” dei profughi palestinesi è probabilmente campata per aria.
Abu Mazen è un uomo positivo, contrario al terrorismo; ma non ha interesse a porre fine al conflitto, né ha il potere di farlo. Come Yitzhak Shamir alla conferenza di Madrid del 1991, così Abu Mazen è disposto ad andare a qualunque conferenza superflua purché non gli si chieda di pagare un prezzo reale per il patrimonio politico che ha accumulato.
Quelli che non si riesce a capire sono gli altri: Obama, Bush, Clinton, Clinton, Netanyahu, Olmert, Barak, Livni, Mubarak, Abdullah, Abdullah, Sarkozy, Merkel, Cameron, Berlusconi, Putin, Hu e Ban. Non hanno imparato niente e hanno dimenticato tutto? Non sanno che persino lo stesso Beilin ha aperto gli occhi? Sono davvero disposti a lasciarsi accecare dalla “correttezza politica”?
L’unico modo per impedire il naufragio del processo di pace che si apre in questi giorni a Washington è sostituire rapidamente l’approccio fallimentare con un approccio politico realistico. Magari uno stato palestinese con confini provvisori, o forse uno sgombero parziale di insediamenti, o qualche altra soluzione creativa. Ma una cosa è chiara: solo se Obama, Netanyahu e Abu Mazen daranno vita a una sorta di accordo ad interim, allora la pace si avvicinerà davvero e verrà sventata una frana.
Ari Shavit