venerdì, Settembre 20, 2024
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Il riccio di mare e la salute pubblica

Il riccio di mare di interesse alimentare è il Paracentrotus lividus, volgarmente detto riccio femmina.  Una prelibatezza che una volta andava gustata “fresca”  perché mancavano norme igienico sanitarie … e tributarie.
Si raccoglievano i ricci a mare, che si presumeva “non inquinato”, e subito si andava al commercio diretto al pubblico oppure si “rifornivano” i ristoranti della costa che preparavano gustosi manicaretti a base di ricci.
La cosa che ci siamo chiesti ed abbiamo chiesto, ottenendo risposte tutte da verificare ma che esponiamo, è: perché i ricci di mare non si trovano nelle pescherie ? E perché vengono offerti al pubblico da improvvisati “pescatori” che espongono la merce su bancarelle mobili e li vendono per strada in barba alle norme igieniche e sanitarie.  
Per la pesca del riccio di mare ci sono norme nazionali severe e la Regione Sardegna ha da tempo “normato” la questione prevedendo che il riccio possa essere pescato da pescatori professionali marittimi iscritti nel registro dei pescatori di professione, e pescatori subacquei professionali in possesso dell’autorizzazione per la pesca subacquea professionale, in apnea o con l’uso di apparecchi ausiliari per la respirazione, ed infine da pescatori sportivi, in apnea senza l’uso di apparecchi ausiliari per la respirazione o dall’imbarcazione. 
Per la pesca del riccio è necessario essere iscritto nel registro dei pescatori professionali e per ottenere ciò, il richiedente deve essere in possesso dell’attestato di qualificazione o di attestato rilasciato dalla Federazione italiana pesca sportiva, o da altri enti o scuole riconosciute idonei da parte delle competenti autorità marittime statali; si prescinde da requisito del possesso dell’attestato qualora l’interessato abbia prestato servizio, almeno per un anno, nella marina militare in qualità di sommozzatore o incursore, o nell’arma dei carabinieri o nei corpi della polizia di Stato o dei vigili del fuoco in qualità di sommozzatore; ed essere in possesso dei requisiti fisici accertati dal medico di porto, o, in sua assenza, da un medico designato dal capo di compartimento marittimo; e di avere una età non inferiore a 18 anni e non superiore a 40 anni per autorizzazioni con limite massimo di immersione a metri 20, ovvero non superiore a 35 anni per autorizzazioni senza limite d’immersione.
In Sicilia non sembra esistano norme e l’unica che abbiamo trovata riguarda solo il limite del  numero di ricci che un pescatore professionista o uno sportivo può pescare e la limitazione di pesca nel periodo di riproduzione.  
Per commercializzare il riccio comunque, si devono ottenere i certificati sanitari e di origine ma non sembra che in Sicilia ci siano pescatori “autorizzati” e soprattutto che i ricci vengano commercializzati secondo le norme sanitarie e tributarie in vigore.
Allora qualcuno si chiede? E gli spaghetti ai ricci di mare “nostrani” che certi ristoranti offrono ai loro clienti ?  La risposta più ovvia è che si tratta di ricci di mare “confezionati” e per la maggior parte provenienti dall’estero (Thailandia etc.) regolarmente fatturati. Non possono trattarsi di ricci di mare nostrani perché non c’è in Sicilia un vero e proprio mercato “controllato” di questo mollusco e quindi non può essere utilizzato negli alberghi venendo a mancare le certificazioni sanitarie richieste per la sua somministrazione al pubblico.
Per quanto riguarda la vendita sulla bancarelle, che sembra svolgere una funzione sociale,  è evidente che il prodotto non certificato e non conservato secondo le norme può perdere le proprietà organolettiche e quindi non risultare commestibile. Da qui la possibilità di gastroenterite che si possono manifestare per l’incauto acquirente/consumatore.
I NAS (Nucleo Antisofisticazioni dei Carabinieri) effettuano giornalmente molti controlli ma è chiaro che non possono risolvere tutto il complesso problema delle irregolarità amministrative e sanitarie anche per l’esiguità delle forze messe in campo dallo stato. Va da se quindi, che i cittadini dovrebbero essere parte diligente e collaborare con i carabinieri alla tutela della salute pubblica.
Lamentarsi solo serve a poco.

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